Capitolo 33

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Osservo la me stessa riflessa nello specchio.

Una ragazza dimagrita. Pelle ed ossa.Dai capelli biondo chiaro quasi platino, lunghi fino al seno. Mossi.

Un vestito che prima mi andava aderente ad ora più largo, nei punti dei fianchi e della pancia. Le gambe coperte da calze nere e ai piedi un paio delle mie ballerine preferite.

Mi bagno le labbra con la lingua, cercando di nascondere le parti screpolate. Gli occhi chiari infossati e le occhiaia che segnano le mie notti insonni.

Sono orrenda. Sia fuori che dentro. Ma è così che devo sentirmi. Orrenda.

Mi domando se anche prima di incontrare Gaia ero così. Come ha fatto ad innamorarsi di me?
Sempre che lei si sia innamorata davvero, di me.

No. Prima di incontrare lei ero diversa. Seria. Avevo obbiettivi. Non mi lasciavo distrarre da paesaggi, possibili obbiettivi della sua macchinetta fotografica. Non marinavo mai la scuola. Ero diversa.

<<Smettila di fare quella faccia Nora, so a cosa stai pensando>> mi dice Angelica dietro di me.

<<No. Non lo sai>> mi giro e la guardo, prendo la giacca e mi avvicino alla porta <<Andiamo>>

<<Sei sicura?>>

<<Sì. Devo chiudere questa storia>> dico convinta.

Il tragitto casa-cimitero è silenzioso. Non ho voglia di parlare. Non so bene cosa aspettarmi di provare, di trovare.

A piedi arriviamo in un quarto d'ora, è una bella giornata di sole, calda. Non concorda con il mio stato d'animo e provo un enorme senso di amarezza.

<<Sono arrivati già tutti>> dice Angelica, quando oltrepassiamo le porte del cimitero.

Un gruppetto di venti, forse trenta persone vestite di nero sono riunite sotto la grande quercia. Le raggiungo, a passi lenti, cercando di ritardare le cose.

Un senso di tristezza mi invade mano a mano che mi avvicino ai genitori di Debora, ai medici che l'hanno seguita, e...a mio padre?

<<Che ci fa lui qui?>>mi domanda Angelica, tenendo lo sguardo fisso su di lui.

<<Fai due più due. Scopavano, Angy. Che faccia di merda che ha per presentarsi qui!>> lo guardo, schifata.

Non riconosco più quell'uomo. È uno sconosciuto ormai.

<<Salve, signora Smith e signore. Le mie condoglianze> la mia amica si rivolge ai genitori di Debora, abbracciandoli e baciandoli.

La signora è pallida e triste. Trema e gli occhi sono lucidi. È fasciata da un caldo cappotto di camoscio nero e un cappello le fodera la testa. Al suo fianco, suo marito le stringe la mano.

<<Ti ringrazio Angelica. Ciao Eleonora, come stai?>> Mi domanda dopo, stringendomi tra le sue braccia.

<<Salve Brook, io sto... sto... devo ancora riprendermi signora. Mi dispiace tanto per Debora, è stata tutta colpa mia>> dico, cercando di mantenere le lacrime.

Lo stomaco si appesantisce ancora di più e i ricordi di me che da piccola giocava con Debora mi raffiorano la mente, è terribile.

<<Non dire così, non è stata colpa tua. Adesso scusami tesoro, devo andare dal prete. Riprenditi>> mi lascia e si incammina, con lei anche suo marito.

<<Ha ragione lei Nora, non prenderti la colpa. Piuttosto, guarda chi sta arrivando>> mi dice Angelica, guardandomi.

Alle mie spalle, un uomo dalla barba ispida e scura, dalle spalle grosse e muscolose si avvicina.

<<Ciao>> mi dice.

<<Che ci fai tu qui? Voglio dire, so che scopavate ma un Po di dignità e di rispetto potevi averlo>> dico a mio padre, che mi guarda sofferente.

<<Senti, so cosa pensi. E hai tutto il diritto di essere arrabbiata con me, ma fammi spiegare...>>

<<No. Non ti lascio fare un bel niente papà. Tu, non hai nessun diritto di stare qui e per di più con quale faccia del cazzo sei venuto a parlare a me, eh? Non ti voglio più vedere>> dico, arrabbiata.

<<Scusami, io ti voglio bene Nora. Scusami per tutto, per te, per Debora, per tua madre...>>

<<Vaffanculo papà. Le tue scuse devi canticchiare a mamma, ma non credo voglia perdonati. Vaffanculo proprio>> sto per andarmene quando qualcuno di inaspettato fa il suo arrivo, al mio fianco.

<<Che sta succedendo qui?>> chiede Gaia guardandoci, nel suo splendore.

Lo stomaco si alleggerisce per un istante, quasi non lo sento più, ma dopo si appesantisce tutto insieme e un misto di tristezza, amarezza, rabbia e rimpianto e amore si impossessano di tutto il mio corpo.

Deglutisco e le gambe diventano gelatina.

<<Stavamo parlando, ma vedo che non sono il benvenuto>> risponde mio padre, andandosene.

Il mio sguardo rimane fermo, immobile in quello di Gaia. Guardo la profondità dei suoi occhi, che tanto mi sono mancati. Li ricordavo perfettamente.

Mi perdo, per un momento in quello sguardo, e non penso più a nessuno. Tutto intorno a noi è svanito. I pianti dei parenti di Debora, gli uccelli che cantano, il tremolio delle foglie, scompare anche la terra sotto i miei piedi e Angelica dietro di me. Rimaniamo solo noi due. Il cuore batte all'impazzata.

<<Cosa ci fai qui?>> chiedo piano, con voce tremolante. Deglutisco ancora una volta.

<<Sono venuta al funerale. Sei magrissima, da quanto non mangi?>> dice seria, guardandomi profondamente.

Percepisco i suoi occhi spogliarmi da tutti i miei pensieri.

<<Da un po. Giusto, devi dire addio a lei>> dico, meccanicamente. Rapita dalle sue labbra, dai suoi occhi e da lei tutta.

<<No. Sono venuta per te. Sapevo che ti avrei rivista qui. Mi manchi tantissimo Ele. Non riesco a stare senza di te. Ti prego. Ti prego, ritorna da me. Ti chiedo scusa>> mi dice, con la voce che trema e che a tratti diventa più bassa. Si avvicina di un passo. Un altro e ci tocchiamo.

Il cuore martella nel mio petto come a voler uscire da dentro di me.

<<Io... Gaia io...>> balbetto. Non so cosa dire. Momenti belli si alternano agli ultimi brutti.

Il nostro primo incontro al bar. Lei che mi sfiora il collo per mettermi il giubotto. La vodka dalla sua bocca alla mia. Il nostro primo bacio. Il bagno della scuola. La nostra prima volta, il primo ti amo e poi Debora. E le due colazioni e le sue parole.

<<Ti prego Ele. Io ti amo. Ti prego. Ritorna da me>> mi sento lo sguardo di Angelica addosso e so cosa sta pensando, ma non so di poterlo fare.

Non so se tornare da lei sia la cosa giusta da fare.

Non credo di poterlo fare.

<<Gaia io...>>

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