Boville
Una donna, armata di pugnale, li squadrava minacciosa. Cornelia si strinse al petto di Cecilio, che la strinse a sé, sfoderando la spada. «Stai parlando con un centurione di Roma, donna. Ti consiglio di abbassare quell'arma, prima che te la strappi dalle mani!». Cornelia e la donna si guardarono. Quest'ultima, senza abbassare l'arma, fece un passo in avanti, come se volesse controllare un dubbio. «Cornelia?» chiese, meravigliata, abbassando il pugnale. «Artemide!» esclamò la ragazzina, correndo ad abbracciare la donna sotto lo sguardo stupefatto di Cecilio. Cornelia, scioltasi dall'abbraccio, gli si rivolse: «Artemide è la custode della villa. Sono tanti anni che non veniamo qui, dalla morte di mia madre» spiegò. Metello ripose la spada, rasserenato. Poi però si incupì: «Sabino non ti aveva avvertito del vostro arrivo?» chiese. Artemide scosse la testa. «No, non se sapevo nulla. Ecco perché vi ho attaccati. Non viene più nessuno da anni, anche se tengo la villa pronta ad ogni evenienza» rivelò. Cornelia alzò le spalle: «Se ne sarà dimenticato» disse. Metello annuì, pur non essendo convinto: Cornelio Sabino era un uomo estremamente preciso, non avrebbe mai tralasciato alcun dettaglio per sbadataggine. No, se non aveva avvertito la custode non era per una semplice dimenticanza, ma per scelta. Evidentemente non aveva voluto pubblicizzare troppo la loro partenza. Cominciando a scaricare il baule di Cornelia e i viveri, aiutato da Artemide, Metello si chiese per l'ennesima volta per quale motivo avesse allontanato sua figlia da Roma. Cominciava a pensare che fosse un motivo serio. E che lo avrebbe coinvolto più del necessario.
Roma
«Spegnete» disse Sabino, calmo. Gli uomini lo guardarono, sbalorditi: «Ma...è sacrilegio non portare avanti la cremazione!» protestò uno di loro. «L'anima non avrà pace, e ci tormenterà!». Sabino alzò le spalle, non essendo minimante colpito da quelle parole. «Ѐ la giusta pena per le sue colpe. Spegnete» ripeté, costringendo gli uomini a spegnere le fiamme. Dopo che il corpo si fu raffreddato, fu coperto da un sottile strato di terra. Gli uomini, vittime della superstizione, non vedevano l'ora di andarsene. Sabino li pagò e quelli si dileguarono, correndo via.
Boville
Era ormai scesa la sera, ed Artemide, Cornelia e Cecilio erano seduti intorno al tavolo. La custode, che era stata la balia della madre di Cornelia quando era bambina, era un'ottima cuoca: aveva preparato un'ottima zuppa d'avena, unita ad un vino rosso che scaldava il corpo da quell'inverno gelido. Essendo in campagna, poi, l'aria era ancora più frizzante rispetto all'Urbe. Cecilio era convinto che la ragazza, abituata ai luculliani banchetti nella casa paterna, avrebbe storto il naso di fronte a quel pasto frugale. Invece, la ragazza cominciò a mangiare con gusto, lanciando anche dei versi di apprezzamento che la cuoca accolse con un sorriso. Intercettando lo sguardo di Cecilio, e intuendone i pensieri, scoppiò a ridere: «Ti aspettavi che facessi storie, vero? Ma io mi so adattare se voglio, te l'ho detto» disse, con un luccichio divertito negli occhi. Il centurione incassò, alzando le spalle. «Sei molto diversa da quello che credevo, lo ammetto» replicò. Cornelia riprese a mangiare, con un sorriso divertito. «Somigli molto a tua madre» intervenne Artemide, versando altro vino al centurione. Cornelia si bloccò, alzando lo sguardo. «Lo dice sempre anche papà» mormorò. «Tu, però, hai sempre avuto fin da piccola un bel caratterino» proseguì la custode, sorridendo. «Papà dice sempre che sono troppo ribelle, e che nessuno accetterà di sposarmi» disse, con aria furba. «Sciocchezze! Sei bellissima, avrai presto tutti i migliori uomini ai tuoi piedi. Non trovi, centurione?» ribatté Artemide, rivolgendosi a Cecilio che non aveva staccato gli occhi di dosso dalla ragazza. Si riscosse, stupendosi di se stesso. «Come? Oh si, certo, troverà un buon partito. E dovrà mettere la testa a posto» replicò, bevendo dalla sua coppa. Cornelia scoppiò a ridere, rendendo luminosi i suoi occhi scuri: «Questo mai» disse, fiera. Cecilio scosse la testa, divertito.
Improvvisamente si sentì un rumore di zoccoli, e un nitrito, come di un cavallo che si fosse fermato fuori la villa. Cecilio tornò serio e prese la spada, che aveva posato accanto a sé sul tavolo. Il nitrito era diventato sempre più vicino, e non c'erano dubbi: qualcuno li stava cercando. «Rimanete qui» ordinò, e Cornelia aprì la bocca per protestare, ma un'occhiata del centurione la zittì. Cecilio sfoderò la spada e prese una torcia, aprendo la porta di pesante legno. Nella notte un uomo su un cavallo baio lo guardò: «Sei tu Cecilio Metello?» chiese, sospettoso. Il centurione notò che il cavallo era parecchio sudato, e anche il cavaliere aveva l'aria stanca: doveva aver cavalcato per parecchie ore. «Sono io. Cosa vuoi, chi ti manda?» rispose. Il cavaliere si rilassò, avendo trovato la persona che cercava. «Porto un messaggio da parte di Cornelio Sabino. Vi dice di rimanere qui, e di non parlare con nessuno. Potrete tornare a Roma quando le cose si saranno calmate, e sarà eletto il nuovo imperatore». Cecilio sussultò: «Cosa? Il nuovo imperatore?». Il cavaliere sbatté le palpebre, perplesso. Poi si rese conto che Boville era molto isolata, e che le notizie circolavano più lentamente. «Caligola è morto. Ѐ stato ucciso dai pretoriani» spiegò. Cecilio rimase basito a quella notizia. Questo significava che anche Sabino era coinvolto nell'omicidio. Si limitò a un cenno di saluto al cavaliere che, dopo aver spronato il cavallo, ripartì, sparendo nella notte. «Non è vero! Quell'uomo mente!» Cecilio si voltò e vide Cornelia, con le braccia conserte, e una smorfia di rabbia. Non fece in tempo ad inseguirla, che la ragazza era già sparita in casa.
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Fumo Rosso
Historical FictionRoma, 41 d.C.: l'imperatore Caligola sta per essere ucciso dalle sue guardie del corpo. Cornelio Sabino, a capo della congiura contro l'imperatore, affida sua figlia Cornelia, bellissima e orgogliosa sedicenne, alle cure del centurione Cecilio Metel...