Nel silenzioso viaggio di ritorno, la ragazza tremava contro il torace di Massimo: «Non vi ringrazierò mai a sufficienza.»
L'uomo si limitò a rispondere con un'indifferente alzata di spalle e una volta giunti a casa scomparve tra gli alberi senza rivolgerle la parola.
Qualche istante dopo, però, Diana, sola e tormentata dai ricordi del rapimento, decise di trasgredire agli ordini cedendo alla curiosità. Senza farsi vedere, lo seguì nel bosco ancora illuminato dal tramonto: l'uomo si trascinava con passo pesante e dopo pochi minuti di cammino s'infilò in una grotta seminascosta dalla vegetazione. Trascorse giusto il tempo necessario al sole per calare, poi un grido straziante echeggiò tra le rocce...
Michele tornò al fiume quasi di corsa e davanti alla spiaggia deserta si lasciò scappare un ringhio frustrato. A ogni modo sapeva dov'era andata lei, bastava quello.
Fece una sosta al carrozzone per asciugarsi e vestirsi, afferrò un pezzo di pane abbandonato su un tavolo e poi s'infilò come una freccia tra gli alberi, il pensiero di come si svestiva Gaia quand'era nel bosco che gli sfarfallava nella mente.
Passò il ponte di massi, immettendosi nel torrente e seguendone il corso a ritroso; ogni sasso che scivolava sotto i suoi piedi gli aumentava esponenzialmente la collera. Azzannando il panino, si passava e ripassava gli insulti che avrebbe rivolto alla ragazza una volta che gli fosse finita tra le mani, immaginando di strangolarla subito dopo. O baciarla, secondo cosa gli avrebbe suggerito l'istinto di quel momento.
Arrivò alla grotta facendo un rumore del diavolo e si bloccò bruscamente, guardando sconcertato l'antro buio e deserto. Si era sbagliato?
All'improvviso, un coltellino da donnicciole gli sibilò a mezzo metro dal naso, andandosi a conficcare in un tronco alla sua destra. No, non si era sbagliato. La rabbia salì di un altro gradino, implacabile.
Poco più avanti, una figura si alzò di scatto dall'argine del torrente, come un petardo che scoppia. Lunghi capelli scuri le abbracciavano la schiena e il corpo nudo era malamente coperto dall'inutile camiciola.
«Che limone marcio che sei! Mi hai seguito, maledetto! Che ti si possano seccare le palle degli occhi all'istante», esplose Gaia rabbiosa.
«Gaia, scendi.»
Il tono la fece ammutolire all'istante: sembrava provenire da una parte piuttosto arrabbiata del mangiafuoco. A lei però gli ordini facevano venire l'orticaria, perciò non si mosse. Così rimasero un minuto intero a guardarsi minacciosi, poi Michele alzò di un bel po' la voce.
«Gaia, scendi maledizione!»
Lei ubbidì, pestando bene i piedi.
Si fermò di fronte a lui e, alzando la mano sinistra, gli infilò minacciosa il finissimo indice tra le costole, puntando dritta al cuore.
«Tu. Stai. Cominciando. A. Darmi. Sui. Nervi», gli disse, picchiettandogli ogni singola parola sullo sterno.
«La cosa è piuttosto reciproca», rispose lui, afferrandole la mano e stritolandogliela tra le dita.
«Come cavolo ti sei permesso di seguirmi fino a qui? Di tutti i maniaci proprio tu dovevi capitarmi! E lasciami asino, mi fai male!»
«Gaia, taci un attimo.»
La voce di Michele si era abbassata di un tono.
«Gaia non muoverti, Gaia scendi, Gaia taci. Mi pare tu stia abusando un po' troppo del mio nome!»
Lei continuava a urlare.
«Smettila di blaterare, stupida donna!», e il tono in cui lo disse la fece definitivamente zittire.
