[PRIMI 4 CAPITOLI DEL PREQUEL + SEQUEL IN VIA DI PUBBLICAZIONE]
IL MIO ADORABILE NEMICO (SU AMAZON)
Carol Becker è una bag-designer, una stilista di borse che lavora con successo per una maison milanese. Quando la sua liaison con il proprieta...
Trascorriamo il tempo successivo a sistemare la seconda camera da letto dell'appartamento di Ruben, che lui ha trasformato nel suo studio fotografico. Disponiamo e regoliamo l'intensità dei fari per ottenere l'illuminazione giusta, collochiamo alcuni oggetti in punti strategici come soprammobili ad hoc, controlliamo la sistemazione dei mobili e della poltrona su cui siederà Kylie. E' una stupenda poltrona Frau di pelle marrone, non ho idea di come sia finita a casa di Ruben ma non glielo chiedo. Lavoriamo fianco a fianco, in silenzio.
Alle quindici l'aspettiamo, pronti. E agitati.
Kylie non arriva. C'innervosiamo. Non sappiamo che cosa fare per ammazzare il tempo: io scorro lo smarphone, mentre Ruben cammina avanti e indietro per la casa sistemando tutto quello che gli capita a tiro. Finalmente alle quindici e trenta sentiamo suonare il campanello. Io mi alzo di scatto come una molla e seguo Ruben che si è già catapultato alla porta d'ingresso.
Quando Kylie entra, è vestita come la versione peggiore di Demi Lovato o di tutte le teen-ager di quello stampo: short succinti e top minuscolo. Ruben ha quasi un colpo apoplettico e la squadra malissimo con due occhi incendiari.
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Non si trattiene e sbraita: - Tanto vale che giri direttamente in biancheria!
- Che palle, papà, non rompere! - gli risponde masticando una gomma, che poi va in cucina a sputare nel bidone della spazzatura.
Io ho osservato tutta la scena in piedi nel vano d'entrata, accanto al muro. Quando lei esce e Ruben, spostandosi, mi regala una perfetta visuale di sua figlia, Kylie si accorge di me e sbuffa.
- Ah, ci sei anche tu? - dice.
Eh già, guarda un po', vorrei ribatterle, ma mi mordo la lingua. Incrocio le braccia scoccandole un'occhiata tagliente. Facciamo per entrare tutti nello studio fotografico, ma la stronzetta mi blocca parandomi il braccio davanti.
- Tu no - mi intima. - Sennò non vengo spontanea nelle foto.
Inarco scettica un sopracciglio. Quanto vorrei avere la stessa bravura di Maryl Streep in Il diavolo veste Prada: lei sì che, con quella mossa, trasmetteva un sacco di paura alle sue assistenti.
- Ah sì?
- Sì - afferma senza scomporsi.
- Di' un po', tesoro - l'affronto. - E come farai quando sarai in passerella con tantissimi occhi puntati su di te? Leviamo di torno anche gli spettatori?
- Immagino che Trevi mi darà dei consigli, no?
Assottiglio lo sguardo. Solo sentir nominare il mio ex mi dà il voltastomaco.
- E non li vuoi da me?
- Non sei la mia stilista - mi liquida sbrigativa.
Trattenetemi dallo spaccarle quel bel visino che si ritrova! Faccio per seguirli ugualmente ma Kylie fa uno scatto in avanti, si piazza sulla soglia per impedirmi il passaggio e mi sussurra all'orecchio, velenosa come una serpe e attenta che suo padre non la senta:
- Non prenderai mai il posto di mia madre. Scordatelo.
Mi sbatte la porta in faccia senza che Ruben si sia accorto di nulla e abbia esternato una sola parola di protesta. Sono allibita: ho ancora la faccia paonazza, il cuore batte all'impazzata e gli occhi sono sgranati per l'umiliazione e la sorpresa. Ingrati, tutti e due.
Non resisto un minuto di più, estraggo lo smartphone dalla tasca e scrivo un messaggio a Ruben: LEVO IL DISTURBO. Scendo in strada con le lacrime che mi pizzicano gli occhi. Sono quasi le sedici di sabato pomeriggio: i miei genitori dovrebbero essere a casa, penso. Decido di andare a trovarli per risollevare l'umore: loro gradiscono sempre una sorpresa del genere; e poi sono talmente giù che potrei decidere di mollare Ruben seduta stante e lui non capirebbe nemmeno perché avrei preso una decisione simile. Loro che si amano da una vita, sicuramente mi faranno passare questa balzana idea!
Salgo sulla mia Cinquecento, imbocco le arterie principali milanesi ancora trafficate (anche se mai come nei giorni lavorativi) e rallento solo in prossimità del quartiere residenziale dove abitano. Pregusto già, mentre scendo dall'auto e suono al cancello della villa, quanto saranno felici di vedermi. Infatti, non appena riconoscono la mia voce dal citofono e il cancello si apre con un sonoro clack, mia madre è già sulla soglia di casa che mi aspetta sorridente e gesticolante. Mi stritola in un abbraccio caloroso. Mio padre me ne riserva un altro ancora più forte.
- Sei sempre la benvenuta, Carolina - dice papà, che mi chiama col mio nome di battesimo. Ma sentirlo pronunciare da lui non mi dà fastidio.
- Grazie.
Perspicaci come sono, devono aver intuito che qualcosa non va appena mi hanno visto, ma aspettano che sia io a parlare. Ci trasferiamo in cucina. E' una stanza grande e bellissima, vissuta; è la mia preferita perché lì si respira la fragranza delle cose buone, quelle che non passano mai di moda. La mamma riempie d'acqua la teiera e la mette a bollire sul fuoco mentre papà apparecchia la tavola con le tovagliette americane, i tovaglioli e la zuccheriera, ed estrae le tazze dalla credenza. Mi lascio scivolare sulla sedia, un braccio allungato sul tavolo di legno massiccio. Sospiro e facendo roteare lo sguardo intorno, mi confido con loro.
Mi ascoltano attenti e premurosi come sempre, poi papà mi spiega che, con i figli, non servono tanti ragionamenti ma fatti concreti ed esempi di vita. I figli cercano quelli.
- Ruben è stato un padre assente - continua papà. - E tu lavori in un settore che critichi davanti a lei, ma intanto ci stai bene. Che esempio le date? Non siete coerenti. Ovvio che per lei non contate niente. La madre, per quanto possa essere egoista, è sempre stata al suo fianco e, per come ha potuto, s'è curata. Non sarà facile proporre alla ragazza un esempio diverso.
La mamma annuisce pensierosa. Cavoli se hanno ragione. Mi offrono comunque dei consigli e io racconto loro l'idea di svolgere del volontariato che apprezzano, così che esco da casa dei miei genitori decisamente più sollevata e serena.
Ruben non si è ancora fatto vivo, né io ho voglia di scrivergli. Guido verso casa con un senso di solitudine e di amara sconfitta: starò anche meglio dopo aver parlato con papà, però mi sento sola come un cane. Parcheggio l'auto e salgo sempre abbattuta. Mi muovo per casa come un'anima in pena.
Verso ora di cena sono ancora depressa, quando sento scampanellare. Guardo il videocitofono: è lui. E' Ruben. E ora che faccio?