Capitolo 16

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Nonostante il futuro incerto, Diana si riteneva fortunata: Massimo si era rivelato un uomo di cui fidarsi e, malgrado la loro stretta convivenza, lui la trattava con indifferenza, limitandosi a ringhiare ordini durante il giorno e scomparendo nel bosco la notte. La principessa si coricava sola nel duro giaciglio di paglia, scaldata unicamente dal calore delle grosse coperte di lana, appagata da quella vita alla fin fine tranquilla.

Tuttavia, a volte, l'inaspettato desiderio di una carezza dall'ombroso boscaiolo s'insinuava nei suoi pensieri, arrossandole le guance e scaldandole la pelle. La sola idea la terrorizzava ma, se non altro, forse lui avrebbe smesso di entrarle nei sogni...


L'aveva seguita. Di nuovo. Nonostante l'avesse avvertito di starle distante.
La braccava, nascosto tra le ombre della notte, i suoi passi ricoperti dal ticchettio della pioggia sui cespugli, dall'ululato della civetta tra le foglie, dal battito ansioso del cuore nel torace.
Non era tanto per la completa mancanza di vestiti sotto il mantello nero, del tutto fradicio: probabilmente tremava convulsa dalla tensione, come in preda alla febbre. Sentiva il suo sguardo trapassarle la testa, il collo, le spalle, le gambe. Lui la stava guardando, le accarezzava la pelle con gli occhi, assaggiandola prima ancora di toccarla.
Gaia non riusciva più a respirare, correva e camminava a tratti, cercando di mantenere le forze il più a lungo possibile, gli occhi che saettavano freneticamente in tutte le direzioni: a terra per non inciampare, ai lati alla ricerca di un nascondiglio, di fronte per essere sicura di non andare a sbattere contro qualche tronco e dietro, nella speranza di non scorgere i suoi occhi.
Era sempre lì, pochi passi dietro di lei; scivolava silenzioso tra l'erba e i legni marci, la faccia scura, i capelli gocciolanti di fuoco, una mano che accarezzava distratta l'orecchino di perla. Camminava tranquillo, come se otto passi di lei contassero come uno dei suoi, come se il desiderio che gli si leggeva negli occhi rischiarati dalla Luna si alimentasse nell'inseguimento della preda. Era quello che si sentiva: un tenero coniglio destinato a essere catturato e, sebbene l'avrebbe confessato solo sotto tortura, il solo pensiero le attorcigliava i nervi dal piacere.
Con l'acqua del temporale che continuava a scenderle inesorabilmente tra i seni, appiccicandole la camicia alla pelle calda, Gaia sentì arrivare i primi segni di cedimento: il panico cominciò a risalire la corrente fino ad abbrancarle completamente il cuore, stringerle lo stomaco e il cervello.
La pioggia era accompagnata da una nebbia così spessa che riusciva a penetrarle in testa, confondendole i sensi e costringendola a correre a caso tra la boscaglia sempre più bassa e fitta, pronta a inghiottirla. Il ringhio di un cane la raggiunse e le sfinì i nervi, facendola inciampare su un sasso sporgente.
Presa. Una mano poco gentile l'afferrò stritolandole la caviglia destra, strappandole un grido stupito, trascinandola all'indietro.
Con l'odore fresco della terra ficcata direttamente nel naso e il respiro del mangiafuoco ansante nell'orecchio, Gaia perse completamente contatto con la realtà e si raggomitolò su se stessa. Lui le stava sopra, le spalle e le lunghe gambe che la accerchiavano, sovrastandola senza tuttavia toccarla.
Quando il suo respiro le sfiorò il collo, la sua testa si svuotò e si riempì della carezza della sua mano che dalla caviglia risaliva lentamente la gamba, provocandole involontari sussulti di piacere. Sfidando la sorte Gaia si voltò, trasalendo nel trovarsi catturata da quegli occhi neri, lontani solo una ciglia dai suoi. Non la lasciò nemmeno trattenere il respiro, imprigionandolo a labbra aperte, catturandole la bocca con i denti. Con una mano andò ad afferrarle i capelli, trattenendola nella terra umida, lasciando l'altra a percorrerle le gambe.
Era inevitabile che alla fine Michele si rendesse conto della sua nudità sotto il mantello. Quando accadde, improvvisamente i suoi respiri aumentarono d'intensità insieme alla smania delle sue mani, che si spostarono prepotentemente sui seni, sui fianchi, percorrendo sicure la soffice curva del sedere, infilandosi tra le pieghe del suo corpo, alla ricerca di pelle sensibile.
