Appena Cecilio varcò la soglia, Sergio scoppiò a ridere. «Eccolo qua, il nostro eroe. Vieni qui, Giulia» intimò alla figlia, tendendole una mano. «Guarda l'uomo per cui ti sei rovinata» aggiunse. Giulia si avvicinò al padre, togliendosi il velo. Metello si sentì stringere il cuore alla vista del suo bel viso, arrossato dal pianto, e dai suoi occhi lucidi e tristi. «Giulia, permettimi di spiegare...» iniziò, ma Sergio lo interruppe: «Non osare rivolgerti a lei, sono stato chiaro? Dovrei farti giustiziare per la tua impudenza!». Cornelio Sabino, che era rimasto in silenzio, intervenne: «Sono stato ai patti, Sergio: Ti sto permettendo di parlare con Metello in casa mia. Ma forse la vostra questione è troppo privata, non è il caso ...». Il patrizio lo guardò, scuotendo la testa. «Sei stato onesto, è vero. Ma voglio che tu senta tutto, su quest'uomo. Se ha rovinato mia figlia, potrebbe rovinare anche la tua» insinuò, velenoso. Sabino strinse la mascella, soffocando la rabbia. «Lascia fuori Cornelia da questa storia» sibilò. A quelle parole, la figlia fece il suo ingresso, lasciando il padre sbigottito. «Cornelia, torna nelle tue stanze. Non c'è niente qui che ti riguardi» le intimò, sperando di infonderle autorità con il solo sguardo. Ma la figlia fece orecchie da mercante, rivolgendosi direttamente a Sergio. «Quest'uomo non mi ha affatto rovinata. Ci amiamo, e questo è quanto. E per quanto potere tu abbia, questo non potrai cambiarlo» disse. «Cornelia, fai come ti ho detto» ruggì Sabino, fuori di sé. Metello sorrise leggermente, impressionato dal carattere di quella ragazzina di cui si era innamorato. Sergio fece un mezzo inchino verso Cornelia, beffardo. «Tua figlia, Sabino, parla senza rispetto, ma con coraggio. Forse se la mia Giulia avesse avuto un briciolo del suo carattere, nulla sarebbe accaduto» disse, suscitando nella figlia un'occhiata di rabbia. Poi lo sguardo della giovane si opacizzò di nuovo. «Ma, come direbbe Cesare, alea iacta est, il dado è tratto. Mia figlia è rovinata per sempre, e tu» disse, puntando l'indice tozzo verso Metello «ne sei la causa. Perciò dimmi, centurione: come pensi di riparare?». Cecilio sospirò, annuendo. «Ѐ vero. Giulia si è concessa a me prima del matrimonio» ammise. «Senatore, io voglio bene a tua figlia, ma non posso più sposarla. Sarei un pessimo marito». Sabino, a malincuore, provò ammirazione per quel centurione. Strinse a sé Cornelia, per impedirle di fare qualche sciocchezza. «Deve affrontarlo da solo» le sussurrò, e la ragazza non replicò, per una volta. Sergio scoppiò a ridere, una risata gorgogliante. «Un pessimo marito? E chi non lo è? Giulio Cesare, era un pessimo marito. E gli Dei sanno quanto Caligola fosse pessimo ... Io voglio riparazione» sibilò, sputando saliva. «Mia figlia deve sposarsi con te, e basta. Non sono disposto a negoziare.»
La decisione era presa. Mancavano poche ore all'alba, e alla proclamazione dei proscritti, coloro che sarebbero stati giustiziati. I loro beni sarebbero stati confiscati e avrebbero rimpinguato le casse dello stato, che dopo gli stravizi di Caligola, erano in seria difficoltà. Claudio non riusciva a prendere sonno. Coperto dal solo mantello, si recò nella sala del trono, tallonato da un nugolo di schiavi, che congedò. «Ma, Imperatore ...» protestò uno di loro, che fu interrotto da un secco cenno della mano. Solo Pallante ebbe il permesso di rimanere accanto a lui. «Dunque è vero? La mia corona d'alloro è sporca di sangue?» chiese. Pallante sussultò, a quella domanda. «Parla liberamente» gli disse Claudio, intuendo i suoi pensieri. Il liberto tossicchiò, a disagio. «Imperatore, siete sopravissuto per una sola ragione: governare Roma. Non curatevi delle parole di un senatore ...» gli suggerì. «Mi piace studiare, leggere. So tutto degli Etruschi. Sono fatto per una vita contemplativa, non di azione» sospirò, liberando il suo vero timore: «Non voglio essere come mio nipote». Pallante rispose sinceramente: «Nessuno potrà essere come Caligola. Vostro nipote è morto, ormai. E anche se il suo fantasma, pare – badate bene, pare - si aggira ancora per Roma, che male può farvi? Voi siete diverso». Claudio sorrise con gratitudine a quelle parole. «Eppure sto condannando a morte degli uomini, che mi hanno permesso di essere qui, oggi». «Si, ma è vostro dovere farlo. Un domani potrebbero uccidere anche voi, lo sapete bene. La vostra è legittima difesa». Claudio sorrise, rasserenato. «E sia, Pallante. E sia»
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Fumo Rosso
Historical FictionRoma, 41 d.C.: l'imperatore Caligola sta per essere ucciso dalle sue guardie del corpo. Cornelio Sabino, a capo della congiura contro l'imperatore, affida sua figlia Cornelia, bellissima e orgogliosa sedicenne, alle cure del centurione Cecilio Metel...