Cornelia fu la prima a riscuotersi, con un piccolo brivido. Cecilio, come colpito da una scossa, tolse le mani, diventate, a causa del prolungato contatto, calde. La ragazza sembrava spaesata: un lieve rossore si propagò sulle sue guance, che risultarono ancora più rosse dal contrasto con i capelli biondissimi. «Perdonami» sussurrò, e scappò via.
Roma
Sabino si passò una mano sul volto, cercando di cancellare la stanchezza. «Credevo che fossimo d'accordo, Tullio...» disse, tornando a guardare il senatore che, per la prima volta, appariva lievemente imbarazzato. Lo aveva chiamato intenzionalmente per nome, anziché con la sua carica. Era stufo dei modi affettati e viscidi di quei quattro vecchi scervellati. «E ora mi vieni a dire che avete occupato il foro e il Campidoglio?» aggiunse, strappando a Scherea, dietro alle sue spalle, un sospiro rabbioso. Il senatore represse un moto di fastidio, artigliando un lembo della bianca tunica d'ordinanza. «Sono mortificato, Sabino. Ma credimi, non sono venuto meno ai nostri patti. Ma c'è ancora chi crede al mito della Repubblica. Un mito che, come ben sappiamo, è ormai perduto» si difese. I suoi occhi stillavano gocce di rabbia: non gli piaceva trovarsi in posizione di svantaggio, e non gli piaceva doversi scusare con nessuno. Ma faceva politica da tempo sufficiente per sapere che a volte per fare un passo avanti bisogna fare un passo indietro. Leggi assurde della politica.
Sabino lo fissò. Sapeva bene che le sue scuse erano false, ma sapeva anche che il senatore era in una posizione scomoda: non era così stupido da sostenere una missione suicida, ed aveva accettato, di certo per sue ragioni di comodo, l'elezione di Claudio. Decise di approfittare del suo vantaggio. «E sia, Tullio. Diciamo che la situazione ti è sfuggita di mano» disse, lanciandogli una frecciatina che il senatore accolse con un lievito tremito all'occhio sinistro, rimanendo tuttavia in silenzio. Cornelio si sporse in avanti, con aria complice. Scherea rimase al suo posto, fissando però il senatore. «Ma ora devi dirmi da che parte stai. Perché da oggi, Tullio, non si scherza. Claudio deve diventare imperatore, già da domani. Perciò ti chiedo: a chi andrà il tuo sostegno?»
Il senatore guardò dapprima Sabino, poi Scherea, il quale, in silenzio, aveva portato la mano sull'elsa della spada. Un gesto eloquente, che Tullio incassò senza fiatare. Ostentò tranquillità. Sorrise. «A voi, ovviamente. E al nostro nuovo imperatore».
Boville
Cornelia sedeva al tavolo, in disparte. Artemide la servì per prima, con una carezza che la ragazza accolse con un lieve sorriso. Da quando erano rientrati, mezzi assiderati, non lo aveva più guardato, né tantomeno gli aveva rivolto la parola. Cecilio cominciò a mangiare in silenzio, guardando la ragazza di sottecchi. Gli sembrava di sentire ancora, impresso sulle mani, il tocco delicato di Cornelia. Aggrottò la fronte: ma cosa gli stava capitando? Ne suoi trenta anni di vita (e qualcosa in più) aveva sempre avuto la fama di uomo impassibile, freddo, quasi antipatico. Per non parlare della sua condotta di soldato: sempre puntuale, obbediente. E quando era stato promosso centurione, aveva preteso la stessa disciplina che lui stesso aveva seguito. Anche con le donne, poi: ovviamente gli interessavano, soprattutto dal punto di vista sessuale. Da ragazzino era stato iniziato al sesso nei bordelli, e aveva avuto qualche relazione infuocata, piena di passione bruciante quanto effimera. Con Giulia credeva di essersi sistemato, una storia senza fronzoli; con una ragazza educata e di buona famiglia. Eppure quella ragazzina, in pochi giorni, era riuscita ad aprire in lui una breccia che si stava aprendo sempre di più, uno spazio luminoso che non credeva di avere.
Fu risvegliato improvvisamente dai suoi pensieri da un rumore secco. Cornelia aveva lasciato cadere il cucchiaio nella sua ciotola ormai vuota. Si alzò in piedi, alzando lo sguardo per la prima volta durante la cena. «Io ho finito» annunciò, prima di voltare le spalle ed uscire dalla stanza. Cecilio la seguì con lo sguardo, fino a quando uscì dalla stanza. Per qualche minuto, continuò a mangiare. Poi, detestandosi, abbandonò anch'esso il cucchiaio e si alzò. Artemide lo vide uscire, senza il bisogno di chiedersi dove fosse diretto. «Che Giove ci protegga» mormorò, riprendendo poi a mangiare.
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Fumo Rosso
Historical FictionRoma, 41 d.C.: l'imperatore Caligola sta per essere ucciso dalle sue guardie del corpo. Cornelio Sabino, a capo della congiura contro l'imperatore, affida sua figlia Cornelia, bellissima e orgogliosa sedicenne, alle cure del centurione Cecilio Metel...