Capitolo quarto

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"Non disegno abiti,

disegno sogni."

(Ralph Lauren)

Finii l'articolo a mezzanotte passata e lo spedii subito. Ero stanca ma non avevo sonno. Ruben faceva capolino tra i miei pensieri senza possibilità di cacciarlo dalla testa. Mi alzai dalla scrivania e andai sul balcone per respirare l'aria fresca della notte illuminata dal sole sempre fermo all'orizzonte, coperto da un leggero strato di nuvole. Spirava il vento e mi coprii con uno scialle frangiato, comprato anni prima quando avevo visitato Valencia, in Spagna.

Mi aveva colpito il fatto che Ruben difendesse i più deboli, gli ultimi. Non ero riuscita a ribattergli in faccia chiaro e tondo quel che pensavo di lui: avrebbe significato che non m'importava niente degli altri, il che non era vero. Riuscivo solo a pensare alla sincerità disarmante del mio accompagnatore, al suo essere se stesso fino in fondo, senza calcoli né secondi fini. Diceva esattamente quello che pensava: una dote rara.

Nel mio lavoro, invece, era tutto un calcolo. Era un mondo dorato delle cui regole ero consapevole e alle quali mi ero sempre attenuta senza prevedere che, a causa di quelle stesse, ora Michele mi stava rimpiazzando. Mai avere una relazione col capo.

Mi sentivo uno straccio. Le regole di Ruben, invece, erano diverse: lui era naturale, spontaneo, si preoccupava di poche e semplici cose come vestire in maniera pratica e non avere peli sulla lingua.

Che peccato non essere riusciti a legare!

Beh, peggio per lui!

Appena Michele mi aveva lasciato e, soprattutto, dopo quanto mi aveva costretto a fare (non l'avevo raccontato a nessuno), avevo iniziato ad accarezzare dentro di me una piccola idea. Si era irrobustita col passare dei giorni fino a catturare sempre di più la mia attenzione e guadagnare spazio, molto spazio. Ultimamente, cominciava davvero a intrigarmi.

Avrei detto addio anche alle mie adorate borse e a tutto il raffinato guardaroba accumulato nel corso degli anni - grosso problema - ma d'altronde era una conseguenza che avevo messo in conto. Potevo lasciare scritte due righe dicendo che andasse tutto all'asta, in beneficenza. C'era il fatto, però, che avrei dato un dispiacere ai miei genitori. Mi spezzava il cuore lasciarli, ma stavo troppo male per prendere in considerazione altre ipotesi.

Sentii il beep del cellulare: la notifica dell'arrivo di una mail. Controllai lo schermo: era la mia segretaria che mi scriveva dal suo account di posta privato, da casa quindi.

Mi ricordai che le avevo chiesto di cercare informazioni sul compenso di Ruben per questo lavoro.

Tornai dentro e scaricai la posta elettronica. L'aprii e lessi.

"Cara Carol,

le cose non vanno per niente bene. Tutto quello che sto per dirti è altamente confidenziale, tienilo per te e non farne parola con nessuno. Anzi, cancella questa mail appena l'hai letta.

Il boss ha dato il tuo ufficio ad un nuovo stilista appena assunto, non mi sembra granché visionario nel suo lavoro, ma tant'è: ormai è fatta. Io sono stata assegnata ad un altro ufficio.

Mi manchi. Manchi a tutti per la verità, resti la stilista più brava in assoluto ma non parliamo mai di te in pubblico. Per noi è come se fossi morta, o almeno questa è la sensazione: la volontà del capo cui dobbiamo attenerci.

Non avrei mai immaginato che potesse succedere tutto questo! Soltanto cinque mesi fa eravate così affiatati! Scusa, non dovevo nominare il passato.

Il mio adorabile dilemmaWhere stories live. Discover now