34. Sempre il solito

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"Sono stanco".

"Mi ricordi davvero tanto il tuo papà, piccolo" mi disse la mamma continuando a tenere il tempo mentre io facevo strambi esercizi sull'equilibro e la stabilità, che lei aveva studiato apposta per me. "Stop".

Mi fermai e mi sedetti sul lettino dello studio della mamma. "Ma è proprio sfiancante". Mi lasciai cadere pesantemente con la schiena sul lettino, lasciando le gambe penzoloni fuori di esso. Grugnii per il brusco movimento che avevo fatto e il conseguente fastidio alla schiena.

"Piano" mi ammonì la mamma, prima di venire accanto a me e abbassarsi per farmi passare le braccia intorno al corpo. Mi lasciai coccolare dal suo abbraccio e sospirai per i baci che continuava a lasciarmi sulla guancia. "Il mio bimbo".

"Anche con papà facevi queste cose durante la fisioterapia?" la presi in giro.

"No, con tuo padre era meno divertente. Solo un lamento continuo".

Io ridacchiai, stringendola a mia volta. "Se entra qualcuno adesso penserà che al posto di lavorare, te la fai con il tuo paziente".

"Sì, con mio figlio sedicenne che chiunque conosce" borbottò lei, lasciandomi ancora qualche bacio.

A quel punto la porta si aprì per davvero. "Oddio" squittì una voce femminile, facendo spostare mia madre e facendola raddrizzare di nuovo in piedi. "Scusa Spencer, non...".

Io voltai soltanto di lato la testa e guardai quella ragazza: aveva lunghi capelli scuri e degli occhi blu, un po' nascosti da delle lenti enormi. Forse non aveva neanche l'età di Thomas.

"Sono suo figlio" dissi.

Lei mi lanciò uno sguardo. "Sì, lo so, ma non volevo interrompere il vostro momento di coccole".

"Potevi bussare allora".

Mamma mi fulminò con lo sguardo. "Melanie, lascialo perdere. È scorbutico. Lo sai che ti dico sempre che non c'è bisogno di bussare".

Quella Melanie guardò mia madre e annuì, prima di sedersi alla scrivania e occupare il posto della donna più grande.

"Tu muoviti, passerotto. E torna a lavorare" doveva essere minacciosa, ma quell'appellativo aveva distrutto tutto l'effetto. Mi raddrizzai giusto in tempo per sentire il 'via' di mia madre e tornare a lavorare.

Mamma iniziò a parlare con quella Melanie in un gergo lavorativo che capivo a stento.

I minuti passavano e io iniziavo a sudare, in equilibrio su un piede solo. "Mamma, ti sei scordata di me? Non ce la faccio più" mi lamentai.

"Stop" disse lei senza guardare il cronometro, prima ancora che io finissi la frase. Si era veramente scordata di me!

"Abbiamo finito?" chiesi, ma lei poggiata alla spalliera della sedia e sporta verso i documenti che Melanie stava guardando, continuava a prestare attenzione alla ragazza e a ignorare me.

"Mamma" dissi in tono lamentoso.

"Sì, tesoro. Togliti la maglia che ti massaggio. E poi puoi tornare a casa".

Odiavo quei massaggi alla schiena. Dovevano essere rilassanti, ma per me erano solo fastidiosi per la mia schiena ancora troppo sensibile.

"Vuoi che lo faccia io?" chiese Melanie alla mamma. E io volevo capire improvvisamente chi cavolo fosse quella ragazza. Non volevo che mi toccasse.

"No, tranquilla, faccio io. Tu continua qui". Quasi sospirai di sollievo per la risposta della mamma, mentre mi toglievo la maglia e mi distendevo sullo stomaco.

Avrò Cura di Te 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora