31. Non piangere

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Piccola informazione introduttiva: ho praticamente scritto il capitolo con Purpose di Justin nelle orecchie. Se aveste bisogno di un sottofondo, quindi, è la canzone perfetta.

La cosa peggiore di tutte era quella di non poter poggiare la schiena contro il letto, per i punti e per il bruciore che sentivo su di essa.

No, forse quella non era la cosa peggiore. Forse la cosa peggiore era non avere la sensibilità delle mie gambe. Non riuscire proprio a sentirle. Il mio dottore lo ha chiamato shock spinale, fase che può durare giorni o mesi. La mia spina dorsale ha subito un piccolo danno. Commozione o qualcosa del genere, non ricordavo bene, dato che il mio cervello si era già disconnesso prima che lo dicesse. Dopo quella fase si possono effettivamente capire quali siano i danni permanenti. Sempre se ci saranno. Perché potrebbero non esserci ed è quello che speriamo tutti: che con la guarigione completa della mia spina dorsale, anche il resto sarebbe tornato alla normalità e quelle complicanze sarebbero sparite pian piano.

Non riuscivo neanche a pensare a tutte le conseguenze che avrei dovuto affrontare, se non avessi potuto più camminare. Avrei dovuto rinunciare a troppo. Al mio sport. Alla mia autonomia. Forse anche al mio ragazzo. Come avrei potuto appagarlo se fossi rimasto invalido? Ero perfettamente fermo sul suo viso quando il dottore ci stava spiegando il problema. Era proprio per quello che non avevo capito che cavolo stesse dicendo. Ed era la sua espressione che mi aveva fatto scoppiare a piangere senza riuscire a fermarmi e che mi aveva portato a pregare tutti di uscire dalla mia stanza, nonostante i loro sguardi non volessero: volevano più consolarmi o abbracciarmi, ma non era quello che volevo io. Non che ci fossero proprio tutti all'interno della stanza. Da quando mi ero svegliato non avevo ancora visto mio fratello una volta. Entrava solo mentre dormivo. E quello mi faceva sentire ancora più straziato.

Solo la mia mamma, dopo essersi lanciata uno sguardo con papà, non aveva accettato la mia richiesta ed era rimasta con me, che stavo piangendo e singhiozzando così forte da farmi dannatamente male. Il petto mi bruciava da matti. Almeno in quel modo lo sentivo. Sì, perché anche il mio petto aveva minima sensibilità dopo l'operazione. Ma era normale, mi avevano detto.

Mi sentivo così da schifo. Mia madre si era distesa accanto a me e aveva iniziato ad accarezzarmi i capelli e a baciarmi il viso. "Piccolo mio, non piangere. È solo peggio. Ti fai solo male". Ero contento che lei fosse lì. Avevo bisogno di qualcuno che mi sostenesse in quel momento, anche se cacciando tutti avevo sostenuto il contrario. Volevo che fosse lei. Era la persona migliore per farlo.

"Non voglio..." dissi tra i singhiozzi e quello le bastò per capirmi. Non voglio restare paralizzato.

"Lo so, amore mio. Lo so". Non mi ero neanche accorto che stava piangendo anche lei, perché avevo gli occhi serrati e la sua voce era ferma. La sua mano era il mio unico appiglio. Volevo un suo abbraccio, ma date le mie condizioni sapevo che non poteva darmelo, anche se lo avrebbe voluto pure lei.

Era rimasta lì con me e mi aveva lasciato sfogare e piangere duramente, ma prima che la cosa degenerasse aveva premuto un pulsante per chiamare l'infermiera, che mi aveva sedato e mi aveva ricollegato al respiratore per facilitarmi. Sentii la mia mano allentarsi su quella di mia madre e il suo bacio sulla testa fu l'ultima cosa che sentii prima di cadere di nuovo nel sonno profondo.

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"Perché Thomas non vuole entrare?" chiesi irritato, guardando direttamente mio padre, come se fosse il suo tramite. Aggiustai meglio il busto sulla montagna di cuscini che avevo dietro la schiena e che mi permettevano di sedermi. Anche se in realtà avrei dovuto dire: permettevano agli altri di aiutarmi a farmi sedere.

Lui scrollò le spalle. "Secondo te perché non vuole entrare, Lu?" mi chiese retoricamente.

Eravamo solo io, lui e la mamma nella stanza. Avevamo costretto Derek a tornare in albergo con Angus per poter fare almeno un paio d'ore piene di sonno. Lo avevo salutato dicendo: "Tanto non mi muovo da qui". E ovviamente era stata una battuta di cattivo gusto, che gli aveva fatto diventare gli occhi lucidi. E a me aveva fatto sentire uno schifo, perché non volevo far piangere ancora il mio ragazzo. Volevo un suo bacio, era da giorni che non ne ricevevo uno da lui vero, ma non avevo il coraggio di chiederglielo. Forse lui non voleva...

Avrò Cura di Te 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora