Stasi

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La lezione di pozioni era iniziata da un po’, e il professore era in ritardo come suo solito. Nessuno però se ne stupiva più di tanto. Conoscevano bene il professore. Lumacorno era molte cose, un abile pozionista, un uomo vanitoso che amava circondarsi di ragazzi promettenti e un amico fedele di Silente da molti anni, ma non era mai stato puntuale in vita sua, nemmeno durante le cene che amava tanto organizzare.
“Buona giornata ragazzi. Sedetevi, prego. Ma che succede?” disse Lumacorno entrando nell’aula e scorgendo due posti vuoti nella fila di solito occupata dai Gridondoro. Sia Alice Prewet che Sirius Black mancavano all’appello. Voltò la testa e si ritrovò di fronte la faccia tetra della sua allieva prediletta, Lily Evans. Doveva sicuramente essere successo qualcosa.
“Alice e Sirius, non sappiamo dove sono.” mormorò Peter sconsolato. Lumarco intuì al volo dove fosse il problema. A colazione aveva notato del trambusto al tavolo dei Grifondoro ma non vi aveva dato peso, preso come era nel raccontare alla professoressa McGranitt dell‘ultimo incontro con il vice ministro della magia.
“Poveri ragazzi, non deve essere facile per loro. Sono molto legati al signor Potter, non è vero? Per questa volta farò un eccezione e non farò caso alla loro assenza. Lupin, Minus, state vicino a Black, e voi, ragazze, fate lo stesso con Alice.” disse Lumacorno, togliendosi il mantello e facendo comparire sulla lavagna le indicazioni per la pozione da preparare. Non si trattava di una pozione particolarmente difficile, ma i ragazzi non sembravano interessati.
Lily, Charleen e Cristal annuirono distratte, e tornarono subito ai propri pensieri. Il professore si mise a spiegare le proprietà degli antidoti ad una platea distratta che non gli prestava la minima attenzione. Nemmeno a Lily Evans andava di fare lezione quel giorno. La ragazza era immersa nei propri pensieri, dove due vocine insistenti si davano battaglia. La prima diceva che Alice aveva ragione, che lei Potter non lo conosceva e che non era il caso che si interessasse così alle sue sorti. La seconda voce, invece, le diceva che Alice era stata ingiusta a dire quelle parole, ma che lei era stata lo stesso una sciocca a non concedere nessuna possibilità a James. Il ragazzo aveva fatto di tutto pur di farsi conoscere da lei, ma Lily era sempre stata irremovibile. In quei giorni la ragazza era arrivata a chiedersi cosa avrebbe provato in quel momento se l’anno prima invece di urlare a James che le dava la nausea gli avesse dato la possibilità che lui da tempo chiedeva. 

Nell’antro più buio e desolato del castello, intanto, Sirius si torturava, ripetendosi che era il peggiore degli amici e il più grande degli idioti che il mondo avesse mai conosciuto. Sentiva di avere sbagliato tutto, ed ora era troppo tardi per rimediare. Il ragazzo era rannicchiato contro una parete, le ginocchia schiacciate contro il viso, e per quanto si sforzasse non riusciva a smettere di pensare all’ultima volta che aveva parlato con James. Riusciva a ricordare chiaramente cosa era successo quel giorno.

