Capitolo uno:

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Aria:

Dopo aver chiarito con Chris, la mia vita tornò in balia degli sbalzi d'umore. Dovevo risolvere delle situazioni critiche. Dovevo parlare con mia madre. Dovevo lasciarmi la morte di mio padre alle spalle, dovevo andare avanti e soprattutto, dovevo ricrearmi una vita. Appena finito il mio primo anno di medicina. Partì con un treno dal Connecticut appena finite le lezioni, tornando nel Massachusetts.

Nonostante le varie suppliche di Kim, avevo deciso che sarei partita da sola per superare il passato. Quella era la mia vita, erano le mie decisioni, e soprattutto non volevo trascinare Kim nel vortice d'emozioni negative che mi stavo creando attorno. Le volevo troppo bene per permettermi di far soffrire anche lei.

Arrivai a Boston in orario, scesi dal treno trascinandomi il trolley da viaggio e più mi avvicinavo a casa, più ne stringevo il manico. Avevo paura. Una dannatissima paura. Non vedevo mia madre da quasi un anno, e sapere che l'avevo lasciata da sola ad autocommiserarsi per la morte di mio padre, mi faceva stare da cani. Percorsi i viali e le strade, ricordandomi la mia città, i miei vicini di casa, i supermarket dove io e la mamma facevamo sempre la spesa. Sorridevo e camminavo a passo svelto. Appena arrivata nel mio quartiere riconobbi l'odore di pane appena sfornato della panetteria Koltè's dalla quale prendevamo sempre la colazione, le urla stridenti dei bambini che giocavano nel parco giochi dove un tempo litigavo con i miei amichetti, la musica proveniente dal Lellis Dance, la scuola di ballo che avevo frequentato da piccola. Niente era cambiato. Riuscivo ad intravedere casa mia a poche centinaia di metri. Mentre camminavo mi sentivo finalmente a casa, lontana miglia da Yale, lontana miglia da Christopher. Decelerai il passo, per godermi la vista degli alberi nel pieno del loro verde, delle anziane del club del libro che discutevano fuori dalla biblioteca con la loro solita limonata. E quasi vicino casa, fui fermata dalla signora Mackenzie. «Oh, Aria! Allora sei tu! Quanto sei cresciuta!» mi urlò correndo ad abbracciarmi. La strinsi forte. Mi aveva fatto da seconda madre tutte le volte in cui mio padre era impegnato con i pompieri e tutte le volte in cui mia madre doveva fare i doppi turni o i turni di notte in ospedale. Dopo qualche chiacchiera e un sacco di complimenti, riuscì a staccarmi da lei e corsi a bussare alla porta di casa. Aspettai due minuti, e una figura esile e fragile aprì la porta. Riconobbi gli occhi celesti di mia madre sollevare lo sguardo per poi riempirsi di lacrime. «Piccola, piccola mia! Sei tornata a casa» urlò mia madre abbracciandomi con non molta forza. La strinsi a me, più forte possibile, poi mi chiusi la porta alle spalle. Casa mia era irriconoscibile. Mobili e divani spostati, muri di tonalità diverse. Riconobbi però il solito mobiletto della TV, dove mio padre poggiava in modo quasi sacrosanto i suoi telecomandi. Sorrisi scostandomi i capelli dal volto. Mia madre aveva cambiato tutto probabilmente per dimenticarsi di papà. Ma non c'era riuscita. Corsi in camera mia e lasciai la valigia, poi scesi giù e chiesi a mia madre di parlare.

Ci sedemmo sul divano e io le presi la mano. «Sono passati tre anni, mamma.» Le ribadii. E fu così che mia madre incominciò a singhiozzare. «Come posso Aria? Come posso dimenticare l'uomo che ho amato per vent'anni? L'uomo che mi è sempre stato accanto, che non mi ha mai tradita. Quell'uomo così genuino, così dolce e premuroso. Quel fantastico pompiere che aiutava la gente senza mai volere nulla in cambio?» mi chiese fra i singhiozzi. Mi si riempirono gli occhi di lacrime, ma le ricacciai indietro. Dovevo essere forte, per tutte e due. «Mamma, non ti sto chiedendo di dimenticare. Sarebbe impossibile. Ma passa oltre. E' quello che vorrebbe papà. Lui vorrebbe che tu fossi felice, che non ti lasciassi la vita alle spalle. Te lo ricordi no? Le prime volte in cui era stato davvero male? Cosa ci chiese mamma? Ci chiese di non buttare all'aria la nostra vita. Di essere forti, di essere le donne che lui amava e stimava. Ci chiese di non cambiare, di restare le stesse, anche se ci portava fatica. Non possiamo continuare così mamma, non è salutare» le dissi tirando su con il naso. Lei mi guardò, e mi strinse la mano. «Non è semplice, piccola mia.» Mi disse asciugandosi il volto con un fazzolettino di carta. «Nessuno ha mai detto che lo sarebbe stato, mamma.» Le dissi schietta. Si lasciò in balia di altri singhiozzi. La strinsi forte a me, accarezzandole i capelli.

