Passione

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Cornelia era seduta sul suo letto, guardandosi i piedi. Cecilio si fermò vicino alla stipite della porta, prendendosi un momento per guardarla. «Non ho intenzione di scappare. Starò qui tutta la sera. Risparmiati la fatica» disse Cornelia, senza guardarlo. Evidentemente aveva percepito i suoi passi. L'uomo entrò nella stanza. «Non ti stavo controllando» rispose, con calma. La ragazzina si voltò verso di lui, fissandolo severamente con i suoi occhi scuri. «Strano» rispose poi «Ѐ quello che sai fare meglio. Anche stamattina». Cecilio la guardò storto: «Stamattina non ti stavo controllando. Volevo assicurarmi che stessi bene». Cornelia alzò il sopracciglio, scuotendo poi la testa. Il centurione tolse la cinta di cuoio e l'appoggiò su un tripode, vicino a un braciere che riscaldava la stanza. Poi alzò entrambe le mani, in segno di resa. «D'accordo» disse. «Facciamo così: per questa sera, non sarò il centurione Cecilio Metello, ma solamente Cecilio. Ho il permesso di sedermi accanto a te?» chiese. Cornelia annuì, lentamente. «Non è conveniente che un uomo adulto entri nella stanza di una ragazza illibata» aggiunse, lievemente imbarazzato, sedendosi accanto a lei. «E chi ti dice che io lo sia?» lo provocò Cornelia, con un sorriso divertito. Cecilio, infastidito, strinse gli occhi, riducendoli a due fessure. «Non scherzare» ringhiò, piano. L'immagine di Cornelia, nuda, stesa su un letto e preda di un orgasmo gli dava al cervello, tanto da essere costretto a distogliere lo sguardo. Cornelia continuava a sorridere: «Non sto scherzando» disse, alzando le spalle. Cecilio si voltò di scatto verso di lei, prendendole un polso, e avvicinandosi così tanto da notare le rare efelidi che aveva sul naso. «Smettila. Di. Scherzare» scandì. Cornelia sostenne il suo sguardo, e i suoi occhi sprizzarono scintille di determinazione: «E perché? A te cosa importa, se non sono più vergine?» rispose. Quella domanda colpì Cecilio come uno schiaffo. Liberò la stretta, voltandosi verso il muro. Respirava affannosamente, preda della rabbia e della gelosia. Già, gelosia. Era quello il veleno che si era insinuato dentro di lui. Cornelia si massaggiò il polso, in silenzio. «Scusami» mormorò Cecilio «Non volevo farti male». «Ci sono tanti modi per fare male. Non sempre la violenza fisica è quella peggiore» rispose la ragazza, con un tono che la faceva sembrare più vecchia di quello che era. «Che vuoi dire?» chiese Cecilio, incuriosito. «Noi» rispose semplicemente la ragazza. «Stamattina. Ora. Ci stiamo facendo del male» aggiunse. Cecilio rimase in silenzio, capendo perfettamente il succo del discorso di Cornelia. «Sei veramente andata a letto con un uomo?» chiese poi, piano. «Dimmi perché lo vuoi sapere» rispose Cornelia, in un sussurro. «L'idea che un uomo ti abbia toccata mi fa impazzire. Rispondi: sei andata a letto con un uomo?» ripeté, guardandola fisso. E poiché Cornelia non rispondeva, si avvicinò di più a lei, costringendolo a guardarla. «Ho bisogno di saperlo, Cornelia. Ti prego». La ragazza lo guardò, scuotendo poi la testa, lentamente. Cecilio si rilassò, accarezzando le sue guance con dolcezza. Due lacrime scesero dagli occhi di Cornelia, lucide e silenziose, e come quella mattina Cecilio le raccolse con i pollici. «Non capisci che è tutto inutile, Cecilio? Tutto! Noi, tu ed io. Mio padre, il suo tentativo di cambiare Roma, il mio esilio qui! Se devo morire, morirò comunque!» esclamò, stizzita. «Tu non morirai» scandì Cecilio, baciandola delicatamente sulle labbra. Cornelia, dopo un momento di esitazione, ricambiò il bacio.

Roma

«Pensavo che fossi uno di noi, Tullio» disse Milone, capo del drappello che gli venne incontro, in quella notte gelida, sul Campidoglio. «Lo sono, infatti» replicò il senatore, grato che il buio nascondesse il suo viso contratto dal freddo e dal nervoso. «E proprio per questo, vi dico che è inutile questo assedio. Claudio sarà il nuovo imperatore» aggiunse, squadrandoli con aria di sfida. La sua frase strappò espressioni di protesta, ma non si scoraggiò. «Fai finire questo assedio, Milone. Ѐ inutile rincorrere un mito perduto. Pensiamo piuttosto a trarre vantaggio dal regno di Claudio» riprese, sperando di risultare convincente. Milone lo fissò all'ombra della torcia che teneva vicino al viso. Tullio lo stimava come uomo intelligente e caparbio, uno che combatteva per le sue idee, ma sapeva anche quando sacrificare gli ideali per ottenere risultati concreti. «E sia» disse, e la sua frase risuonò solenne nel silenzio. «Ritiriamoci» urlò poi, affinché tutti potessero sentirlo.

Claudio era circondato da sentinelle, quella notte. Il giorno dopo, lo sapeva, sarebbe cambiato tutto: avrebbe smesso di essere lo zoppo deriso da tutti, e sarebbe diventato imperatore, padrone di Roma, una divinità. Gli balenò alla mente il viso di sua nonna Antonia, che fin da quando era piccolo lo aveva sempre squadrato dall'alto in basso, con disprezzo, giudicandolo troppo stupido. «Hai visto, nonna?» pensò, con un lampo di soddisfazione. «E tu che dicevi che ero un buono a nulla». Si rigirò, per poter guardare il cielo stellato. Rise piano, pensando che il suo nome, un giorno, avrebbe brillato tra le stelle.

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