«Bene. Hai due minuti di tempo per spiegarmi perché il bamboccio biondo che ti segue con la bava alla bocca sa del cimitero e delle maschere. Sappi che se la risposta non mi piacerà mi sfogherò su di te, bella mia, a partire da quella tua fottutissima camicia.»
La minaccia esplose nella mente di Gaia come un fuoco d'artificio: i suoi occhi si appannarono, mentre le immagini che lui aveva evocato le scorrevano davanti e la pelle cominciò a bruciarle come fosse rimasta al sole un giorno intero senza crema protettiva.
«Quale... quale biondo?», balbettava e, maledizione, non riusciva a impedirselo.
«Quello che ti ha annegata oggi. Un minuto è già trascorso, scricciolo, vedi di sbrigarti.»
«Ok. Ok. Ok! Fermo, cosa stai dicendo? Io non ho mai parlato del cimitero o delle maschere, a nessuno. Ad Ambra, forse. Sì, Ambra! Ma che mi possa incenerire all'istante, di lei mi fido ciecamente, non aprirebbe bocca!»
Gaia cominciava ad agitarsi e, in fondo in fondo, Michele se la stava godendo immensamente a vederla così scossa, preoccupata, accesa.
«Ti avrà sentito mentre lo dicevi a lei allora, non credi? Conoscendo la tua inclinazione a parlare a vanvera... Com'è che mi hai definito? Sì, un barbone nullafacente, un tombarolo e un pazzo che collezione maschere. Proprio carina.»
Le dita attorno alla mano minuta della ragazza si strinsero ancora, strappandole un gemito. La teneva di proposito in soggezione, perché sapeva che se avesse ritrovato la lucidità si sarebbe rivoltata come una lince selvatica.
«Che viscida lumaca!», esclamò Gaia, mentre lui alzava gli occhi al cielo. «Non è vero! Non ho mai detto quelle parole. Elia è solo un maledetto idiota.»
«Diavolo! Un insulto degno di questo nome, mi sconvolgi. In ogni caso a lui ho già provveduto.»
«Bene, allora. Tutto risolto.»
Gaia sospirò con sollievo e tentò di liberare la mano, ormai quasi priva di circolazione sanguigna. Non ci riuscì.
«Non è risolto proprio niente. E sono pure trascorsi i due minuti, scricciolo. Che facciamo?»
«Come?»
«Oh, certo, le chiacchiere che si stanno espandendo per tutta Sirene non le hai provocate di proposito, ma devo pur insegnarti a tenere la bocca chiusa sulla vita degli altri, no? Quindi le labbra saranno le prime che morderò, poi passerò a tutto il resto del corpo.»
L'ultima frase, Michele avrebbe potuto tenerla per sé. Si accorse subito dell'errore: dietro le iridi verdi di Gaia si accese una fiamma ribelle e dalla sua gola cominciò a risalire un basso ringhio di avvertimento. La ragazza si liberò il polso con uno strattone deciso e al mangiafuoco non rimase altro che prepararsi allo scontro che, molto intenzionalmente, aveva provocato. Quanto gli piaceva vederla arrabbiarsi!
«Tu! Tu, verme strisciante! Tu osa solo sfiorarmi e vedrai volare attraverso il bosco quello che ti preme tanto fra le gambe!»
Gli occhi di Gaia mandavano lampi, mentre gli puntava minacciosa l'indice fra gli occhi. Michele non si scompose.
«Cosa credi di poter fare, eh? Sei una briciola di ragazza e, certo, puoi saper lanciare un paio di coltelli, ma credi veramente di potermi fermare?»
Mentre parlava posò due occhi glaciali nei suoi, avvicinandosi con lo scopo di farle capire quanto sarebbe stato facile sovrastarla. Lei non indietreggiò.
«Credo che tu mi stia sottovalutando, mangiarane.»