***

L’espresso che li stava riportando a Londra era partito già da qualche ora ed i ragazzi erano nei loro scompartimenti abituali. Le ragazze all’inizio del treno, i malandrini sul fondo mentre Frank e Sebastian facevano la spola da un posto all’altro. Nella cabina dei malandrini l’atmosfera era tesa, pesante. Da quando il padre di James era morto era diventato davvero difficile per Remus, Sirius e Peter sapere come comportarsi con il loro amico. Ogni cosa che dicevano o facevano alla fine si rivelava sempre quella sbagliata. James era cambiato, non era più lui. Remus aveva parlato a lungo con Alice. La ragazza aveva detto loro che il cugino stava soffrendo, e che dovevano solo portare pazienza. Secondo lei il tempo alla fine avrebbe risolto tutto. 
“Anche io sto soffrendo James, anche io volevo bene a tuo padre.” ripeté Sirius esasperato. 
La notizia della morte del padre di James era arrivata circa dieci giorni prima e aveva preso tutti loro di sorpresa. Il signor Potter era uno dei migliori auror del paese, e nessuno riusciva a capire come poteva essere stato battuto da un mangiamorte. Dopo il funerale il ragazzo si era chiuso nel suo dolore, non accettava che nessuno gli nominasse il padre e non riusciva a condividere il suo dolore con gli amici. Nella sua mente accecata da quel terribile lutto, era lui l’unico che poteva soffrire la perdita di Charlus Potter, gli altri non potevano certamente capirlo. Sirius, che era molto legato al signor Potter e gli era grato per tutto quello che aveva fatto per lui, aveva cercato di essere paziente e di stare vicino all’amico, ma in quei giorni era diventato incredibilmente complicato sopportare James Potter, persino per Sirius Black.
“È mio padre quello che è morto, non il tuo.” rispose James, guardando di traverso l’amico. Sirius si morse la lingua. Avrebbe voluto rispondere che forse, se fosse stato il suo vero padre a morire, Orion Black, e non Charlus Potter, avrebbe sofferto sicuramente di meno, ma decise di non dire niente. Sarebbe servito solamente a peggiorare l‘umore di James, già molto instabile. Nella cabina cadde il silenzio, nessuno si decideva a dire niente.
Fuori dal finestrino il panorama correva veloce. L’estate era arrivata, calda e luminosa come sempre, e faceva da contrasto con la sofferenza e la tensione che regnavano in quel vagone solitamente allegro e rumoroso. 
“Lui era mio padre, e ora non c’è più..” ribadì James, fissando il vuoto. Sirius a quelle parole sentì andargli il sangue alla testa.
“Cosa diamine vuoi dire? Soffri di più solo perché avete lo stesso sangue? Sei un bambino, la Evans ha ragione.” ringhiò Sirius, perdendo la calma. Erano giorni che James non faceva che dire o fare idiozie, stargli vicino cominciava ad essere complicato. Alla fine era esploso.
“Lascia fuori Lily da questa storia.” rispose James, colto sul vivo. Le parole che la rossa gli aveva rivolto qualche giorno prima nel parco lo avevano ferito. Non faceva che pensarci e ripensarci continuamente. 
“No, invece. Sei egocentrico, devi essere sempre al centro dell’attenzione. Tu giochi meglio, tu sei il più ammirato, tu soffri di più. Pensi di essere dio in terra, beh, non lo sei.” urlò Sirius, ormai completamente fuori di sé. Peter guardava la scena spaventato, Remus invece era un pezzo di ghiaccio. 
“Che diavolo stai dicendo?” chiese James, spaesato. Come poteva il suo migliore amico avere parole così dure per lui? Era suo fratello, la persona che meglio lo conosceva al mondo. Era davvero questo quello che pensava di lui?
“Che mi sono rotto le scatole di questi atteggiamenti. Sono stufo di te che ti comporti come se fossi il sole e tutti noi dovessimo ringraziarti della tua presenza.” continuò Sirius, senza accennare a calmarsi. Sulla porta dello scompartimento erano comparse anche Cristal e Alice, ma nessuno dei ragazzi le aveva notate presi come erano dalla discussione. Le due ragazze stavano assistendo sbigottite alla scena, senza riuscire a spiccicare una sola parola.
“Da quando pensi queste cose?” mormorò James a bassa voce, quasi temendo la risposta.
“Le ho sempre pensate, ma non te le ho mai dette. Ti ho sempre lasciato fare, credere di essere dio perché non mi dava fastidio. Sai una cosa? Ora basta, la misura è colma.” concluse Sirius battendo i pugni sul sedile. Non era vero, stava mentendo. Sirius non aveva mai pensato quelle cose, era stato il senso di impotenza a farlo parlare. Quella terribile sensazione di non riuscire ad aiutare il suo amico lo aveva fatto straparlare, ed ora l’orgoglio gli impediva di tornare sui suoi passi. James sentì il cuore andargli il pezzi, per la terza volta in poche settimane. Prima la notizia della morte del padre, poi le parole di Lily, e ora anche Sirius. Come aveva potuto non accorgersi prima di quello che provavano le persone che aveva intorno? La sua vita in poco meno di un mese era andata in frantumi e a lui non era rimasto altro che pochi cocci rotti da rimettere insieme.
“Sei un ipocrita, pensavo fossi mio amico e invece sei come tutti, come la Evans. Invece che starmi vicino mi date addosso.” urlò James, cercando di trattenere le lacrime. Non sarebbe scoppiato a piangere di fronte a Sirius, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
“Starti vicino è impossibile James. Come si fa a stare vicino a uno che si crede sempre il migliore?” chiese Sirius con un ghignò quasi divertito sul volto. Nemmeno questo era vero. James non gli aveva mai fatto pesare i suoi successi sportivi, così come non aveva mai fatto pesare a Remus le ore passate in biblioteca per diventare animagus illegali o tutto quello che aveva fatto per lui da quando era scappato di casa.
“Non ho bisogno di te.” rispose James, cercando di essere freddo quanto l’amico. Peter prese a tremare, terrorizzato mentre il cuore di Remus a quelle parole perse qualche battito.
“Nemmeno io ho bisogno di un amico che non mi ascolta e che mette sempre al primo posto se stesso. Ti credi dio, bene, resta da solo con i tuoi problemi.” disse Sirius, deciso. 
James si guardò intorno, cercando gli amici conforto. Si specchiò negli occhi di Remus e vide l’ombra di se stesso. Il ragazzino allegro che era salito sul treno qualche mese prima non c’era più, al suo posto c’era un fantasma che non aveva nemmeno la forza di piangere. Era stanco. Tutto quello che voleva era dormire, chiudere gli occhi e non pensare più a nulla. Non ne poteva più di decisioni da prendere e di persone da non deludere. Doveva sembrare forte per sua madre, per sua cugina, per sua zia e per i suoi amici ma la verità era che non ne aveva più la forza. Era arrivato al limite.
“Remus, Peter?” chiese James speranzoso senza ottenere risposta. Peter si spostò vicino a Sirius, quasi a chiederne la protezione e poi annuì. Persino il piccolo Peter lo aveva abbandonato. Cercò Remus, ma trovò al suo posto un muro di indifferenza. Sembrava che tutta quella storia non lo toccasse, che né Sirius né James fossero tanto importanti da richiedere il suo intervento in quella discussione.
“Che c’è? Vuoi il loro appoggio? Pensi davvero che daranno ragione a te?” lo schernì Sirius.
“Voi mi volete bene, vero? Sirius, tu mi vuoi bene..” chiese James, quasi implorante. Aveva bisogno del loro affetto, era l’unica cosa che potesse farlo andare avanti. Non gli era rimasto altro che loro. Quel momento terribile lo poteva superare solo se i suoi amici gli fossero rimasti accanto, da solo non ce l’avrebbe fatta di sicuro.
“Non ne sono più così sicuro, Potter.” rispose Sirius, freddo e distaccato, usando lo stesso tono che per anni aveva riservato solamente alla sua famiglia. James, disperato, si ritrovò a chiedersi se la loro grande amicizia fosse davvero finita in quel modo.
Cadde il silenzio, rotto solo dai singhiozzi silenziosi di James che Sirius cercava con tutto se stesso di ignorare dicendosi che non importava più niente di James Potter. Quello che voleva con tutto se stesso era stringere James e dirgli che andava tutto bene, ma era bloccato.
Il treno cominciò a rallentare, per poi fermarsi. Dal vetro abbassato per metà arrivavano gli schiamazzi di fratelli minori, cugini, genitori venuti a riprendersi i loro cari e a condurli nei luoghi di villeggiatura. I ragazzini più piccolo strillavano eccitati, pregustando le imminenti vacanze estive. Charlus Potter era sempre venuto a prendere il figlio con un sacchetto pieno di dolci, ma quell’anno James sapeva che ad aspettarlo ci sarebbe stato solamente il vuoto. 
“Sirius, forza andiamo, siamo in stazione.” squittì Peter, tirando Sirius per la veste. Remus si alzò, e fece per seguire i due amici. James invece, sembrò non avere le forze per muoversi dal sedile sul quale era ricaduto. Sirius si voltò istintivamente verso l’amico, e frenò a fatica l‘istinto di tendergli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Per un po’ sembrò quasi che stesse per dire qualcosa di importante, poi scosse la testa.
“Passa buone vacanze, Potter.” disse alla fine, distaccato.
“Ma Sirius, tu dovevi venire da me quest’estate. Non ricordi?” disse James, la voce ridotta a poco più di un sussurro. Sirius era scappato di casa qualche mese prima, durante le vacanze di Natale, e da allora si era trasferito da James, a Godrig’s Hollow. I signori Potter lo avevano accolto come un figlio e James era stato felicissimo di avere qualcuno con cui dividere la sua stanza.
“Ho avvisato mio zio che starò con lui. Sai, non vorrei disturbare l’incredibile sofferenza del principino di casa.” rispose Sirius prima di andarsene e sbattere la porta alle sue spalle.
James Potter sentì la porta sbattere, e capì di essere rimasto solo. Non c‘era più nessuno per lui, non suo padre, non Lily, non Sirius e neppure i malandrini. Era tutto finito, era solo. Scese dal treno come un automa, andando a sbattere contro le persone senza nemmeno rendersene conto. Alice gli corse incontro, preoccupata, ma lui la allontanò.
“Torna domani..” disse solamente mentre si allontanava solitario. 

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