AMARE SCOPERTE E RITORNI INASPETTATI

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Alice era stata via solamente qualche ora eppure non appena rimise piede tra quei corridoi che ormai conosceva alla perfezione si rese conto che le sembravano essere passati anni, secoli forse. Era tutto cambiato, o forse si trattava solamente del suo modo di guardare quello che le stava intorno. James era vivo, stava bene, le aveva sorriso ma non ricordava assolutamente nulla. Si trattava di un binomio di notizie che la rendeva felice e triste insieme. Riusciva a guardare il mondo in una nuova prospettiva, più fiduciosa forse. 
Non appena Alice tornò, la prima cosa che trovò furono Remus, Peter, Cristal e Lily in sala comune. Erano seduti davanti al fuoco, come loro solito, e di tanto intanto gettavano occhiate preoccupate fuori dalla finestra dove la pioggia cadeva ormai incessante. Appena la videro le sorrisero. Nella testa di Alice vorticavano mille pensieri. Non faceva altro che pensare al cugino, che non ricordava nulla, e si chiedeva se fosse giusto o meno non dirgli nulla sugli ultimi mesi della sua vita prima dell‘incidente. James aveva il diritto di sapere, ma lei aveva anche il dovere di proteggerlo. Jamie aveva già sofferto troppo. Come avrebbe potuto reagire venendo a sapere che negli ultimi mesi suo padre era morto e lui aveva discusso con le persone a cui teneva di più? Forse il dolore avrebbe potuto aiutarlo a ricordare, o forse l’avrebbe sconvolto tanto da portarlo a fare scelte avventate. Alice si chiedeva anche cosa fosse successo sul serio in quella stanza, ma sapeva bene che l’unica persona che poteva dare una risposta a quella domanda aveva perso la memoria.
“Come è andata?” chiese Lily, ansiosa, distogliendo Alice dai suoi pensieri. La ragazza sobbalzò sorpresa, e si guardò rapidamente intorno. Nonostante fosse già buio non c’era traccia della squadra. La rossa non aveva fatto che pensare a James da quando l’amica era stata convocata dalla professoressa McGranitt. Lily non poteva fare a meno di chiedersi se James l’odiasse o meno, se avesse chiesto di lei oppure l’avesse cancellata per sempre dalla sua vita. Inspiegabilmente quest’ultima ipotesi l’addolorò parecchio.
“Diciamo bene.. Gli altri?” domandò Alice, guardandosi intorno. Erano quasi le nove, ma dei ragazzi nemmeno l’ombra. Mai come prima di quel momento aveva sentito la necessità impellente di buttarsi tra le braccia di Frank e lasciare che quel contatto fisico le desse le certezze che non riusciva ad avere da sola. Quando era insieme a Frank il mondo le sembrava più bello, perfetto. Nulla era troppo difficile o troppo lontano.
“Allenamenti.” rispose Remus sbuffando, mentre Peter annuiva deciso.
“Ancora?” esclamò Alice sorpresa. Improvvisamente ricordò che lei li aveva saltati per l’ennesima volta e pregò che Sebastian non fosse troppo arrabbiato con lei da prendersela con gli altri.
“Sebastian li sta torturando.” spiegò Cristal, preoccupata per i ragazzi. Negli ultimi mesi Sebastian si era trasformato in un dittatore. Non vi era più traccia del simpatico fannullone che faceva sempre ridere tutti. Almeno, non ve n‘era traccia quando erano in campo. Tra i banchi di scuola e a tavole Seba era il solito di sempre. Solo, la squadra, gli allenamenti e le partite assorbivano tutte le sue energie e peggioravano decisamente il suo umore. 
A peggiorare le cose c’era il fatto che anche la squadra aveva avvertito quel cambiamento e non l’aveva presa bene. Il risultato finale era che nessuno si divertita più, non ci mettevano più passione. Tutti giocavano solamente perché dovevano ed era quello che tutti i Grifondoro si aspettavano da loro. 
“Dovrei raggiungerli al campo?” chiese Alice, guardando preoccupata la bufera che si stava scatenando fuori. Non ne aveva per nulla voglia, ma allo stesso tempo voleva evitare che Sebastian sfogasse la sua rabbia sugli altri compagni. Alice sospirò, pensando che di quel passo ci sarebbe voluto poco perché Seba la buttasse fuori squadra.
“Io rimarrei qui al tuo posto.” suggerì Lily saggiamente, osservando la pioggia cadere fitta oltre il vetro. Alice decise di ascoltare l’amica, e si lasciò cadere a sedere sulla sua poltrona preferita. Chiuse gli occhi per un momento e nella sua mente comparvero un sacco di ricordi. In un lampo gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime che cercò di nascondere soffiandosi il naso. Lily e Cristal guardavano l’amica, chiedendosi come stesse veramente. Entrambe non osavano fare domande su James, intuendo che qualcosa doveva essere andato storto. Peter fece per aprire la bocca, probabilmente per chiedere notizie dell’amico, ma Remus lo fece tacere con un’occhiata. Non bisognava mettere fretta ad Alice, doveva essere lei a iniziare l’argomento. L’ultima cosa che voleva era torturare la ragazza più di quanto fosse necessario.
Dopo quella che sembrò essere un’eternità ma che invece erano solo pochi minuti, Alice si riscosse dal torpore in cui era caduta e si alzò di scatto.
“Intanto scrivo una lettera.” disse Alice, sedendosi al primo tavolo libero e mettendosi a scrivere frenetica. Remus, Peter, Cristal e Lily si scambiarono occhiate piene di curiosità ma non dissero nulla né tanto meno fecero domande. Lily propose una partita a scacchi e Remus accettò subito, per smorzare la tensione e ingannare l‘attesa.
Quando ebbe finito con la lettera Alice andò alla ricerca di un gufo che portasse la lettera a James, uscendo silenziosa dalla sala comune. Raggiunse la guferia in un lampo, mentre gli amici si chiedevano perché scrivesse una lettera così tardi, e soprattutto chi potesse essere il destinatario. Alice vagò per la guferia per un po’ prima di trovare un grosso barbagianni che sonnecchiava sul suo trespolo. Gli si avvicinò, ma prima di fissare la lettera alla zampa e di sussurrargli l’indirizzo la rilesse un’ultima volta. 
Caro James,
Sono appena tornata al castello e sto aspettando gli altri che sono al campo ad allenarsi.
È buffo, non so nemmeno se ti ricordi delle case di Hogwarts o di che cosa sia un cacciatore, un battitore o un cercatore.
Non so neanche bene cosa scriverti,
forse non hai voglia di sentire quello che è successo a gente di cui conosci solo il volto..
Ti mando un grosso bacio e un grosso abbraccio.
Appena me lo permettono torno a trovarti, promesso.
Ti voglio veramente tanto bene e spero che questo tu lo possa sentire,
anche se non ricordi nulla di me.
Alice.
La ragazza aspettò qualche istante che il nobile volatile si allontanasse nel buio della notte, poi prese le scale e tornò verso il dormitorio. Quando tornò in sala comune Alice si trovò di fronte una situazione decisamente paradossale. Charleeen, Frank, Seba e Sirius erano da poco tornati dal campo di allenamento ed erano completamente fradici, dalla testa ai piedi. I ragazzi non sembravano farci troppo caso mentre Charleen stava tremando di fianco a Lily che cercava un incantesimo in grado di asciugarle in poco tempo i vestiti bagnati. Frank parlava tranquillamente con Peter mentre Sirius e Sebastian si fronteggiavano guardandosi in cagnesco e lanciandosi occhiate di fuoco. Era facilmente prevedibile che avrebbero finito con il discutere, probabilmente a causa della squadra. Ormai le litigate tra Sirius e Seba erano quasi all’ordine del giorno. Sirius non aveva preso bene fin dall’inizio la sostituzione di James. Per come vedeva lui le cose l’unico capitano di Grifondoro degno di questo nome era il suo migliore amico. Alla fine aveva dovuto accettare il fatto che qualcuno dovesse necessariamente sostituirlo, ma non poteva fare a meno che notare le differenze tra il modo di Seba di condurre la squadra e quello che aveva sempre avuto James. L’anno prima, con lui, ogni allenamento era come un’uscita tra amici ed ogni partita un avvenimento epocale che si concludeva con una festa degna di entrare negli annali per celebrare la vittoria dei grifoni a cui si univano anche gli studenti della altre case, dimenticando il risultato.
