14. Degno di tale nome

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Sentivo il mio cuore battere all'impazzata e rimbombarmi nelle orecchie. Era da quasi quaranta minuti che mi trovavo davanti all'ingresso della scuola. 

Continuavo a ripetermi il discorso che mi ero preparato da giorni e che la sera prima avevo anche ripetuto davanti allo specchio. La mamma mi aveva anche beccato mentre lo facevo e mi aveva guardato bonariamente. Avrei voluto che mi dicesse qualcosa, ma il suo piccolo sorriso le era sembrato abbastanza evidentemente, perché dopo che avevo distolto lo sguardo da lei, aveva proseguito lungo il corridoio superando la mia camera.

Ero consapevole di essermi allontanato da lei e che probabilmente la stessi facendo stare male per quello, ma in quel periodo sentivo solo il bisogno di farmi perdonare da mio padre. Per tutto quello che gli avevo fatto passare negli ultimi anni. Volevo essere un Horan degno di tale nome. 

E in tutto quello mio fratello mi stava facendo un favore, dato che anche lui si era accorto di quel disequilibrio. Io che mi schieravo con il genitore che trascuravo di più e con cui era solito schierarsi lui. Quindi aveva iniziato a passare più tempo con la mamma. L'aveva perfino raggiunta in studio qualche volta quella settimana per poter pranzare insieme a lei.

Avrei dovuto ringraziare Thomas. E forse avrei dovuto smettere di fare l'idiota. Non mi sentivo più io da quando avevo realizzato la mia ultima cazzata. Cercavo in ogni modo di non farne altre e quello era ok. Era un bene, ma ero andato un po' sottotono. Un po' tanto, era meglio dire. La frustrazione e l'esasperazione facevano continuamente capolino in me. Ovviamente perché mi mancava un pezzo da più di due settimane: Derek.

Non sapevo neanche perché fossi uscito di casa quasi un'ora prima che l'ultima campanella suonasse. Continuavo a guardare la finestra che corrispondeva alla mia vecchia classe, probabilmente sperando di vedere uno scorcio di Derek prima che uscisse all'aperto, ma non ero stato così fortunato. 

E adesso mi stavo torturando le mani, con il cappuccio sulla testa in attesa che quella maledetta campanella suonasse. E dopo qualche minuto da quando lo avevo pensato, lo fece per davvero. Mi avvicinai soltanto di poco, mentre gli studenti uscivano e scappavano praticamente via da scuola. E poi lo vidi: Derek stava salutando un nostro compagno, Joseph, con un dolce sorriso che mi fece ingelosire all'istante, ma cercai di non pensarci. Derek proseguì da solo e io gli andai dietro, abbassando il cappuccio della mia felpa. Prima che si mettesse le cuffiette per il tratto di strada fino a casa sua, lo chiamai. "Derek".

In mezzo al caos avrebbe potuto non sentirmi, ma sapevo che non era il nostro caso. Infatti le sue spalle si irrigidirono e il suo passo rallentò, ma solo per un attimo. Solo un occhio come me, che lo aveva fissato per anni e aveva imparato a conoscerlo poteva rendersene conto. Il mio ragazzo, o almeno credevo che lo fosse ancora, non si voltò neanche e dopo un attimo di esitazione continuò a camminare, aumentando la velocità.

Sospirai e lo raggiunsi. "Derek" lo chiamai di nuovo, afferrando il suo braccio per fermarlo.

E in quel momento subii uno dei dolori peggiori. Non tanto fisicamente, quanto più emotivamente. Un affronto che mi meritavo completamente. Derek alzò il braccio e mi schiaffeggiò senza curarsi della gente intorno a noi. La mia testa si era girata a destra sotto la forza del colpo e la mia guancia bruciava.

Tornai a guardarlo, ma non riuscii a dire nulla. Tutto ciò che avevo preparato si era frantumato in mille pezzi in un istante, sparendo completamente dalla mia testa.

Derek mi guardava sprezzante e prima che le lacrime potessero salirgli agli occhi si voltò e andò via. E io non ebbi la forza di seguirlo.

Non ci eravamo detti nulla, ma era come se ci fossimo detti tutto.

Sentii le lacrime annebbiarmi la vista, mentre continuavo a guardare la figura del ragazzo di cui ero innamorato allontanarsi da me e sparire dietro l'angolo.

Avrò Cura di Te 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora