Capitolo 13

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Massimo l'accolse con un mezzo sorriso, il primo che lei gli avesse mai visto.

«Non vi sapevo capace di cacciare. Siete stata brava.»

Il complimento riscaldò la ragazza più del fuoco acceso nel caminetto e, compiaciuta, si sedette a guardare attenta mentre lui le insegnava come pulire l'animale e cucinarlo.

«Ho una sorpresa per voi, Diana. Per la vostra testa piena di lividi», le disse dopo cena, porgendole un vasetto di terracotta; era colmo di un liquido denso, dall'odore pungente. Massimo si sedette di fronte a lei e gentilmente glielo spalmò sulla fronte.

«Grazie», sussurrò lei, gli occhi ambrati così vicini ai suoi.

Lui non le rispose e, alzandosi di scatto, fuggì nel bosco...


Il tramonto ammantava la piazza di una luce soffusa, facendo apparire Sirene un'isola circondata dal nulla. Le persone camminavano, sorridevano, salutavano. Erano tutti piacevolmente rilassati. I bambini ricevevano senza insistere lo zucchero filato e i rimproveri rimanevano a casa. C'era gente ovunque, ci si pestava i piedi per riuscire a passare tra le bancarelle dei negozianti del paese, poste ad abbracciare l'intera piazza. Bianca e Giovanni Farina, i fornai della città, sorridevano dietro un banco traboccante di panini, focacce e pizze, oltre che crostate e biscotti, attirando chi non aveva voluto aspettare per partecipare alla festa e aveva saltato la cena.
Gaia aveva raggiunto da sola la festa, d'accordo di incontrarsi con la compagnia vicino alla fontana spenta della piazza, e ora sorrideva passando in rassegna ogni banco. Tutto era perfettamente in equilibrio, prestabilito, logico. Se i Farina vendevano pane, l'alimentare Ghiotto offriva pesce fritto, ali di pollo e patate al forno; il signor Tagliaferro, proprietario della ferramenta in città, aveva colto l'occasione per mostrare ai suoi concittadini le sue grandiose e agghiaccianti sculture in ferro battuto. Le sorelle Pianta - Ardisia, Brionia e Clivia, tre zitelle pettegole con la passione per il giardinaggio - vendevano fiori di ogni sorta accanto agli Erbisti, i farmacisti della città, che offrivano i loro prodotti: dalle tisane per gli insonni ai saponi profumati alla lavanda. Senza dimenticare il piccolo banco di legno massiccio e tarlato del signor Calza, che si offriva di risuolare sul momento scarpe di cuoio o incollare un tacco scollato, e la giovane Piubello, parrucchiera ed estetista, che seduta su una comoda poltrona e attorniata dai colori, dipingeva le facce dei bambini e disegnava tatuaggi ai ragazzi.
Tutti avevano il loro posto prestabilito nell'ordinata Sirene e ognuno si tramandava da generazioni conoscenze e strumenti, negozi e prodotti. Anche se alcuni, con gli anni, avevano ristrutturato la loro attività con un pizzico d'ironia: la famiglia Fumagalli aveva abbandonato la produzione di polli da pasto aprendo una tabaccheria in centro, i Bevilacqua, proprietari della sorgente del Rio Corto, avevano avviato un bar vicino al municipio e i Dal Magro possedevano l'unico ristorante-pizzeria di Sirene.
Tutta quella prevedibilità la faceva sorridere e Gaia si sentiva finalmente rilassata dopo giorni di tensione. Anzi, i pochi artisti della compagnia che si vedevano qua e là, chi a vendere i quadri fatti al momento con i colori spray, chi con i trampoli a creare animali con i palloncini, chi a riempire l'aria di enormi bolle colorate, non la disturbavano.
Mancava ancora qualche minuto alle nove, orario che il sindaco aveva indicato come inizio della festa, perciò Gaia si diresse verso il centro della piazza. A spintoni riuscì a raggiungere la fontana: le panchine che la circondavano erano tutte occupate, ma non dalle persone che cercava lei. Si avvicinò a quella struttura massiccia che raffigurava un gigantesco fiore a quattro petali regolari, vagamente incuriosita dai nuovi vasi che ne seguivano il perimetro: di metallo lavorato, raccoglievano pezzi di corteccia al posto della terra e i fiori infilzati erano di legno. Curioso.
Stava cercando Ambra tra la ressa di persone attorno a lei, quando improvvisamente un suono la raggiunse. Volteggiava lieve tra le gambe della gente, espandendosi per tutta la piazza e raggiungendone gli angoli più lontani.
Centinaia di orecchie si tesero ad ascoltare, le bocche si chiusero istantaneamente e occhi di ogni colore e forma vagarono alla ricerca di quel suono soave. Sembrava arrivasse da ogni parte e da nessuna allo stesso tempo. Gaia non raggiungeva che le spalle della maggior parte delle persone, perciò smise di agitarsi nel tentativo di trovarne la fonte e alzò lo sguardo al cielo, aspettandosi di veder piovere note musicali.
Era un violino. Qualcuno, da qualche parte, suonava un violino delicatamente, come fosse fatto di vetro sottile, come se potesse rompersi da un momento all'altro. I sirenesi intorno a lei sembrarono aprirsi per far scorrere meglio il suono e lei riuscì in quel momento a intravedere alla sua sinistra l'uomo alto e sottile come una cavalletta che teneva tra le braccia lo strumento. Benvenuti, il presentatore della compagnia di Leone, suonava rapito, dondolando il braccio esile sulle corde sottili, accarezzate dall'archetto.
