I molti villaggi nei dintorni si appoggiavano alla forza delle braccia di Massimo e la sua accetta lavorava incessantemente, sotto la pioggia e il vento. La mattina dopo la visita del re, per soddisfare una richiesta massiccia di legna, l'uomo chiese aiuto a Diana, costringendola ad accatastare i ceppi appena spaccati. Nervoso per gli ultimi avvenimenti, il boscaiolo ne lanciò uno in malo modo, finendo per colpire la testa della ragazza, tramortendola. Le fu subito accanto e detergendole il viso con dell'acqua fresca tentò di farla rinvenire; quando Diana finalmente aprì gli occhi, Massimo ne fu così sollevato che non riuscì a trattenersi e impulsivamente le baciò la fronte. Poi, pentito, sparì tra gli alberi: «Non mi seguite...»
La nebbia intorno a loro era spessa e grigia e copriva ogni forma. Una vecchia strada costellata di buche e sassi si perdeva nel nulla, attorniata da un bosco incolto e soffocante. Non c'era altro.
«Non ti fermare», la spronò Michele, tirandola verso uno stretto sentiero che s'inoltrava in salita tra gli alberi. Camminarono a passo svelto per qualche minuto fino a raggiungere uno spiazzo pianeggiante, circondato da alte piante e rovi carichi di more.
A quell'altezza la nebbia formava un velo leggero pochi metri sotto la radura, confondendo ma non coprendo il panorama. Il buio alle spalle li racchiudeva in un bozzolo, dando loro l'impressione di trovarsi nella platea di un cinema microscopico, dove centinaia di persone potevano essere sedute attorno a loro, come nessuna. Voltati verso il versante della collina opposto a Sirene, il loro sguardo spaziava oltre la strada, oltre la foresta. C'erano luci ovunque.
«Quella è Arrocco, la mia città», sussurrò Michele con il fiato corto.
Non ci aveva mai pensato. Gaia sapeva dell'esistenza di un mondo al di fuori di Sirene, ma tra il conoscere e l'esserne consapevole passava un mondo intero. Non le era mai interessato approfondire e si era piacevolmente accoccolata nella sua quieta città, appagata da quello che le dava. Ma era veramente così? Perché allora correre nel bosco alla ricerca di sensazioni insolite?
«C'è anche Angela, là?», azzardò a chiedere, immediatamente sulle spine. Lui non rispose subito.
«Sì, Angela abitava là.» Sapeva che gliel'avrebbe chiesto, prima o poi. Sperava poi.
Gaia aspettò qualche secondo, ma capì che lui non avrebbe detto un'altra parola sull'argomento. Si pentì della sua curiosità.
«Non mi dirai chi è, vero?»
«No. Forse. Un giorno.» Michele se ne stava con le mani in tasca al limitare della radura, lo sguardo perso tra le luci in lontananza. Lei lo raggiunse.
«Anche conoscendo la realtà, penso di averla sempre immaginata come una bella favola. Poi ci sbatti il naso...»
Gaia cercava di spezzare il silenzio calato tra loro.
«Davvero non sei mai uscita?»
La voce del mangiafuoco era carica d'incredulo stupore.
«Non ci ho mai pensato», e cominciò in quel momento a farlo, mentre Michele la guardava con un sopracciglio alzato. «Perché avrei dovuto? Ho sempre avuto tutto ciò che serviva attorno a me.»
Improvvisamente si sentì tesa, la testa le girava come fosse in preda alle vertigini. Lui le prese la mano nel momento in cui cominciò ad annaspare alla ricerca di aria, lo stomaco stretto in una morsa, la mente che trasmetteva tutto il suo disagio attraverso il corpo. Le sue dita iniziarono ad aprirsi e chiudersi a intermittenza, mentre un lieve gemito le echeggiava dentro, incapace di uscire. Cominciò a non respirare più e nella paura si aggrappò all'unica cosa che inconsciamente le dava sicurezza: il mangiafuoco.
«Ferma Gaia, respira», tentò di dirle Michele, la bocca accostata al suo orecchio.
Lui le parlava, anche se lei ne era a malapena consapevole. Le stringeva le spalle, cullandola tra le braccia, ma l'aria continuava a non entrarle nei polmoni e le mani si agitarono inconsulte finché non trovarono strada sotto al suo gilet. Al contatto con la sua pelle calda, Gaia si calmò lentamente, anche se le sembrava di aver fatto di corsa il giro della città a testa in giù.
