Il vero volto di Claudio

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Nei suoi primi giorni da imperatore, Claudio amava fare principalmente una cosa: ricordare. Si sedeva nella sua biblioteca, pretendeva di rimanere solo, e ricordava, prendendosi la testa tra le mani. Suo padre Druso era morto quando lui era ancora piccolo, e lo ricordava a malapena. Ricordava bene invece il disprezzo malcelato di sua madre Antonia: fin da bambino, qualsiasi cosa dicesse o facesse, alla madre non andava bene. "Prendi esempio da Germanico" lo ammoniva, additando il fratello maggiore, idolo delle sue truppe. Per via dei suoi problemi di salute e della sua indole fin troppo tranquilla, era chiaro che nella stirpe Giulio - Claudia non avrebbe potuto occupare un posto di spicco: e così, gli avevano affibbiato, come pedagogo, uno stalliere. Un barbaro. Digrignò i denti, a quel ricordo. Se ne era liberato ben presto, ma l'infamia gli bruciava ancora. Per non parlare di sua nonna Livia, moglie del grande Augusto, e che ora veniva celebrata come Diva Augusta, unica moglie a Roma a contare qualcosa anche dopo morte. Ebbe un sorriso solo per Germanico. Voleva bene a suo fratello: era l'unico che lo rispettava, l'unico che, in qualche modo, prendeva le sue difese contro la sua famiglia. Aveva pianto, quando era arrivata la notizia che Germanico era morto, improvvisamente, nell'accampamento dove aveva portato anche la sua famiglia: la moglie Agrippina e i suoi figli, tra cui Gaio Cesare, il futuro Caligola. Cominciò a ridere, sommessamente. Caligola ... quel nipote disgraziato che sembrava uscito dagli Inferi, era morto. E lui, ora, era l'imperatore di Roma. Nessuno poteva più dirgli cosa dire o cosa fare, nessuno poteva più correggerlo. Nessuno.

"Guardami adesso, nonna. Guardami ora, madre. Si direbbe che avete sbagliato i vostri conti".

Cornelio aspettava, impaziente. Quando vide il carro varcare l'arco della sua tenuta, sorrise e sospirò di sollievo. Quel nodo di tensione che da giorni attanagliava il suo petto sembrò finalmente sciolto, almeno in quel momento. Cornelia scese dal carro e gli andò incontro, abbracciandolo. Sabino chiuse gli occhi, assaporandosi quel momento che pregustava da giorni. Cherea scese dal carro e aspettò, in disparte. Stessa cosa fece Cecilio, smontando da cavallo. Sabino tolse il velo alla figlia e contemplò il suo viso. "Cornelia, mia cara ... c'è qualcosa di diverso in te" notò, con una lieve inquietudine nella voce. Ed era vero: sotto i capelli biondissimi, quasi diafani, gli occhi così simili ai suoi rimandavano una luce diversa, più matura. Era come se fosse partita una ragazza e fosse tornata, al suo posto, una giovane donna. "Mi siete mancato, padre. Ma avete ragione: qualcosa è cambiato" rispose Cornelia, con la sua solita sicurezza. Si voltò verso Cecilio, che ricambiò il suo sguardo, lievemente a disagio. Sabino saettò lo sguardo da una all'altro, e si incupì. "Venite dentro, allora. Dobbiamo parlare di molte cose".

"Allora, hai preso nota?" chiese Claudio, assiso sul suo trono. La corona di alloro gli carezzava piacevolmente la fronte. Il suo liberto di fiducia, Pallante, annuì e si inchinò leggermente. "Si, o Imperatore. Sono pronto a ripetere." Claudio fletté leggermente la mano destra e quello, interpretando correttamente il suo gesto, iniziò a sciorinare la lista: "Per prima cosa, gli onori alla Diva Augusta. Poi, la processione circense con gli elefanti, come fece anche il Divo Augusto. Inoltre c'è da conferire a vostra madre Antonia il titolo di Augusta. Poi, la rappresentazione in onore del defunto Germanico ..." si interruppe, per riprendere fiato. "Poi la celebrazione del giorno di nascita di vostro padre Druso" proseguì, e Claudio lo interruppe. "Poiché coincide con quella di mio nonno Marco Antonio" specificò, e Pallante si affrettò ad annuire, cerimonioso, appuntandosi con lo stilo l'importante specificazione. "Ecco, è tutto." Concluse, inchinandosi di nuovo. Claudio annuì, solennemente. "Ah, ci sarebbe una cosa che ... ma forse è meglio parlarne in un altro momento" si interruppe Pallante, incerto. "Parla pure" lo spronò Claudio, incuriosito. "Sono arrivate delle lettere da Seneca, lo ricorderete, è stato esiliato perché aveva una relazione con una delle vostre nipoti ... ecco, chiederebbe di poter tornare a Roma" sputò fuori, quasi con fastidio, Pallante. Claudio sorrise. "Non rispondete a queste lettere. Seneca rimane dov'è. Almeno per ora." Pallante si inchinò e fece dietro-front, uscendo dalla sala.

Claudio, rimasto solo, sorrise. Certo, quanto avrebbe sputare sul ricordo dei suoi antenati. Ma non poteva esimersi da quelle decisioni. Ma qualcosa stava per cambiare: era grato ai congiurati di Caligola, e lo aveva dimostrato coprendoli d'oro. Ma stavano diventando scomodi, troppo scomodi. Bisognava eliminarne qualcuno. E lui già sapeva chi.

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