Un'occasione per Claudio

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Boville

Cecilio si svegliò, come era sua abitudine, all'alba. Ormai i primi raggi del sole erano diventati il segnale che doveva aprire gli occhi. In quei giorni che aveva passato in campagna, poi, un gallo mattiniero gli dava sempre il buongiorno. Cecilio rimase nel letto, godendosi quella sensazione di benessere che pervade dopo un sonno ristoratore. A dire il vero, però, Cecilio aveva fatto un sogno. Ripensandoci, aggrottò la fronte. Era stato un sogno confuso, fumoso, ma ora gliene tornavano in mente alcuni brandelli: aveva sognato Cornelia. Di questo, era certo; perché l'inconscio aveva potenziato la sensazione che da sveglio, razionalmente, riusciva a dominare. Nel sogno, vedeva Cornelia fuggire, correre veloce, vestita di un lungo abito rosso. Lui la inseguiva, ma nonostante corresse più veloce di lei, la ragazza finiva sempre per sfuggirgli. A un certo punto l'aveva chiamata, urlando il suo nome. Cornelia allora si era girata verso di lui, rivelando il volto coperto dalle lacrime. Cecilio allora era riuscito ad afferrarla, con un gesto disperato, e Cornelia si era abbandonata al suo abbraccio. In quel momento, nonostante fosse solo un sogno, Cecilio si era sentito davvero felice, come non gli capitava da tempo.

Roma

Claudio osservava i due uomini che aveva di fronte con curiosità. Gli era ormai chiaro che nessuno aveva in mente di ucciderlo, e si era rilassato. Lo pervadeva però la smania di sapere cosa quegli uomini volessero da lui. Cornelio Sabino gli fece cenno di sedersi, e Claudio eseguì. «Ti starai chiedendo» iniziò, con la sua voce stentorea, «Per quale motivo abbiamo voluto vederti». Claudio rimase in silenzio, limitandosi ad annuire. A quel punto prese la parola Cherea, impaziente di svelarlo. «Noi, pensiamo, Claudio, che tu possa diventare un bravo imperatore. Non lo pensiamo solo noi, ma anche il Senato». Sabino annuì, notando l'espressione stupita dell'uomo. «Imperatore? Io?» chiese infatti Claudio, sorpreso. Sabino soffocò una risata pensando a quanti uomini, al suo posto, avrebbero accettato senza fare domande. «Si, tu. Pensiamo che tu sia un uomo posato, equilibrato. Nulla a che vedere con la follia di tuo nipote» disse. Claudio sbatté le palpebre, riflettendo. «Quindi è per questo che sono stato risparmiato...» mormorò. Alzò lo sguardo su i due uomini, uno sguardo che ora era determinazione pura. «Dite che il Senato è d'accordo. Ma io so bene che i senatori non guardano con favore alla mia dinastia. Solo Augusto è stato capace di ammansirli» disse, e Cornelio apprezzò quel suo lato critico. Significava che Claudio stava accettando l'idea. Cherea alzò le spalle, in un gesto di noncuranza: «Hai ragione, ma si stanno abituando all'idea. Quelle vecchie cariatidi fanno la voce grossa, ma ci vuole poco a convincerli» rispose. Claudio ponderò quelle parole in silenzio, soppesandole. «Mi fido di voi. Immagino...di non avere scelta» disse infine, con un sospiro. Cherea e Sabino si scambiarono uno sguardo d'intesa.

Rimasti soli, Cherea guardò l'amico, con una velata preoccupazione nello sguardo. «Vai a riposare, Sabino. Tutto procede secondo i nostri piani» disse, posandogli una mano sulla spalla. L'uomo scosse la testa, determinato. «Dormirò stanotte. Ora non ci riuscirei» rispose. Cherea stette un attimo in silenzio. Poi parlò: «Cornelia...ha saputo?». Sabino annuì, lentamente. «Sono certo che capirà che il tuo gesto...» riprese Cherea, ma l'altro lo interruppe, alzando una mano. «Non è questo che mi preoccupa. Cornelia non è come le altre ragazze; ha ricevuto un'educazione completa. Le ho insegnato a pensare, a farsi un'opinione. Ѐ altro che temo» disse. Cherea lo guardò, perplesso: «Non ti capisco, Sabino. Se sai che tua figlia starà dalla tua parte, cosa temi? Il centurione che la sorveglia...» iniziò, ma un'occhiata fulminante di Sabino lo ridusse al silenzio. «Parli troppo, Cassio! Anche i muri hanno orecchie, dovresti saperlo!» ruggì. Poi però si tranquillizzò, arrivando a sorridere. «Si, Cornelia è al sicuro. Ma io temo che faccia un colpo di testa, che venga a Roma per tentare di aiutarmi» rivelò. Cherea non poté nascondere, nel suo sguardo, una certa incredulità, che Sabino colse, con un sorriso divertito. «Lo so, tu vedi in lei una bellissima ragazzina, e nient'altro. Ma io che la conosco, so che non è inferiore a nessun ragazzo della sua età, in quanto a cervello» sorrise, pieno d'affetto. «Ѐ ciò a cui tengo di più, Cassio. Non potrei mai pensare di rinunciare a lei».

