Capitolo 19

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La sabbia gelida mi avvolge i piedi, passo dopo passo. Il vento mi scompiglia i capelli e il cielo minaccia pioggia. Spero si sbrighi a dirmi quello che ha da dire, voglio tornarmene a casa e dimenticare tutto. Come se fosse possibile..
«Avanti, parla» borbotto.
Mia madre non si gira nemmeno a guardarmi. «Non pensavo che saresti venuta. Forse non ti conosco come credevo» soggiunge, inespressiva.
«Già, non mi conosci affatto» convengo. Mi siedo accanto a lei e aspetto che inizi a parlare.
Passano alcuni minuti senza che né io né lei apriamo bocca. Mi perdo a guardare il mare e a sentire l'odore di salsedine che ho sempre amato.
«Il mare ha sempre avuto uno strano effetto su di te. È l'unico in grado di calmarti» commenta mia madre. Mi ero quasi dimenticata della sua presenza.
La guardo. «Vai al sodo. Non ho intenzione di rimanere qui ancora per molto. Per cui, parla.»
Aspetta ancora qualche secondo prima di iniziare a raccontare. «Quando ero giovane, avevo una migliore amica» sospira. «Avevo costruito un forte legame con lei. Vivevamo in simbiosi, così come te e Sam. Un giorno mi disse di essere lesbica e io non potei che starle accanto. Aveva l'intera famiglia omofoba e io ero l'unica persona che l'accettava per ciò che era. Quando i suoi genitori scoprirono la sua sessualità la buttarono fuori di casa. Io non esitai a comprare un appartamento e a vivere insieme a lei. Non sopportavo l'idea che potesse vivere per strada, dato che era senza un soldo. Qualche anno dopo trovò una ragazza che venne a vivere con noi. Erano splendide insieme, quasi da credere che il vero amore esistesse. Un giorno, mentre stavano passeggiando per la città, si imbatterono in un gruppo di omofobi. Cominciarono ad insultarle ovunque andavano. Le seguivano, carichi di parole d'odio. La fidanzata della mia migliore amica rispose loro indietro. Evidentemente, questo li fece arrabbiare. Cominciarono a tirare pietre contro di loro, riuscendo addirittura a colpire la ragazza della mia amica sulla testa. Svenne subito, sanguinando. Si avvicinarono e picchiarono la mia amica. La picchiarono a sangue, fino a quando un vecchietto, vedendo la scena, chiamò polizia e ambulanza. La fidanzata della mia amica non ce la fece. Rimase in coma per una settimana, poi morì. La mia amica riuscì a guarire, ma non fu più la stessa. Ora non so nemmeno dove sia, se ne andò pochi giorni dopo la morte della sua ragazza.» Lacrime amare rigano il viso di mia madre. Non l'avevo mai vista piangere. Apro la tasca del giubbotto e le porgo un fazzoletto.
«Mi.. Mi dispiace» farnetico. «Non sapevo di.. Tutto questo.»
Mia madre fa una risata amara. «Non è colpa tua. Sono stata io a non avertelo mai voluto raccontare. Ma ora siamo qui..» sospira.
«Già, siamo qui» mormoro.
«Quando vidi te e Sam baciarvi, io.. Avevo paura di rivivere quella storia, ma con te al posto della mia amica. Non volevo che ti capitasse la stessa cosa..» Ormai singhiozza, e io non so cosa fare. Sto per cedere, ma non devo mostrarmi debole.
«Questo non giustifica ciò che hai fatto, però» sibilo. «Mi hai picchiata, ti sei finta morta. Non ci sono giustificazioni per questo.» La rabbia sta di nuovo prendendo il sopravvento. Mi alzo e faccio per andarmene, ma mia madre mi afferra il braccio.
«Non andartene» mi supplica. «So che questo non giustifica ciò che ho fatto. Speravo solo che potessi.. Cambiare idea su di te, e riuscire a vivere felice.»
«Vivere felice?» sbotto. «Ma ti senti? Come posso vivere felice se reprimo ciò che sono veramente?» il mio tono di voce sta salendo, e alcune persone che passeggiano sul lungo mare si voltano verso di noi. Fulmino tutti con un'occhiata prima di tornare a parlare. «Te non sei mia madre» affermo. «Una madre è una persona che rimane sempre al fianco dei figli, nonostante tutto. Non li abbandona come hai fatto tu.» Mi fermo per qualche secondo per vedere che effetto stanno facendo le mie parole. Ha gli occhi vuoti e sembra cadere a pezzi. Perfetto, posso continuare. «Ci pensi mai a Christian?» Il suo volto è una maschera di terrore e dolore. «Potevi rimanere almeno per lui. Gli hai rovinato la vita. Ci hai rovinato la vita.» Detto questo, le do le spalle e torno all'hotel. Sapevo che era una pessima idea venire. Che stronzata. Come se potesse cambiare qualcosa. Non me ne frega niente di lei. Mi ha distrutto, spero che anche lei si senta distrutta, ora.

