«Spero si tratti di uno scherzo di cattivo gusto» replicò Cornelio, gelido. Saettò lo sguardo da Cornelia a Cecilio. Su quest'ultimo appuntò uno sguardo di disgusto, che poi distolse. La figlia gli restituì lo sguardo, per nulla intimorita. «Niente affatto, padre. Cecilio ha chiesto la mia mano, e io ho accettato». Metello, che non aveva detto neanche una parola, decise che era il momento di intervenire: «Sabino, è la verità. Non so spiegarti cosa sia successo, ma noi ...» «Basta così!» lo interruppe Cornelio, urlando, allargando le braccia. «Dovete essere impazziti, non c'è altra spiegazione!» proseguì. «Cecilio Metello, se non sbaglio sei già promesso. Ora spiegami come puoi prometterti ad un'altra donna» disse, guardando il centurione con aria trionfante. Cornelia, che non aveva perso minimamente la calma, intervenne: «Ѐ semplice padre. Cecilio romperà la sua prima promessa. Si può fare, no? Pagherà una somma come penale ...» spiegò. Cornelio scosse la testa. «Non capisci. Non capite! Quest'uomo» e indicò Cecilio «Ѐ promesso alla figlia di uno dei più importanti patrizi di Roma! Non si liquida la figlia di un uomo del genere come se niente fosse. E in questo periodo non ho proprio bisogno di nuovi nemici» concluse, sentendo quel nodo nel petto tornare e farsi più forte. «Padre, ho sempre fatto quello che tu mi hai chiesto, senza replicare. Possibile che tu non possa avverare un mio desiderio?» protestò Cornelia, testarda. Lo sguardo di Sabino si addolcì, a quelle parole, e si riempì di tristezza allo stesso tempo. «Mia cara, se potessi, avvererei il tuo desiderio. Ma non posso» ammise. In quel momento, uno schiavo si inchinò al loro cospetto. «Dominus, il patrizio Sergio è qui fuori. Chiede con insistenza di vedere Cecilio Metello, e anche te». Cornelio lo congedò con un cenno della mano. Sospirò. «Come vedete, è troppo tardi. Posso aggiungere un nemico alla mia lista».
«Mi sento di sconsigliarvi da proseguire su questa linea, imperatore». Claudio lanciò un'occhiata nervosa nella direzione del suo interlocutore. Era un senatore basso e tarchiato, che però godeva di una fluente parlantina: proprio per questo, godeva della stima dei suoi colleghi. «Spiegatemi il motivo» gli ordinò. Il senatore, per niente turbato, eseguì: «Siamo in un periodo delicato. Avete preso il potere da poco, e la vostra corona di alloro è ancora sporca del sangue di vostro nipote. Condannare a morte i pretoriani vorrebbe dire spargerne ancora. Suggerisco di aspettare». «Aspettare cosa? Che uccidano anche me?» replicò Claudio, suscitando un'eco di risate, che subito si spense. La sua parlantina era allo stesso livello del senatore, che incassò il colpo. «Li avete coperti d'oro» replicò, meravigliando Claudio, che credeva di averlo sistemato. «Vi proteggeranno. I pretoriani sono fedeli a chi li paga» concluse. Partì un breve applauso che scemò ad un'occhiataccia dell'imperatore. «Erano pagati anche da mio nipote» disse Claudio. «Questo non gli ha impedito di ucciderlo come un cane». Il senatore sorrise. «Caligola era pazzo. Il popolo inneggia a loro come dei liberatori. Ucciderli vorrebbe dire restaurare la tirannia». «Insomma basta!» ruggì Claudio, esasperato. Tutti tacquero, sorpresi da quella reazione. «Caligola era pazzo, è vero. Ma era pur sempre mio nipote» proseguì. «Discendiamo dal Divo Augusto, e uccidere la sua progenie, per quanto malvagia, è un crimine». Prese un respiro, guardandosi intorno. «Il mio liberto Pallante ha una lista. Ordino che gli uomini su questa lista siano condannati a morte.»
STAI LEGGENDO
Fumo Rosso
Historical FictionRoma, 41 d.C.: l'imperatore Caligola sta per essere ucciso dalle sue guardie del corpo. Cornelio Sabino, a capo della congiura contro l'imperatore, affida sua figlia Cornelia, bellissima e orgogliosa sedicenne, alle cure del centurione Cecilio Metel...