La Fortuna aveva aiutato l'incauta principessa e un boscaiolo solitario l'aveva salvata dalle zanne del cinghiale. Le sue forti braccia sollevarono la ragazza priva di sensi e la portarono al caldo, al riparo dalla pioggia e dalle prime ombre della sera. Diana, confusa dal colpo in fronte, trascorse una notte divisa tra la veglia e il sonno, incosciente di tutto ciò che la circondava, perseguitata da incubi confusi. Ombre distorte la circondavano, muovendosi nella nebbia, stracciandole le vesti, immobilizzando ogni suo tentativo di ribellarsi...
Due figure si stavano avvicinando allo spiazzo sollevando un'infinità di polvere, le loro forme sfocate dalla calura del tardo pomeriggio; dai tavoli allineati sotto la frescura del bosco arrivava a ondate la puzza dei resti del pranzo non ancora sparecchiati. Michele, sdraiato su un'amaca all'ombra, tentava di sopravvivere al caldo soffocante sforzandosi di rimanere immobile. Alessandro, al suo fianco, cercava di lanciare in aria un paio di palline piene di sabbia, ma era così fiacco che a malapena riusciva a prenderle, facendole finire in testa all'amico.
«Alex, sei un disastro di giocoliere. Come lo farai il tuo numero con quelle mani di pongo?», gli domandò Michele.
«Fa troppo caldo anche solo per tirarti un pugno», gli rispose lui, molestandosi il dilatatore a spirale all'orecchio destro.
«Senti che schifo. "Oggi pasta al tonno!", ha detto Jack. E chi diavolo doveva sparecchiare?»
«Peloso. Ma come al solito si è dileguato prima che ce ne accorgessimo.»
Nel frattempo le due figure si erano avvicinate incerte.
«Beh, Arci, guarda un po' queste. Spara un voto», propose Alessandro a bassa voce, tirando una gomitata a Michele che si alzò svelto a guardare.
Un sorriso cattivo gli piegò le labbra appena scorse le ragazze: aveva già tastato il soffice sedere della più piccola, ora coperto da aderenti pantaloni al ginocchio. L'amica al suo fianco aveva sicuramente un fisico da urlo e con quegli occhi chiari e la chioma color del sole sembrava uscita da una fiaba, ma a guardarla, niente formicolii in zona basso ventre come con la bruna.
«La bionda è sicuramente da dieci pieno. La brunetta invece facciamo un otto meno meno, che piccole e in carne non m'attirano; bel viso, però», sentenziò Alessandro, appoggiandosi all'albero su cui era legata l'amaca.
«Taci Cinquemani, che non ci capisci una mazza di donne.»
Michele si alzò.
«E adesso dove te ne vai?»
«Ah, faccio un giro», e si diresse deciso verso le nuove arrivate, deviando all'ultimo secondo quando le vide avvicinarsi a Leone. Un accenno d'irritazione lo attraversò, conoscendo il fascino fatale dell'illusionista della compagnia, così si spostò dietro al proprio carro, dove poteva osservarli meglio.
Intanto, raccogliendo i capelli nel tentativo di rinfrescarsi il collo sudato, Gaia aveva raggiunto lo spiazzo con Ambra artigliata a un braccio, ansiosa di incontrare Leone.
Sulle tavole sparpagliate a casaccio tra i carri, mosche e insetti stavano banchettando con i resti di quella che doveva essere una pasta tonno e pomodoro, almeno dall'odore. Nessuno, comunque, pareva preoccuparsene: c'era chi se ne stava stravaccato sull'amaca a sonnecchiare con il cappello sugli occhi, chi giocherellava con vari attrezzi di giocoleria, chi leggeva all'ombra e chi semplicemente si grattava la pancia. L'aria era carica di rumori.
Poteva ammetterlo con se stessa oppure no, però Gaia continuava a cercare febbrilmente con lo sguardo una testa rossa tra tutte quelle che giravano lì intorno. Ma era incapace di individuarla.
Nel frattempo Leone si era avvicinato e Ambra aveva avviato la modalità "sorriso gentile".
«Bene, siete arrivate. Dai che vi presento un po' di gente.»
Poi cinse fraternamente le spalle ad Ambra, che sorridendogli stupita gli appoggiò una mano in vita. Gaia se la rideva sotto i baffi, immaginandosi i pensieri dell'amica.