Per Gaia fu la goccia: l'improvviso desiderio di sentirselo contro la fece scattare in piedi, sbilanciando il ragazzo da un lato e, scacciando tutte le nebbie del cervello, si allontanò velocemente dalle tentazioni. La corsa feroce tra bassi cespugli di mirtilli servì solo a sfiancarle i polmoni e distruggerle le gambe, perché lui le arrivò addosso quasi immediatamente, furioso. Il mangiafuoco non ebbe pietà e la strinse a sé brutalmente, da dietro, aggrappandosi con disperazione al suo ventre teso, schiacciato ora su un tronco ruvido.
Gaia, sfinita, smise di lottare, contro di lui e contro il bruciore che le accendeva la pelle, decidendo di seguire il fremito che le attraversava il corpo. Si abbandonò sull'albero mentre le labbra del ragazzo le raggiungevano la nuca, lasciandole la pelle umida di baci lievi.
Percependo la sua resa, Michele la voltò dolcemente e, quasi con riverenza, spostò il mantello della ragazza, concedendole il corpo all'aria della notte; con le mani che tremavano, si abbassò poi i pantaloni leggeri appoggiando pelle contro pelle, facendo incontrare i lori respiri spezzati dal desiderio e dalla corsa. Percorrendole i fianchi a mano aperta, il mangiafuoco le catturò le cosce e se la issò contro, facendosi strada tra pelle umida e calda...
«Broccoletto! Stai ancora dormendo?»
La voce di Gigliola le trapanò un timpano e fece scoppiare il sogno come una bolla di sapone. Gaia trattenne la delusione per qualche secondo, cercando di riacchiapparlo, ma dovette arrendersi alla voce imperiosa della madre. Lanciò le gambe in aria, sradicando il lenzuolo e, ficcandosi il cuscino sulla faccia, urlò tutta la sua irritazione verso il mondo. Si alzò energica, la linea delle sopracciglia piegata in un'espressione contrariata. Aprendo la porta, si bloccò di scatto rendendosi conto solo in quel momento chi e cosa aveva sognato.
Voleva Michele. Saperlo, la fece innervosire ancora di più.
«Ti sei svegliata proprio male stamattina, che brutti occhietti hai, carotina. Tieni, una bella spazzata alla camera e ti sentirai subito meglio.»
Gigliola aveva interrotto i suoi pensieri cacciandole in mano una scopa. Gaia, per tutta risposta, le ringhiò contro, dirigendosi marzialmente verso la cucina decisa a rimpinzarsi di biscotti. Magari le avrebbero tolto quella voglia di dolcezza provocata dal sogno folle.
Poco alla volta la ragazza cominciò a calmarsi e sentendosi un po' in colpa andò a cercare la madre, disposta ad aiutarla con le pulizie della casa prima di recarsi in ambulatorio. Conoscendola, ne avrebbe approfittato per lustrare ogni angolo dei loro centoventi metri quadrati di abitazione, ma per una volta Gaia decise di assecondarla.
Nel tardo pomeriggio Ambra venne a chiamarla: sua madre aveva preparato un cestino da picnic pieno di dolcezze e prima di farle fuori tutte da sola voleva proporle di dividere i chili in più in riva al fiume.
«Dici che venga tuo fratello?», le chiese l'amica, tentando inutilmente di fare l'indifferente.
«Spero di no», rispose forse troppo bruscamente. Vedendo Ambra imbronciarsi, l'abbracciò di slancio.
«Non ti preoccupare, con il caldo che fa Leone deciderà di farsi un bagno e si porterà dietro, per mia gioia, tutta la sua compagnia di pazzi furiosi.»
«Non ti piacciono proprio gli artisti?»
«Certo hanno capacità e fascino, ma non sono altro che lascivi, viziosi, maligni manipolatori di menti.»
Gaia borbottava come una vecchia caffettiera, piegando i vestiti sparsi per la camera.
«Si tratta di una considerazione generale o stiamo parlando di una persona in particolare?», puntualizzò l'amica con malizia.
Il sogno di quella notte si affacciò prepotentemente nella sua mente.
«Non ha importanza. Andiamo, prima che la mamma senta il profumo dei pasticcini e ci blocchi qui.»
Ambra la guardò seria, ma conoscendo Gaia meglio di se stessa si limitò a stritolarla tra le braccia senza aprire bocca. Insieme s'incamminarono verso la spiaggia del Rio Corto, decise a imbottire i propri pensieri di zuccheri.

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