Roma
Un'ombra lo fece sussultare per l'ennesima volta. La scopa di saggina con la quale stava sistemando le foglie cadute dagli alberi gli scivolò di mano, cadendo a terra con uno schiocco. Sospirò, chinandosi a raccogliere la scopa, lanciando un'occhiata intorno a sé. Non c'era nulla, dietro al cespuglio. Eppure quel luogo era maledetto, lui lo sapeva. Il suo collega, che stava sistemando una siepe poco più avanti, gli si avvicinò. «Hai avuto ancora quella sensazione, vero?» chiese, guardandolo con benevolenza. Fuscos alzò lo sguardo, squadrando il giovane collega con aria critica. Sapeva di non essere creduto, ma lui se lo sentiva nelle vecchie ossa: l'anima del defunto imperatore vagava per quei luoghi, cercando la pace che la mancata cremazione gli aveva precluso. «Certo che si. Ѐ un luogo maledetto, questo» rispose, seccamente. Riprese a spazzare il cortile, borbottando tra sé qualcosa sul suo essere incompreso, allontanandosi verso il portico. Il suo collega rimase a guardarlo, in silenzio. Una brezza fredda cominciò a spirare, come succedeva sempre a quell'ora, facendolo tremare, seppure indossasse una tunica di lana grezza. In effetti, quel luogo era spettrale, soprattutto quando avanzava la sera. Gli sembrò che il vento gli stesse portando una voce, una voce fredda, carica d'odio. Suo malgrado, sussultò.
Incredibile.
Era la parola che da due giorni albergava nella mente di Claudio: incredibile che suo nipote, il potente, sanguinario e apparentemente inarrestabile Caligola fosse morto e che lui, lo zio zoppo e preso in giro da tutti, fosse sopravvissuto. Camminando a fatica per i corridoi del palazzo, dove ancora abitava, Claudio rifletteva. Se il suo corpo si era rivelato deforme e sgraziato, la sua mente invece era lucida e pronta: amava leggere, studiare; farsi un'opinione. Era stata una fortuna, tutto sommato, nascere così: Caligola lo aveva sottovalutato, risparmiato perché lo aveva ritenuto innocuo, uno che mai avrebbe potuto aspirare al trono. In verità, pensò Claudio, fermandosi per dare sollievo alla gamba, a lui del trono non interessava nulla. Il solo pensiero di dover prendere delle decisioni, essere il punto di riferimento per un'intera popolazione, lo atterriva. Soprattutto perché il futuro imperatore avrebbe dovuto porre rimedio ai numerosi errori di Caligola: far scordare i suoi torti, cancellare il sangue che l'imperatore aveva sparso su Roma. Già si era iniziato cominciando a cancellare il nome di Caligola dalle varie epigrafi, nei monumenti, e distruggendo le statue con la sua effigie. Era la cosiddetta damnatio memoriae: i posteri non avrebbero mai dovuto conoscere il nome di Gaio Cesare, detto Caligola. Non era degno di essere ricordato. Sentendo dei passi nel corridoio, Claudio sussultò. Un altro pensiero che lo assillava era il perché si trovasse ancora a Roma: le sue nipoti, sorelle di Caligola, erano state esiliate. Perché lui, invece, si trovava ancora lì? Sentendo i passi farsi sempre più vicini, si nascose dietro una tenda, sperando di passare inosservato. Si sforzò di trattenere il respiro, chiudendo gli occhi. I passi si fecero sempre più intensi, fino a fermarsi davanti alla tenda. Claudio si trovò a pregare con fermezza Giove e tutti gli Dei, pregandoli di salvargli la vita. Sentiva un respiro regolare, percepiva una presenza. Sperò che chiunque fosse, proseguisse il suo cammino.
All'improvviso, una mano afferrò la tenda e la tirò, scoprendolo. Claudio spalancò gli occhi di scatto, trovandosi di fronte Cassio Cherea, uno dei pretoriani che avevano ucciso Caligola. «Ti prego, risparmiami!» si trovò a supplicare, alzando le mani. Mai come in quel momento la sua vita gli sembrava cara, e non era disposto a rinunciarvi. Per sua fortuna, Cherea scoppiò a ridere: «Poco furba la tua mossa. Anche un bambino si sarebbe accorto che ti trovavi lì dietro» disse, divertito. Claudio rimase in silenzio, stupito da quella reazione. «Non... non mi ucciderai?» mormorò, ancora terrorizzato. Cherea sorrise: «No, niente affatto. Ma ora ti prego di seguirmi. Ti conviene, credimi: è tutto nel tuo interesse».
* La frase "Umbres inquietatos" e cioè "spaventati dalle ombre" è una citazione da Svetonio, che ricordo essere la mia fonte principale per questo romanzo. Svetonio racconta che l'anima tormentata di Caligola, stando ad alcune dicerie, tormentava i custodi della sua casa...
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Fumo Rosso
Historical FictionRoma, 41 d.C.: l'imperatore Caligola sta per essere ucciso dalle sue guardie del corpo. Cornelio Sabino, a capo della congiura contro l'imperatore, affida sua figlia Cornelia, bellissima e orgogliosa sedicenne, alle cure del centurione Cecilio Metel...