Spuntando a un tratto dal nulla, con i piedi nudi che appena sfioravano l'acciottolato, una figura completamente nascosta da un mantello nero attraversò il varco, diretta alla fontana spenta. Non guardava in faccia nessuno e si dirigeva alla meta con passo sicuro. La melodia sembrò gonfiarsi al suo incedere, il suono farsi pieno e corposo e i tasti di un pianoforte s'intromisero, aiutando a innalzarlo: arrivava da destra e abbracciava insieme al violino la piazza intera.
La figura si tolse in quell'istante il mantello, e Zaira si mostrò a Sirene in tutta la sua bellezza, servendosi della fontana come palco. Gli infiniti capelli color mogano le avvolgevano a boccoli le spalle, coperte da una fascia bianca adornata da fili di perle che le abbracciavano i seni. La gonna candida le svolazzava intorno alle gambe come fosse fatta di nuvole e lei stessa dava l'impressione di galleggiare nell'aria. Comandata dalla musica, iniziò a muoversi assieme a essa volteggiando lieve, chiedendo alle note di sostenerle un braccio o una gamba lanciati verso il cielo sopra Sirene. Due corde le s'intrecciavano tra le mani, allungandosi quasi fino a terra in spessi nodi cui erano attaccati due foulard inconsistenti, capaci solo di svolazzare delicatamente intorno al suo corpo.
La piazza intera non emetteva un solo suono: i bambini sulle spalle dei padri ascoltavano attenti, il piccolo mento appoggiato sulle loro teste; le donne avevano fatto un passo verso i mariti, infilando un braccio sotto il loro, anche quelle che avevano appena smesso di sbuffare per i piatti da lavare, e le vecchine del paese versavano lacrime sorridenti, sedute sulle loro seggiole.
Gli sguardi rivolti verso la fontana, pochi si resero conto dei tamburi che lievemente, ma con decisione s'intromisero alle loro spalle nella sinfonia, mentre anche l'ultimo lato della piazza veniva occupato dai musicisti a fiato, i quali, percuotendo ampi e lunghi tubi e soffiandoci attraverso, cambiarono drasticamente il ritmo della musica, annunciando l'arrivo di un pericolo. Annunciando il mangiafuoco.
Seduta accanto alla fontana, Gaia lo guardò avanzare in prima linea: la pelle lucida, i lunghi e leggeri pantaloni di lino nero, il solito gilet, i capelli rossi spettinati sulla fronte, lo sguardo minaccioso e una torcia accesa in mano. Si avvicinò deciso alla fontana, dove Zaira danzava apparentemente ignara del suo arrivo e, scavalcando le panche, salì sulla base. Prima che lei si accorgesse della sua presenza, alzò in alto la torcia, accompagnato dalla musica in crescendo, e ci soffiò sopra, appiccando il fuoco al contorno fiorito della fontana e creando un cerchio fiammeggiante che si alzò vittorioso a separarli dalla folla, facendola indietreggiare all'istante.
Zaira sussultò impaurita. Si guardò attorno, cercando di fuggire in una danza confusa ma trovando le vampe infuocate a imprigionarla su quel palco, insieme con lui. Il mangiafuoco le arrivò alle spalle e appoggiò le mani aperte sulle sue braccia, bloccandola. Poi, piegando il viso verso la guancia della ballerina, Michele fece scorrere languidamente le dita sulla sua pelle, tenendola come sotto a un incantesimo e arrivandole fino alle gambe coperte di veli.
Lo scatto violento con cui strappò la gonna dai fianchi della ragazza e la fece volare oltre il cerchio di fuoco prese tutti di sorpresa, provocando un sussulto nell'intera piazza. Le vecchine iniziarono a sventolarsi i fazzoletti sulle guance accaldate, le coppie si strinsero più strette, improvvisamente attente, e i bambini avvolsero le loro esili braccia intorno al collo dei padri. Gaia ne era affascinata. E assurdamente invidiosa. La bella danzatrice era rimasta in corte culotte aderenti e si muoveva tra le braccia di Michele come se volesse sfuggirgli, ma non riuscisse a comandare il proprio corpo. Così il ballo tra loro divenne una lotta: lui le strappò le corde di mano e passandole sulle fiamme ne incendiò i veli e i nodi estremi, facendoli vorticare attorno alle loro teste; Zaira, in risposta, prese due torce e se le passò tra le mani alla maniera di un giocoliere, creando un gioco di luci che teneva gli occhi della folla incollati su di loro.
La danza poco a poco si velocizzò, diventando più appassionata, ardente, finché il mangiafuoco non gettò da una parte le corde infuocate e strappò le torce dalle mani di Zaira, prendendola poi tra le braccia. Mentre a Gaia si stringeva lo stomaco, lui avvicinò il viso a quello della danzatrice, le mani aperte sulla sua schiena e nell'atto di baciarla la inarcò all'indietro, nello stesso istante in cui si interrompeva la musica.
Il silenzio più completo li avvolse. Improvvisamente, i cinque getti d'acqua della fontana, dopo anni d'inattività, scoppiarono verso l'alto, spegnendo il fuoco e bagnandoli completamente. Uno scroscio di applausi partì dal centro verso le zone periferiche della piazza.
Gaia, un sorriso forzato spiaccicato sulla faccia, alzò automaticamente le mani, battendole l'una control'altra come una scimmietta a molla, lo sguardo completamente fuori fuoco, fisso sulla fontana.

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