Verso la fine

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«Credo che Roma ti debba molto, Cornelio» iniziò Sergio, sedendosi di fronte al suo avversario. «Ci hai liberato da un tiranno. Solo gli Dei sanno cosa Caligola avrebbe potuto fare, se tu e i tuoi non l'aveste fermato». Uno schiavo gli porse un calice pieno di vino che Sergio prese, cominciando a sorseggiare. Sabino lo ascoltava, in silenzio. Alle spalle di Sergio, la figlia Giulia sedeva in un angolo, coperta dal velo. Si tormentava le mani, lo sguardo basso. «Ti ringrazio delle tue parole. Ma dimmi, cosa ti ha condotto qui? E come mai hai portato con te la tua bella figlia?». Sergio lanciò un'occhiata a Giulia, come se la vedesse solo in quel momento. Posò il calice sul tripode che aveva di fronte. «Credo tu sappia che Giulia, nonostante il mio parere contrario, sia promessa a Cecilio Metello, un centurione che tu conosci molto bene» spiegò. Cornelio annuì, sorseggiando vino dal suo calice. «I Metelli sono una famiglia molto antica e nobile. E da quello che so, Cecilio è ricco e ben voluto. Potrebbe chiedere il congedo, ed ottenere un florido appezzamento» replicò. Sergio sorrise, congratulandosi silenziosamente con Sabino. «Infatti, è come dici. Ma sono giorni che Metello è sparito, ben prima che Caligola morisse. E pare che abbia scortato tua figlia al sicuro, a Boville. Ѐ vero?». "Maledette spie" pensò Cornelio, finendo il vino con un sorso. "Per quanto io le paghi, sono pronte a vendersi al miglior offerente". «Si, è vero. Ma sono tornati a Roma. Dunque, sono sicuro che Metello verrà da voi...» «Balle!» lo interruppe Sergio, scaraventando il suo calice in terra. Il suo viso divenne paonazzo e una vena cominciò a pulsare sulla sua fronte. Giulia cominciò a singhiozzare, spaventata. «Ti prego di calmarti, Sergio. Sei in una casa rispettata» disse Sabino, gelido. Sergio si chinò in avanti. I suoi occhi sporgenti, lucidi di rabbia, sembravano pronti a schizzare fuori dalle orbite. «So che Metello è qui, in questa casa. Tu lo stai nascondendo. Chiamalo fuori, Sabino. Lo sai che non conviene avermi come nemico» sibilò.

«Devo affrontare le mie responsabilità» stava dicendo intanto Cecilio, a voce bassa, dietro la finta parete. Un affresco raffigurante il rapimento di Persefone celava, al posto degli occhi di Plutone, due buchi. Accanto a lui, Cornelia sbuffò. «Facendoti minacciare da quel pallone gonfiato?» si interruppe. «Quella frignona è Giulia?» Cecilio soffocò una risata. «Si». La ragazza si scostò dalla parete, e guardò il centurione. «Io ti amo Cecilio. Non avrei mai creduto possibile pronunciare queste parole, ma è così». L'uomo si sorprese della disarmante sincerità di quella ragazza, che era riuscita, in poco tempo, dove molte donne avevano fallito. «Ti amo» rispose Metello, convinto. «Ragazzina bellissima e testarda» aggiunse, perdendosi nei suoi occhi neri come la pece. «Attento, potrei montarmi la testa» lo rimbeccò Cornelia, che doveva avere sempre l'ultima parola. Poi Cornelio, al di là della parete, richiamò Metello.

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