«Oh piccola mia, tu sei così forte. Sei diventata una donna matura e bellissima. Come tuo padre ed io sognavamo tanto. Lo sapevamo che saresti diventata così.» Mi disse stringendomi la mano. Continuai ad accarezzarle i capelli, tenendola stretta fra le mie braccia, quasi volessi proteggerla, quasi fosse una piccoletta che ha bisogno di qualcuno che pensi a lei. Si soffiò il naso e mi guardò:

«Allora, che facciamo adesso?» mi chiese ormai distrutta.

«Ci diamo una possibilità, mamma.» Le dissi. Ed era quello che avremmo fatto, ci saremo date una possibilità.

Dopo aver disfatto le valigie mi misi qualcosa di più comodo e uscì di casa. Dovevo parlare con qualcun altro. Presi la macchina di mia madre e incominciai a guidare verso il cimitero. Mi fermai al fioraio lì vicino per prendere i fiori preferiti di mio padre, i girasoli. Arrivata, accostai al marciapiede e scesi, chiudendo a chiave la macchina. Camminai per i sentieri fatti di pietre, fino ad arrivare alla tomba di mio padre. La tomba recitava sempre le stesse parole:

"IN MEMORIA DI:

ROBERT WILLIAM STONEBRIDGE

13/08/1960-12/10/2011

UN RIGRAZIAMENTO SPECIALE

DA PARTE DEI SUOI AMICI E

DEI SUOI COLLEGHI.

E' VOLATO IN CIELO IL MIGLIORE

DI NOI."

Mi accasciai per terra e scoppiai in lacrime.

«Ciao papà.» Balbettai accarezzando la sua tomba. «Qui ci manchi tanto, davvero troppo.» Mi asciugai le lacrime e ripresi: «Io sto cercando di essere forte, proprio come volevi tu. La mamma non ce la fa più senza di te. Vorrebbe tornare indietro e tenerti stretto a lei, vorrebbe tornare indietro e morire lei al posto tuo. C'è un buco nel mio petto che nessuno colmerà mai, papà. Mi manchi più di qualsiasi altra cosa. Ma ho conosciuto questo ragazzo, e credo di amarlo. Non lo so, io ho una dannata paura. Ho paura di soffrire, ho paura che se ne vada. Non posso più perdere nessuno, ci starei troppo male. Voglio solo stare bene.» Sapevo che mio padre non poteva rispondermi, eppure nella mia mente, riapparvero alcuni momenti, alcune sue frasi. «Non perdere mai ciò che vuoi davvero. Non lasciarti mai sfuggire ciò che credi sia veramente giusto per te. Sii felice, e non permettere mai a nessuno di decidere cosa è meglio per te. E' la tua vita, goditela fino in fondo. E se trovi un ragazzo che ti faccia battere il cuore, non lasciarlo andare, perché in cuor tuo saprai che è lui ciò di cui hai bisogno.» Non era mai stato il classico tipo da discorsetti o consigli, ma quando mi parlava, lo faceva col cuore. Abbracciai la lapide e baciai la foto di mio padre. «Sei stato il miglior papà di tutti.» Dissi fra le lacrime.

Strinsi le mani e mi alzai. Pulii velocemente i miei vestiti e rientrai in macchina. Il mio tour era quasi finito, mancava solo una persona. Tyler.

Mi diressi verso casa sua e accostai vicino alla porta. Bussai e sua madre mi aprì, restando a bocca aperta. «E tu saresti la piccola Aria Stonebridge?» mi disse entusiasta. Mi abbracciò e mi invitò ad entrare. Declinai gentilmente l'offerta chiedendo direttamente di Tyler, che scese due minuti dopo con gli occhi sgranati e la bocca aperta. Risi fra me, poi lo abbracciai. Chiesi a Kate, sua madre, di lasciarci da soli. «Sei diventata ancora più bella.» Mi disse lui. Sorrisi. «Grazie Tyler, ma ho bisogno di parlarti.» Gli dissi schietta. Lui mi guardò torvo, poi si sedette al gradino e mi ascoltò. «Sono tutt'orecchi.» Disse. Mi sedetti accanto a lui. «Quando sono stata con te, mi sei stato accanto quanto mio padre è andato via. Siamo stati insieme per due anni, poi mi hai tradita.»  «E' stato lo sbaglio più grande che io abbia mai fatto.» Mi rispose, lasciai andare le sue parole e continuai «Per colpa tua, non ho voluto più saperne dei ragazzi, sono diventata acida e scontrosa. Mi nascondo e evito i ragazzi. Ma ne ho conosciuto uno fantastico, e sono tornata per chiudere con i fantasmi del passato. E tu sei uno di loro. Quindi ti dico grazie. Grazie per aver fatto il coglione e per avermi permesso di rendermi conto che io posso ancora amare qualcuno. Qualcuno che mi ama, e che non mi lascerebbe mai. Quindi grazie coglione, mi hai davvero aiutata.» Saltai in piedi e mi diressi verso la mia macchina, ignorando Tyler che mi implorava di tornare indietro per parlare, salì in macchina e schiacciai l'acceleratore. Adesso la mia vita, poteva ricominciare.

Ritorno dagli occhi blu. [IN REVISIONE.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora