Capitolo 4

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Al suo faticoso risveglio, un intenso odore di selvatico risalì le narici di Diana, penetrandole nella mente annebbiata e pulsante. Senza capire cosa le fosse capitato, la ragazza si trovò costretta in una spessa e rozza coperta di lana, cullata dal dondolio ritmico della marcia di un cavallo. Il bosco la accerchiava e in lontananza riusciva a intravedere una casupola circondata da un'alta pineta. Improvvisamente cosciente di una presenza che la sosteneva e le respirava contro, alzò lo sguardo e svenne nuovamente: un'ombra gigantesca dai lunghi capelli corvini la stringeva, bloccandola contro di sé...


Con le gambe e le braccia lanciate verso i quattro punti cardinali, i capelli spettinati sopra gli occhi, la faccia sciolta sul cuscino e i muscoli completamente amalgamati al materasso, Gaia quella mattina era l'immagine stessa della devastazione. Non si sentiva dell'animo giusto per alzarsi dal letto e, per com'era iniziata la giornata, aveva il presentimento che avrebbe fatto meglio a girarsi dall'altra parte e riprendere a dormire. Aveva sonno, tanto sonno e le innumerevoli prove di connessione con il suo cervello non avevano ancora dato risultato.Se la notte l'aveva tormentata con incubi di mucche indemoniate che le correvano dietro per mangiarle i capelli, il giorno l'aveva svegliata con il dolce suono dell'aspirapolvere. Sua madre, un'anima candida che si svegliava sempre alle 6 del mattino con il sorriso sulle labbra e una gran voglia di pulizie, si era addirittura costretta ad aspettare fino alle 7 per attivarsi.Attaccare l'aspirapolvere era il messaggio, anche non troppo velato, che chiunque si fosse arrischiato a dormire ancora a un'ora tanto indecente doveva immediatamente svegliarsi, alzarsi e impiegare il proprio tempo in qualcosa di utile. Soluzioni come usare tappi per le orecchie, ficcarsi il cuscino sulla testa, tappezzare i muri della camera con le confezioni delle uova per insonorizzarla o tranciare la spina dell'aspirapolvere, servivano solo ad aumentare l'allegria di Gigliola, che s'impegnava ancora di più nella drastica missione di salvataggio dell'umanità dalla pigrizia, a partire dalla propria figlia.«Amoreeee? Svegliati cara», canticchiò la madre attraverso la porta.Gigliola parlava sempre con un irritante tono melodico, come se fosse la donna più gioiosa e felice al mondo; perfino quando si arrabbiava, cantava; la differenza si poteva leggere nel colore "fiamme dell'inferno" degli occhi. Forse era veramente una donna serena o forse così le passava la paura, chi lo sa. Un tono del genere, comunque, di solito aveva il risultato di irritare le persone e Gaia era una persona decisamente molto irritabile.Quel giorno, però, non aveva nemmeno la forza di innervosirsi. Era a malapena consapevole del proprio corpo, figurarsi delle proprie emozioni.Giusto per verificare di possederlo ancora, un corpo, cominciò a sforzare i muscoletti dell'indice della mano sinistra, ficcata a pettine nel bruno nido per aquile che avevano formato i suoi capelli durante la notte: il dito rispondeva agli stimoli nervosi, perfetto. Con varie prove di trasmissione dati, riuscì poi ad alzare la palpebra dell'unico occhio libero dalla morbidezza del cuscino, ad arricciare il naso e a sfilare la mano destra da sotto il materasso: aveva perso totalmente la sensibilità e si stava ora riattivando con un formicolio straziante.Nel frattempo mamma e aspirapolvere indemoniato, tornati dalla ricerca di polvere assassina per il resto della casa, si erano accorti della porta ancora chiusa della stanza di Gaia e ringhiando risoluti si erano riavvicinati.«Crocchetta di patateee? Svegliati tesoro che è tardiii!», cinguettò Gigliola, posizionando il bocchettone dell'aspirapolvere direttamente sulla serratura sprangata.Gaia tuffò violentemente il viso nel cuscino brontolando rabbiosa e, prendendo a calci e a pugni il materasso, scaraventò istericamente in aria coperte, lenzuola e Isabella, la coccinella di peluche. Incredibile, vent'anni suonati e ancora la chiamava "crocchetta di patate"; per non parlare di quando se ne usciva con nomignoli del tipo "broccoletto fritto", "cipollina cruda" o "carciofino sott'olio". Impazziva per i contorni di verdure.Alzandosi di scatto, pestando pesantemente i piedi sulle mattonelle fresche, Gaia andò a spalancare la porta puntando due occhi cerchiati sul volto sorridente della madre.«Che brutti occhi, carotina lessa, hai dormito male?»Dalla gola della ragazza uscì solo un basso muggito di risposta, poi con un sospiro si trascinò fino alla cucina, dove l'aspettava la colazione: latte, biscotti al cioccolato e un bicchiere di spremuta.Seduta poco elegantemente sulla sedia, con il mento appoggiato al tavolo, Gaia si limitò a osservare la tazza arancione che le sorrideva raggiante.«Cosa ridi, stupida tazza?»«Non prendertela con lei, pensa che ti vede così ogni mattina e ha ancora la forza di sorridere», le sussurrò dolcemente all'orecchio una voce.Gaia si girò di scatto, quasi scivolando dalla sedia e finendo tra le braccia del ragazzo più braccato della città: aria da pirata, maliziosi occhi scuri e lunghi capelli neri raccolti in un basso codino, Leone, con i suoi muscoli, alimentava i desideri inconfessabili di ogni femmina dai 12 ai 102 anni. «Fratellone!», strillò piena di stupore, abbracciandolo con forza.«Ti sono mancato, bestia?», le chiese lui con affetto.Gaia si mise a ridere, tirandogli un lieve pugno tra le costole.«Non provare a scomparire più per tanto tempo. Altri tre mesi da figlia unica non li faccio, mostro.»«Sono così insopportabili mamma e papà?»Gaia gli lanciò un'occhiataccia.«Non faccio nemmeno la fatica di risponderti. Quando sei arrivato?»«Ieri sera, era troppo tardi per venirvi a salutare, Sirene sembrava già una città fantasma.»Gaia spalancò gli occhi al ricordo della notte precedente. «Eri tu! Siete arrivati su dei carri? Mi pareva di aver visto anche la tua brutta faccia, ma non ne ero così sicura.»«Sei una dolcezza, sorellina. Non voglio sapere cosa ci facevi in giro a quell'ora», gli disse lui andandosi a sedere sul divano del salotto.«E fai bene», gli rispose con un sorriso enigmatico.Il rumore dell'aspirapolvere, intanto, si faceva più vicino e poco dopo la testa bionda della madre spuntò dal vano della porta.«Leone!»Gigliola saltò come un grillo fino all'alta figura del figlio, abbracciandolo stretto, ma tenendo sempre in mano il tubo dell'infernale aggeggio.«Mamma...»«Ma come ti sei conciato? Avrai due strati di polvere addosso, dovrei buttarti direttamente in lavatrice.»Il trillo del campanello li bloccò per un istante. Gigliola fu la prima a muoversi. Aprendo la porta, non si stupì nel trovarsi di fronte Ambra, la migliore amica della figlia. Con la stessa furia di un uragano, la ragazza entrò spedita nella stanza, chiamando Gaia con un tono di voce che sfiorava gli ultrasuoni. Gigliola era ormai abituata a quegli scatti folli, ma Leone molto meno: prese prontamente un cuscino, mettendoselo davanti al torace in un vano tentativo di protezione.Gaia avrebbe voluto filmare l'esatto momento in cui Ambra si rese conto della presenza del fratello: in un attimo sbiancò in viso e poi divenne improvvisamente rossa. La guardò con le braccia incrociate e mezzo sorriso sulle labbra, consapevole che un suo qualunque intervento avrebbe solo messo in imbarazzo l'amica; lei, infatti, si riprese subito e adottò l'atteggiamento che usava con i clienti della pasticceria di famiglia: calma e un sorriso gentile.