Il fratello non perse tempo e presentò loro ogni elemento della compagnia a portata di orecchio. Ancora sveglio, cioè.
«Quelle due che vedete in fondo là», disse indicando due ragazze sdraiate vicino al carro pieno di macchie di colore, «sono Meraviglia e Calzamatta. Insieme a Peloso fanno i pagliacci, intrattenendo la gente tra uno spettacolo e l'altro. Palloncini, bolle di sapone, scherzi e battute, cose così. Peloso penso sia sparito dalla circolazione, toccava a lui sparecchiare oggi», rise infine.
Le tipe sonnecchiavano sull'erba vicino al carro e a parte i larghi vestiti colorati, di loro non si vedeva granché.
Sempre con Ambra sottobraccio che sorrideva come una bambola di pezza, Leone si diresse verso l'uomo senza gambe e con l'addome espanso che Gaia aveva visto sul carro in testa la sera prima. Era intento a fumarsi una pipa riempita di chissà che erba e se ne stava sbracato su un basso sgabello a guardare tutto e niente, un sorriso ebete stampato in faccia.
«Jack», lo chiamò Leone, «queste sono mia sorella e una sua amica.»
«Saaalve», rispose questi in stato di evidente confusione.
«Ecco, lui dovrebbe essere il capo della compagnia, ma quando è in queste condizioni non si può sperare in una conversazione normale. Quando è sano è un gran figo, non vi preoccupate», sussurrò Leone. Poi si avvicinò a un ragazzo dai lunghi capelli rasta che, seduto per terra, colorava fogli bianchi con una dozzina di vernici spray.
Michele, che non li perdeva un attimo di vista, si accorse che si stavano spostando verso Macchia. Andò a sedersi nella polvere vicino a Jack.
«Ehi!», lo salutò questi.
«Ehi», gli rispose lui di rimando, la coda dell'occhio fissa sulle ragazze.
«Fa caldo.»
«Già.» Con Jack non servivano tante parole, meglio se appartenenti a un vocabolario base.
Continuando a occhieggiare Leone, Michele prese da terra un legnetto e, scovando in una tasca un piccolo coltello a serramanico, si mise a fargli la punta, finché non la disintegrò senza pietà. Voleva la mora. Era sua. Aveva deciso, dopo l'incrinatura del setto nasale, che l'avrebbe assaggiata in ogni modo a lui conosciuto, prima di andarsene dalla città.
Il terzetto, nel frattempo, aveva continuato a spostarsi tra i carri e Alessandro gli si era seduto vicino, consapevole del suo sguardo scuro.
L'illusionista se la rideva alla grande, una mano sulla spalla della bionda, l'altra a indicare ogni componente della compagnia.
Gaia era rimasta incantata a guardare i disegni spettacolari che l'artista creava con un paio di coperchi di plastica, pezzi di carta e mascherine; i quadri che ne uscivano sembravano fotografie.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto, lui è Macchia», spiegò Leone.
Il ragazzo alzò appena lo sguardo e le lanciò un sorriso imbarazzato, quando lei lo salutò; Gaia guardò il fratello interrogativamente e lui si limitò ad alzare appena le spalle. Macchia era fatto così. Staccandosi da Ambra, che si lasciò quasi scappare un miagolio di protesta, si diresse verso il carro ricoperto di foulard. Lì la ragazza dai tratti arabi che Gaia aveva notato la notte prima la accolse con un sorriso gioioso, stringendole entrambe le mani.
«Ciao! Che bello conoscerti finalmente, Leone mi ha parlato così tanto della sua sorellina, avevo voglia di vederti. Io sono Zaira e quella musona lì dietro è Gioco.»
La ragazza con la salopette sollevò una mano senza alzare lo sguardo, continuando a smacchinare tra cavi elettrici e lampadine.
Leone riprese la presentazione. «Zaira è la nostra danzatrice del ventre e Gioco si occupa della parte audio e luci dello spettacolo.»
«Venite spesso a trovarci, ci farebbe piacere», trillò Zaira con fare seducente.
«Zaira!», la richiamò Gioco lanciandole un'occhiataccia di traverso.