Boville

Cecilio, entrando nella sala, trovò solo Artemide, impegnata a mettere in tavola una parca colazione. Il centurione si guardò intorno, perplesso: «Cornelia ancora dorme?» chiese. La custode scosse la testa, tornando ad occuparsi della tavola. Indispettito, Cecilio le si avvicinò: «Insomma, dov'è?». Artemide lo guardò con un misto di rabbia e fastidio. «Non posso dirtelo» ammise, finendo di sistemare il vino. Cecilio perse la pazienza: «Tu devi dirmelo, vecchia! Ti ricordo che sono pagato per proteggere quella ragazzina testarda, che le piaccia o meno! Te lo chiedo di nuovo: dov'è?». La custode abbandonò i piatti e lo fissò, con determinazione. «Finché la riterrai solo una ragazzina testarda, centurione, dubito che otterrai qualcosa da lei. Cornelia è molto più di questo, per sua fortuna e sfortuna allo stesso tempo» iniziò, con un tono secco. Cecilio, colpito, rimase in silenzio. Artemide prese quindi ancora la parola: «Ti sei calmato, bene. Nonostante questo, non risponderò alla tua domanda. Sei pagato per proteggerla, non per comandarla: non sei il suo padrone. Lei mi ha chiesto di non dirti nulla, e così farò» aggiunse, con sguardo bellicoso. Cecilio sbatté le palpebre, sempre più stupito. Capì di aver sbagliato. «Voglio davvero sapere dove si trovi...» ammise, a voce bassa. «Voglio sapere se sta bene» aggiunse, rendendosi conto che quelle parole corrispondevano al suo sogno. Era così: voleva proteggere Cornelia non perché doveva, ma perché voleva. Artemide lo fissò attentamente, rimanendo in silenzio. Poi, lentamente, sorrise. «Si, ti credo. Va bene, allora. Ma prima devo rivelarti perché questo giorno, per Cornelia, è così particolare». Cecilio si fece attento. La donna si sedette, per far riposare le gambe. «Forse già sai che la madre di Cornelia morì di parto. Fu una morte atroce, credimi. Fu tentato un cesareo, una nuova tecnica che è mal vista, ma in alcuni casi permette di salvare sia la madre che il bambino. Insomma, Lucilla stava morendo. In casa, a parte noi schiavi e la levatrice, c'era solo Cornelia, che all'epoca era solo una bambina. Sabino era altrove, impegnato come al solito» e qui arricciò le labbra in un atto di rimprovero «e tornò solo quando Lucilla era ormai morta». Si interruppe, versandosi del vino. «Insomma, Cornelia assisté sua madre tutto il tempo. Dubito che capisse cosa davvero stesse accadendo, ma si prodigò, meglio di noi. Avrà avuto cinque o sei anni, non ricordo, ma dovevi vedere come tentò il tutto per tutto per salvare la vita di sua madre. Era distrutta, povera piccola» terminò, scuotendo la testa al ricordo. «Hai detto noi schiavi?» domandò Cecilio, pensieroso. Artemide annuì, sovrappensiero. «Si, certo. Pensavo l'avessi capito: Lucilla è morta qui, proprio in questa stanza. E oggi sono esattamente dieci anni dalla sua morte. Ecco perché la villa è stata poi abbandonata, e sono rimasta solo io, come custode» chiarì. Cecilio era sconvolto: che peso aveva dovuto portare, quella ragazzina che a prima vista sembrava così viziata! Ecco perché sembrava odiare così tanto quel posto: non era perché era lontano da Roma, ma perché le ricordava il trauma subito. «Dov'è, ora?» chiese, tornando a guardare la vecchia custode. «Ѐ al fiume, Lucilla è stata seppellita lì vicino» rispose Artemide, e non aveva ancora finito di parlare che Cecilio si era precipitato fuori.

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