«Fuoco. Mangiafuoco, ragazzina idiota. Hai ragione, ho decisamente sottovalutato la tua stupidità. Sei peggio di quel pensavo. Già non ti avevo dato credito dopo averti vista sculettare per il bosco vestita di niente. Di notte, poi. Sei fortunata che Sirene sia una città tranquilla o a quest'ora saresti abbandonata qui da qualche parte, aperta come una valva e con gli occhi girati verso il tuo piccolo cervello», le sibilò lui con cattiveria.
«Sono affari miei, non credi? Pensi che non sappia dei rischi che corro? Vattene, Michele, non riusciresti nemmeno a capire perché lo faccio.»
«Penso che tu sia una ragazzina ingenua che per dimostrarsi di essere grande deve sfidare la sorte», rispose lui con arroganza, le mani incrociate al petto.
«Tu maneggi il fuoco, c'è chi si butta giù dalle scarpate in sella a una bicicletta, chi crea statue terrificanti. Non si tratta di dimostrare niente! Emozioni, si chiamano. E tutte hanno un prezzo.»
Gaia lo guardava torva, punta sul vivo. Michele la fissò in silenzio, ragionando sulle sue parole. Aveva ragione, lo sapeva, perché lui era diventato un artista di strada proprio per quello; ma gli bruciava ammetterlo. Soprattutto perché non voleva andasse nel bosco conciata a quel modo; il solo pensiero che qualcun altro passasse di lì per caso e decidesse di essere un pelo meno gentile di lui, lo innervosiva. Lo spaventava. Perciò tentò di girare il discorso.
«Che ne sai tu delle emozioni, scricciolo? Proprio tu, che hai paura a lasciarti andare a quello che senti per me.»
Gaia deglutì nella gola secca.
«Tu non sai quello che sento. Te l'ho già detto, mangiarane, mi irriti. Non ti capisco e non riesco a stare dietro al tuo umore lunatico.»
«Sei piena di passione, Gaia. La vedo, ti vedo. La metti in ogni cosa che fai, la metti con me. E io la voglio.»
«Vattene», gli intimò lei distogliendo lo sguardo.
«Continui a scappare. Guardami», le ordinò, ancora senza sfiorarla; lei alzò leggermente le ciglia.
«Fai l'amore con me», e rimase ad osservare l'effetto delle sue parole. Lei trasalì.
«Hai le guance più accese di un semaforo e stai finendo l'ossigeno nell'aria. Sicura di non provare niente?»
«Rabbia, solo rabbia, mangiafuoco. Perché avevo una vita piena, tranquilla, soddisfacente! Poi sei arrivato tu. Rabbia, perché non mi riesce di liberarmi dell'infido porco vagabondo che sei!»
L'insulto rimase a galleggiare tra loro in un attimo di reciproco stupore. Poi gli occhi di Michele lampeggiarono. Ma non disse nulla: si voltò deciso verso il letto del fiume, allontanandosi da lei il più velocemente possibile.
Va al diavolo, stupida ragazzina. Ho ragione e lo sai. Col cavolo adesso che ti corro ancora dietro.
Gaia era ammutolita. Non voleva che se ne andasse. Le parole che le aveva rivolto le si erano infilzate nel cuore, espandendosi in un battito per tutto il resto del corpo e inducendola a insultarlo; ben sapendo che invece lo voleva lì con lei. Voleva la sua forza, voleva la sua rabbia, il suo fascino. Ma soprattutto, voleva avere l'ultima parola.
Colta da un impulso improvviso, Gaia prese di slancio la ciotola colma di acqua ghiacciata e colore e la scagliò verso il mangiafuoco, lontano solo una decina di metri.
Il recipiente lo mancò di un soffio.
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Guardami
ChickLitSiamo luci che si inseguono nella notte... non inciampiamo per caso nell'amore, ma è esso stesso che si butta a capofitto tra i nostri piedi. Il segreto è non prenderlo a calci. Lei, Gaia, vive in un paese chiuso in sé stesso, ordinato, prevedibil...