«Il tizio con i capelli rossi vicino a Jack è Arci, il nostro mangiafuoco. È spettacolare, sembra ignifugo e attira una nuvola di ragazzine. Alessandro, il biondo con la giacca rossa da domatore, è il giocoliere. Dovreste vedergli le mani, così grandi che riesce ad afferrare oggetti di qualsiasi dimensione.»
Gaia aveva completamente perso l'attenzione per quello che stava dicendo, concentrata nell'impresa di apparire impassibile, quando invece non riusciva a riordinare i pensieri che le scompigliavano la mente. Aveva lo stomaco attorcigliato e mille emozioni diverse le vorticavano fra testa e cuore, divise tra l'odio omicida e un desiderio feroce. Cercava con tutte le sue forze di impedire al corpo di reagire, ma sentiva già la pelle dei seni tendersi e il tessuto sfregare sulle loro punte sensibili. Il mangiafuoco, alla luce del sole, sembrava ancora più pericoloso. Indossava comodi pantaloni neri legati con un laccio e un gilet striminzito aperto sul torace snello. Se la notte prima si fosse resa conto dell'aggressività che emanava, sarebbe rimasta appiccicata all'albero, a costo di morirci sopra.
A un certo punto Michele vide Leone volgersi verso di lui e indicarlo sorridendo; con uno scatto la brunetta gli puntò addosso due occhi neri accusatori, mentre indietreggiava inconsapevolmente.
Lui, soddisfatto di vederla reagire, le lanciò un sorriso maligno che divenne in un attimo glaciale quando si girò verso Leone. Rideva divertita.
Chissà che le racconta, si chiedeva Michele digrignando i denti. Nemmeno si accorgeva di prendersela tanto a cuore, lui che col cuore ragionava ben poco.
Il rosso aveva incollato lo sguardo su di lei, un leggero ghigno perverso sulle labbra e Gaia si sentì nuda, spogliata da quegli occhi pieni di malizia. Istintivamente andò a cercare protezione abbracciando il fratello, contenta che fosse tornato.
«Mancano Fiocco, la contorsionista e Benvenuti, il presentatore. Fiocco sta facendo il suo sonnellino di bellezza e non sarà una gran perdita se anche non ve la presento, è una tipa da prendere con le pinze. Starà dormendo pure Benvenuti, è più un animale notturno», sussurrò Leone ad Ambra e Gaia, facendole sorridere.
Quando si accorse che la piccola si alzava sulle punte Michele non ci vide più; la guardò allacciare le braccia intorno al collo di Leone, stampargli un sonoro bacio sulla guancia e appoggiargli quel tenero seno addosso. Gli scappò un ringhio nervoso.
Jack, che al suo fianco continuava a fumare come un falò, a quel suono si girò verso di lui.
«Cos'è, ne vuoi un po'?»
«Chi ha voglia di una bella sfida con i coltelli?», urlò Michele scattando in piedi come una molla e piazzandosi al centro dello spiazzo.
«No, ma che sei matto con 'sto caldo?»
«Ma va.»
«No no, fammi il piacere.»
Molti ritornarono a dormire e anche Leone rifiutò. Alessandro invece si avvicinò a Michele dandogli una manata sulla spalla, gli occhi che brillavano.
«Per la brunetta, eh?», gli chiese sottovoce in tono malizioso.
Michele non rispose ma cercò di nascondere un sorriso, che si spense del tutto quando Furio gli si piazzò di fronte. Una leggenda nel lancio dei coltelli, novanta chili di massa muscolare per due metri di pelle scura, quel ragazzo non sorrideva mai e faceva una paura del diavolo solo a guardarlo, anche se a conoscerlo risultava docile come un cucciolo.
«Gioco anch'io, rosso», gli disse con un ghigno malefico sulle labbra.
Michele deglutì, preoccupato.
«Bene! Nessun altro?», gridò girandosi e abbracciando lo spiazzo con lo sguardo.
«Io», rispose piano Gaia.
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Guardami
ChickLitSiamo luci che si inseguono nella notte... non inciampiamo per caso nell'amore, ma è esso stesso che si butta a capofitto tra i nostri piedi. Il segreto è non prenderlo a calci. Lei, Gaia, vive in un paese chiuso in sé stesso, ordinato, prevedibil...