«Oh, Leone. Bentornato. Avevo notato i carri questa mattina, tutto bene?», gli chiese Ambra tranquillamente. Solo il tremore delle mani intrecciate rivelava la sua agitazione.«Sì, tutto ok. Tu stai bene?», le rispose alzandosi in piedi e avvicinandosi lentamente. Le arrivò a pochi centimetri e, mettendole una mano sulla vita, accostò il viso al suo, schioccandole due baci sulle guance, ora rosse come amarene.«Oh. Sì, sì», riuscì a rispondere lei.Leone si distanziò con mezzo sorriso furbo, stupito ma intimamente soddisfatto della confusione della ragazza. Gaia decise che era arrivato il momento di intervenire.«Sono già le sette e mezza! Ambra, vieni su con me che mi vesto e poi andiamo?»«Dove?», chiese Ambra imbambolata.Gaia non perse nemmeno tempo per risponderle e si girò verso scale.«Leone, tu cosa fai? Mangi con noi a pranzo?», intervenne in quel momento Gigliola, che se n'era stata in disparte a osservare.«No, mangio con la compagnia. Adesso vado a salutare papà e poi torno là.»Il ragazzo la sfidava con gli occhi. La madre ricambiò a tono, con uno sguardo del tipo "ti conviene venire più spesso a trovarci", ma gli sorrise zuccherosa.«Ok! Lo trovi a teatro. Se cambi idea, volentieri.»Annuendo distratto, il ragazzo salutò con un bacio Gigliola e uscì.Come se le avessero a un tratto tolto l'armatura, Ambra si afflosciò addosso a Gaia, che la sostenne ridendo fino alla camera.«Cavolo, cavolo, cavolo. È tornato», cominciò a brontolare la ragazza, strattonando per un braccio l'amica.«Ho visto», replicò Gaia, tentando di infilarsi un paio di pantaloni.«Rimane?»«Boh.»«Non ce la faccio. Non ce la faccio!»«Ma va, che sei stata fantastica prima... non ha capito nessuno che stavi per svenirgli addosso.» Una bugia a fin di bene non poteva farle male.«Dici? Però, trovarmelo qui...»«È mio fratello», le ricordò l'amica infilandosi una maglietta extralarge.«Sì, avrei dovuto pensarci.»«Dai, ragazza, sono pronta. Ho preso tutto quello che mi serve. Andiamo, qui anche la polvere ha le orecchie», la spronò Gaia una volta terminato di vestirsi.Ambra continuò a parlare a macchinetta per tutto il tragitto verso lo studio medico del dott. Panciera, dove entrambe seguivano un tirocinio per il ruolo di infermiere.Gatto le seguiva a poche zampe di distanza.«L'hai visto? L'hai visto, eh? È tornato più bello di prima. E quegli occhi! Non sembra un bandito, con quel codino? Cavolo, Gaia, cosa faccio? Non posso pensare che se ne andrà via di nuovo. E se ne trova un'altra? Forse dovrei dirglielo, che ne dici? Glielo dico? Magari mi ride in faccia, oppure che gli dispiace, ma che non sono il suo tipo o che non può perché sono amica tua, che sarebbe peggio. Ma gli hai visto i muscoli? Che gli farei... Mi prende troppo, Gaia. Lo porterei nel bosco e gli farei dimenticare la realtà, se ne avessi il coraggio. Quando prima mi ha baciato le guance! Gli sarei saltata in braccio anche davanti a tua mamma! Dopo passiamo vicino allo spiazzo, vero? Adesso che è tornato almeno posso vederlo per un po'. Sai che ho ancora la sua foto nel portafoglio?»Gaia la lasciò parlare a ruota libera. Poi a un tratto sbuffò e, tirando fuori un pezzo di cioccolata dalla borsa, lo tuffò nella bocca dell'amica, interrompendo il fiume di parole.«Ambra, ti voglio bene e posso riempirti di quintali di cioccolata, se ti fanno sentire meglio, ma sono cinque anni che vuoi mio fratello. Hai due possibilità: o glielo dici o te lo togli dalla zucca!»Ambra si limitò a sospirare.«Forse potrei offrirmi come assistente nei suoi numeri di taglio della persona. Magari riesco a chiuderlo insieme con me nel baule. Che ne dici?», chiese mezza seria a Gaia.Le due ragazze scoppiarono a ridere, una disperata, l'altra esasperata. Insieme si prepararono a una nuova giornata di lavoro.

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