Michele infilò una mano tra i suoi capelli e la costrinse ad appoggiare la guancia contro di lui. Il battito ritmico del suo cuore la tranquillizzò definitivamente, invogliando le mani a muoversi indecise dalla pancia ai fianchi, fino alle scapole, in una lenta e inconsapevole carezza; poi girò il viso e appoggiò le labbra sul suo sterno, alla ricerca di calore.
Toccò a Michele trattenere il fiato.
La sua mano le strinse la nuca, tremando, e il viso di lui si accostò incerto al suo; la punta del naso le sfiorò cautamente una guancia, strofinandole delicatamente la pelle e quando il suo respiro raggiunse l'orecchio, abbracciandolo, la sentì tremare contro la cassa toracica.
Il sospiro ansimante della ragazza sul collo gli tolse ogni dubbio e, senza lasciare il tempo di pensare a nessuno dei due, le sue labbra volarono su quelle di lei accarezzandole, esigendo una risposta.
L'assaporava, leccava, i suoi denti mordevano carne tenera e la sua lingua leniva le fitte dei morsi, accrescendo il desiderio della ragazza, nutrendolo come nemmeno le fughe nel bosco riuscivano a fare. La sua bocca aveva il sapore del fuoco e lei non riusciva a privarsene. Le dita aggrappate alle spalle del mangiafuoco stringevano, tiravano, lo spingevano contro di sé rispondendo alla stretta feroce delle sue braccia, una che circondava la vita e l'altra appoggiata sulla base del collo, decise a impedirle di muoversi.
Il bacio da furioso divenne disperato, come se entrambi fossero coscienti che poteva esistere solo lì, ai confini della ragione.
Michele si aggrappava al corpo di Gaia cercando di fonderlo con il proprio, nel tentativo di tenere con sé quelle sensazioni per i momenti di solitudine. Lei lo serrava tra le braccia, raggelata all'idea di privarsi del suo calore. Non lo voleva, lo detestava. Le aveva sconvolto ogni singola parte della sua tranquilla esistenza, introducendosi a forza e senza invito nei suoi pensieri; ma a ogni bacio sembrava non averne mai abbastanza. E il mangiafuoco non la stava solo baciando, la stava marchiando, rendendola incapace di desiderare altro che le sue labbra, ovunque lui potesse posarle. La pelle sotto le unghie, il respiro ansimante, il suo odore la circondavano e fame e desiderio si confusero, portandola a premergli i denti sulla gola, decisa a strappargli un gemito.
Michele rabbrividì, nel sentire i piccoli denti di Gaia mordergli il collo. Il tentativo di tenersi lucido si frantumò in quell'istante, e la testa si riempì di un solo e unico obiettivo: eliminare ogni strato di tessuto che li ricopriva e immergersi in lei. Prima di allora non gli era successo di perdere il controllo, con nessuna, mai; ma con lei sembrava fosse troppo tardi.
La camicia lunga e leggera che Gaia indossava sopra ai corti pantaloni aderenti perse improvvisamente i cinque bottoni che la tenevano chiusa, strappandole un ansito stupito. Due mani le avvolsero la vita e la testa ricominciò a girarle nel sentire le dita del mangiafuoco salire a stringerle i seni e le sue labbra accarezzarle la pelle sul cuore, in una lenta e ipnotica discesa.
L'urlo improvviso di una civetta li fece trasalire e l'influsso protettivo di Sirene s'insinuò tra di loro, separandoli, iniettando un po' di ragione nella loro passione.
Michele allentò la presa e Gaia affondò gli occhi spalancati nei suoi, manifestandogli tutta la sua confusione e il suo disagio.
«Non dovevi», lo accusò in un sussurro. Lui si allontanò.
«Ne avevi bisogno, scricciolo.» Al diavolo, ti spaventeresti nel sapere quante volte lo rifarei.
Lei si mise a scuotere violentemente la testa, negando, e quando si staccò sconvolta da lui e fuggì, Michele la guardò correre verso casa, verso la salvezza, senza tentare di fermarla.
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Guardami
ChickLitSiamo luci che si inseguono nella notte... non inciampiamo per caso nell'amore, ma è esso stesso che si butta a capofitto tra i nostri piedi. Il segreto è non prenderlo a calci. Lei, Gaia, vive in un paese chiuso in sé stesso, ordinato, prevedibil...