Capitolo settimo (del sequel)

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Dopo la stoccata amara di Ruben le cose sono andate sempre peggio. Mi ha tenuto il muso mentre caricavamo i bagagli sulla sua Land Rover e lungo tutto il viaggio di ritorno fino a Milano, spiccicando pochissime parole. Arrivati, mi ha scaricata davanti all'ingresso della mia palazzina ed è ripartito salutandomi appena. Quando si arrabbia non sente ragioni: era così quando l'ho conosciuto, e così è rimasto. So che è falso illudermi di cambiarlo, non sono una di quelle donne con la sindrome da crocerossina che va in crisi quando si accorge che il suo uomo resta tale e quale nel tempo. Terminare così però i nostri tre giorni di relax non era nei miei piani, avevo aspettative ben più rosee.

Oggi è giovedì e mi piace: ha il sapore del fine settimana entrante. Sono già trascorsi quattro giorni e la parentesi romantica sembra appartenere ad una vita fa, lontanissima. Siamo tornati alla nostra routine - se così si può definire un ritmo di lavoro massacrante dove siamo in movimento come trottole incapaci di rallentare - e Ruben mi rivolge sempre a stento la parola.

Anzi, martedì è partito per una di quelle missioni umanitarie senza speranza (così le definisco) ma che lo fanno sentire vivo (a suo dire), lasciandomi in brache di tela. Abbiamo un paio di fotografi di riserva se così si possono definire, ma il tocco da maestro di Ruben è unico e mi irrito ogni volta che, di punto in bianco, abbraccia queste cause perse anziché lavorare con me. Gli ho ripetuto un'infinità di volte che dobbiamo essere una squadra, lavorare in team e tutte quelle cose lì; invece lui, quando meno me l'aspetto, se ne esce con queste trovate che deve fotografare lo sparuto villaggio in Kenya o la diga in Botswana per far conoscere al mondo intero lo stato di miseria in cui versano queste popolazioni.

- Come se importasse a qualcuno ... - ho borbottato una volta e lui mi ha incenerito con lo sguardo.

"Che vuoi che siano solo due o tre giorni di lontananza? Parto e sono subito da te" mi rassicura ad ogni partenza. Io temo, però, che una bella volta si stanchi e non torni più, ma questo non glielo dirò mai. Con la mia impulsività e incapacità di stare zitta mi sono intromessa nella sua vita e me ne pento amaramente; del resto stiamo insieme da più di un anno e, tra alti e bassi, è sempre andata magnificamente: proprio adesso le cose dovevano cominciare a girare male? A tre mesi dalla Milano Moda Donna e dalla Fashion Week di New York che apre i battenti a fine agosto? Mi strapperei i capelli per il nervoso.

Una delle lezioni che mi ha insegnato mio padre, industriale d'alto bordo, è che un'azienda per progredire ha bisogno di tre cose: un capo che sappia fare il mestiere con passione, una squadra efficiente ed in gamba, e finanziamenti/sponsor. Da soli non si va avanti. Magari lo capisse anche Ruben!

Dopo aver indossato la mia mise da ufficio (oggi uno shirtdress blu navy che si apre a portafoglio, con una mini Yve Saint Lauren e sandali scamosciati) 

ed essermi concessa la consueta colazione nella pasticceria vicino a casa, varco indenne la pesante porta a vetri della mia maison: la Becker Bag Luxury, un open space tutto vetrate (Renzo Piano approverebbe) nella zona centralissima della Milano ...

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ed essermi concessa la consueta colazione nella pasticceria vicino a casa, varco indenne la pesante porta a vetri della mia maison: la Becker Bag Luxury, un open space tutto vetrate (Renzo Piano approverebbe) nella zona centralissima della Milano Fashion, finanziato in toto da mio padre e dalla buona uscita del licenziamento da Emanuele-bastardo-Trevi. In un anno la mia attività è cresciuta oltre ogni immaginazione, mentre lui ha avuto problemi di liquidità con le banche e il suo brand è in caduta libera con le vendite drasticamente crollate. Per forza che gli sarà venuto un colpo e ora vuole farmela pagare!

Il mio adorabile dilemmaWhere stories live. Discover now