Tessa pov's

È più di un'ora che Lauren sta parlando con la madre. Ho tanta paura che possa fare qualche pazzia, ma spero di sbagliarmi.
Qualcuno armeggia con la maniglia della porta, per poi aprirla. Lauren ha in mano una bottiglia di vodka vuota per tre quarti. Sgrano gli occhi. «Lauren!» Gliela strappo di mano e getto l'alcolico dentro lo scarico.
«Ma che cazzo fai?» mi urla dietro.
«Ti salvo la vita» ribatto seccata, tornando alla stanza da letto.
Barcolla verso di me. «Non mi sento molto bene..» biascica. Sa da alcool in una maniera impressionante. La accompagno al bagno e aspetto che finisca di vomitare anche l'anima. La aiuto a spogliarsi e apro l'acqua della doccia. «Rinfrescati un po', poi mi racconti. Non è andata bene, deduco.»
«No, infatti» tossisce. Si spoglia e butta i vestiti per terra, che io raccolgo e metto dentro la valigia. Dopo circa mezz'ora che è dentro la doccia, busso alla porta del bagno. «Lau, sei viva?»
La sento borbottare qualcosa, perciò apro la porta. È ancora dentro la doccia, seduta sotto il getto d'acqua calda, a guardare il vuoto. «Lauren..» la rimprovero. «Dai, tirati su.» Giro la manovella interrompendo il flusso d'acqua, e la prendo per le spalle. Le avvolgo un asciugamano attorno al corpo e la faccio sedere sul letto.
«Voleva che fossi felice» dice di punto in bianco.
La guardo confusa. «A che ti riferisci?»
Alza lentamente lo sguardo su di me. «Tutto ciò che ha fatto. L'ha fatto perché voleva che fossi felice.»
La guardo ancora più confusa, e lei ridacchia. «Ah, Tess.. Secondo te, perché devo sempre rovinare tutto?» Alza gli occhi al cielo. «Perché hai scelto un disastro come me?»
Dopo l'ultima frase crolla sul letto e si addormenta. Sospiro rassegnata e prendo il cellulare. Cerco tra la rubrica il numero di Ennie e avvio la chiamata.
«Ciao Ennie, sei con Sam?»
Sento dei rumori in sottofondo. «Eh? Si, perché?»
«Potreste venire a prenderci?»
«Certo, che succede?» chiede preoccupata.
«Avrei.. Bisogno di una mano» dico, lanciando un'occhiata a Lauren. Dorme tranquilla, accoccolata sopra di me. Le accarezzo la guancia e le lascio un bacio sulla fronte.
«Tra un'oretta siamo da voi» afferma e chiude la chiamata.
Appoggio il cellulare sul comodino e inizio a vestire Lauren. Chissà che è successo. Forse non era il caso che parlasse con sua madre. Ha bisogno di tempo. E devo starle vicino.

L'amore che cercavo ➳ lesbianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora