41. Casa

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Mi guardai intorno nella stanza per vedere se qualcosa mi era sfuggito alla vista. E in effetti era così, un paio di boxer di Derek erano sulla poltroncina ad angolo della stanza. Li afferrai, non sapevo neanche se fossero sporchi o puliti. Ah, ma che importava. Li ficcai nello zaino insieme a tutto il resto. Spensi la luce e andai al piano di sotto.

Derek stava seduto alla scrivania, mentre sottolineava qualcosa del libro di chimica. Che sottolineasse con l'evidenziatore anche quella materia mi lasciava allibito.

"Devi imparare quelle formule, più che sottolinearle" gli dissi, raccattando la roba in giro e sistemando casa.

"Ma così ricordo che sono importanti quando le vado a ripassare" si giustificò lui.

Io sospirai. "Le devi ricordare a prescindere. Sono formule, Der".
Lui sbuffò, mentre io gli mettevo una mano sulla testa. "Formule che mi ripeterai sul treno, forza. Va a metterti i pantaloni e la felpa" terminai, guardando Derek ancora in boxer e canottiera.

"Non voglio tornare a casa e a scuola. Mi piace stare qui con te" si lagnò, abbandonando la testa sul tavolo.

"Ci siamo goduti due settimane. Fattele bastare. Ah, quando vai di sopra controlla se stiamo dimenticando qualcosa".

Lui si alzò in piedi e si stiracchiò. "Sì, papà" mi prese in giro.

"Non chiamarmi così. Mi ecciti" dissi, facendolo ridere.

Derek sparì al piano di sopra e io mi lasciai cadere sul divano. Lessi il messaggio che mi era appena arrivato da mia mamma: 'Non vedo l'ora di vederti a casa e abbracciarti, piccolo. Stasera cucino la pasta con la ricetta italiana del nonno che ti piace tanto. E cacciamo papà e dormi nel lettone con me'.

Sorrisi dolcemente. In quelle due settimane mi era mancata alquanto la mia mamma.

Messaggi come quelli erano all'ordine del giorno per me. Non potevo dire lo stesso di Derek.

Per quasi dieci giorni non aveva ricevuto né un messaggio né una chiamata e a lui sembrava non importare. Era quasi come se si sentisse più libero e rilassato lontano dalla sua famiglia.

E noi ne avevamo approfittato: ci eravamo goduti la vacanza, facendo tutto insieme come una vera coppia. Era stato solo un piccolo anteprima di ciò che un giorno saremmo stati, quando saremmo andati a vivere insieme e sarebbe diventato mio marito a tutti gli effetti.

Avevamo anche studiato e Derek con i miei metodi sembrava essere tornato ad una preparazione decente. Ringraziavo il cielo che fossimo iscritti ad una scuola privata e quelle bravate non ci avrebbero giovato se avessimo superato tranquillamente tutti gli esami finali. E poi bastava mandare mio padre a parlare con il preside e si sarebbe risolto tutto.

Avevano un'adorazione impressionante per la famiglia Horan in quella scuola, forse perché papà aveva aiutato anche con i suoi soldi con alcuni progetti di miglioramento. E anche perché eravamo la famiglia più ricca dell'istituto.

Se non avessi avuto il cervello che mi ritrovavo, il resto degli studenti avrebbero sempre tirato in ballo quel particolare, come talvolta succedeva a Thomas anni prima. E invece ero il ragazzo che aveva i voti più alti dell'istituto, che era piuttosto figo e che, almeno precedentemente, era talmente bravo da essere il capitano della squadra di calcio.

Tutti mi portavano rispetto o mi guardavano con timore, viste le mie continue bravate. E ovviamente il mio essere gay non veniva ritenuto un problema. Solo Stephen si era permesso di prendersela con il mio ragazzo, ma aveva fatto una brutta fine comunque.

Pensai subito che una volta finita la scuola a quel ragazzo avrei dovuto dare una lezione. Spaccargli il naso una volta per tutte.

"Che fai? Credevo che stessi sistemando per poter andare e invece sei seduto qui!" esclamò Derek gettandomi le braccia al collo da dietro e premendo le nostre guance insieme. Potevo sentire la sua barba contro la mia pelle. Ancora mi chiedevo perché a lui, biondissimo, fosse già spuntata e a me no. Dannato gene Horan.

Avrò Cura di Te 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora