Mi svegliai in una stanza con le pareti verde sbiadito. Sentii la voce di Marta ma non riuscii a capire cosa stava dicendo, ero ancora troppo confuso. Comunque, capii di essere nella camera di un ospedale. La porta si aprì e Marta entrò insieme a Peter, il mio chitarrista.
- Ti sei svegliato! - esclamò lui.
- Sono caduto? Perché siamo in ospedale, mi sono rotto qualcosa? - dissi, verificando mentalmente di avere tutte le ossa al proprio posto. No, non mi ero rotto nulla, però avvertii un gran mal di testa e ricordai la botta presa.
- Sei scivolato dalla cima delle scale e hai battuto la testa, e tutto perché dovevi accenderti la sigaretta. Già quelle schifezze ti fanno male di per sè, te l'ho detto un miliardo di volte, se poi ti devono rincretinire fino a non farti vedere dove metti i piedi! -
- Vabbé Marta si è appena svegliato, magari la ramanzina gliela facciamo dopo, eh? Marco, come ti senti? La testa ti fa male? - chiese Peter.
- Un po' - dissi, massaggiandomi il lato destro della mia fronte. - Ma sto bene! Prendo la mia roba e torniamo a casa! -
- Non puoi - mi informò Marta. - Il dottore poco fa mi ha detto che hai preso una bella botta, e hai riportato un piccolo trauma cranico. Non vuole che esci dall'ospedale subito, perciò adesso vado a prenderti qualcosa da mettere per dormire... -
Sbuffai. L'ultima cosa che volevo era rimanere in ospedale. A dormire poi.
- Ma devo proprio?? Non posso firmare una liberatoria?? - dissi alzandomi dal letto, come a dimostrare che stavo bene. Appena fui in piedi sentii la testa girare vorticosamente e caddi.
- Potresti, ma non credo ti convenga, sai. - rispose Peter, aiutandomi a rimettermi a letto.
- Vabbé, ho capito che non ho scelta. In hotel c'è la mia valigia, l'ho messa sotto il letto. Troverai sicuramente qualche maglietta pulita, le chiavi invece sono nel mio zaino - conclusi, indicando lo zainetto sulla sedia di fronte al letto.
Quando Peter e Marta se ne furono andati, mi guardai ancora intorno. C'era un letto vuoto alla mia destra. Menomale. Mi venne in mente un mio compagno delle medie che si ruppe una gamba mentre giocavamo in cortile. Quando andai a trovarlo, c'era un vecchietto con il piede fasciato in camera con lui. Mi raccontò che russava 24 ore su 24.
- Credo sia narcolettico! - mi aveva detto.
Risi, ripensando a quel fatto. Poi mi ricordai del cellulare. Per fortuna qualcuno me l'aveva portato sul "comodino" accanto al letto. Guardai l'ora. Le 2 e mezzo.
- Marco? - era Marta.
- Ti ho portato una tuta e due magliette! Non ho trovato il pigiama! -
- Ok, grazie Marta!-
- Ti raccomando, riposati, e se hai bisogno di qualcosa non fare di testa tua, premi il bottone che c'è lì e chiama uno dei dottori!-
- Si mamma! - la presi in giro.
- Domani mattina torno a vedere com'è la tua situazione, chiederò se puoi uscire. Vado, Nico e Peter mi stanno aspettando in macchina! - disse lei, e uscì dalla camera.
Dovevo trovare il modo per passare il tempo, quel giorno avevo dormito fino alle 15 e non avevo sonno. Tirai fuori il tablet dallo zainetto che Marta mi aveva portato vicino al letto, per non farmi alzare, pensando di vedere un film. Tirai fuori le cuffie e le inserii nel tablet, optando per American Beauty.
A metà film, vidi che la batteria mi stava abbandonando. Cercai il caricatore nello zaino.
- Nooo porca miseria. È rimasto in albergo! -
Mi rassegnai, guardando Kevin Spacey sparire dallo schermo che si spegneva.
Pensai che sarebbe stato meglio cambiarmi e cercare di dormire. Indossai prima la tuta, poi presi le magliette che mi aveva portato Marta. Indossai quella grigia.
- No, non è possibile... - dissi poi piano, guardando l'altra maglietta. Probabilmente non se n'era accorta. Era bianca, con una scritta sul davanti, me l'aveva relagata il giorno prima quell'idiota di Davide, pensando di essere spiritoso. La scritta diceva "Destinazione Paradiso" con una freccia che indicava in basso.
Per fortuna che non mi aveva portato solo quella. Mi misi a letto, nella speranza di addormentarmi, invano. Decisi di andare in cerca di una macchinetta del caffè, magari una cioccolata calda mi avrebbe conciliato il sonno. Pian piano mi misi in piedi reggendomi al comodino, per evitare di cadere di nuovo, ma la testa non mi girava più. Uscii dalla camera, il corridoio era vuoto. Girai per un pezzo in cerca di un distributore, poi pensai che forse lo avrei trovato al piano di sotto. Cercai un ascensore e vi salii. Premetti il pulsante del pianoterra, e una volta fuori trovai ciò che cercavo. Tirai fuori gli spiccioli che avevo messo in tasca e presi la mia cioccolata calda e uno snack. Mentre bevevo, ebbi un altro capogiro, ma riuscii a sedermi in tempo in una delle poltroncine li accanto.
Dopo aver finito la cioccolata e aver mangiato lo snack, sentendomi stanco anche a causa del giramento di testa, mi diressi all'ascensore per tornare in camera mia, ma probabilmente avevo sbagliato a premere il pulsante, perché mi ritrovai in un piano che non era il mio. C'era un lungo corridoio, le pareti erano grige, e le porte tutte chiuse tranne una. Pensai che forse era una delle stanze dove si trovavano i medici, e siccome mi resi conto che io in effetti non sapevo a che piano stava la mia stanza, decisi di andare a chiedere informazioni. Mi avvicinai alla porta, ma capii subito che non era la stanza dei medici. Era una camera con un solo letto, piena di macchinari che emettevano "bip" di tutti i tipi. Sul letto, intubata, una ragazza molto pallida e magra, con dei lunghi capelli color miele. Sul tavolino c'era un mazzo di fiori, un libro, alcuni cd e un lettore CD con le cuffie. Notai che una delle copertine dei CD era familiare, e feci per avvicinarmi, quando sentii una mano sulla mia spalla e trasalii.