“A chi hai mandato quella lettera?” chiese Cristal, curiosa, ignorando la guerra che si stava scatenando alle sue spalle. Frank, che le si era subito avvicinato, la guardò perplesso e Alice aprì la bocca per rispondere ma Sirius la precedette, scatenando l‘inferno.
“Lo uccido!” esclamò Sirius, furente, palesemente rivolto a Sebastian. 
In un secondo il ragazzo scattò, in direzione del suo capitano ma venne preso in tempo da Frank e Remus prima che riuscisse a colpire Sebastian.
“Sta calmo!” disse Remus cercando a fatica di fare ragionare Sirius, tenuto fermo anche da Frank. Peter osservava la scena da lontano, spaventato e paralizzato. Alice fissò per un po’ il ragazzo, il più mingherlino dei malandrini, e arrivò alla conclusione che Peter non c’era mai quando c’era bisogno di lui.
“Calmo? Con tutte le persone che ci sono in questo castello proprio ad un esaltato dovevano dare l’incarico di Capitano?” urlò Sirius rivoltò ad un impassibile Sebastian che sembrava non essere toccato dalle parole del ragazzo. Sirius ripeteva le stesse cose ogni sera, e il giorno dopo si presentava diligentemente agli allenamenti. Seba sapeva che non avrebbe lasciato la squadra per non fare torto a James, e lasciava che si sfogasse urlandogli contro.
“Dovevi proporti tu, Frank!” commentò Charleen, finalmente asciutta e meno infreddolita.
“Non sono abbastanza cattivo e non mi so imporre.” rispose Frank, sorridendo e cercando di sdrammatizzare la situazione. Un po’ di ironia era estremamente necessaria in quel momento per evitare il peggio. 
“Beh, io si!” esclamò Sebastian deciso. Sirius aprì la bocca per rispondergli ma Alice lo prevenne cercando di mettere fine a quella discussione.
“Che state dicendo?” chiese Alice, guardando i ragazzi presi dalla conversazione.
“Che è insopportabile.” spiegò Cristal riassumendo in poche parole il concetto espresso da Sirius indicando Sebastian, che si limitò a scrollare la testa.
“Lo faccio per il vostro bene, la partita è tra due settimane!” spiegò Sebastian, alzando le spalle. Sirius sbuffò, si liberò dalla presa di Frank per andare a sedersi il più lontano possibile dal suo attuale capitano.
“Parliamo di cosa più importanti? Alice è appena tornata!” disse Remus, indicando la ragazza. I ragazzi si voltarono tutti verso di lei di scatto. Improvvisamente tutti si sentirono stupidi per avere perso tempo a discutere di sport mentre la loro amica aveva notizie sicuramente più importanti su James da comunicare.
“James! Come sta?” chiese Frank, prevenendo Sirius che stava per fare la stessa domanda.
“Bene, sono così felice..” esclamò Alice, con un espressione estasiata sul viso. Tutti quanti a quelle parole si sentirono più leggeri, come liberati di un grosso peso che li opprimeva.
“Poteva parlare o era troppo debole?” chiese Sirius, ansioso di sapere più cose possibile sulla salute del suo amico. Avrebbe voluto correre da lui, abbracciarlo e piangere sulla sua spalla dandosi dell’idiota ma non sapeva se era o meno una buona idea. Remus gli aveva consigliato di aspettare per vedere come si sarebbero messe le cose, e questo era quello che lui aveva deciso di fare. Per la prima volta da che lo conosceva aveva davvero ascoltato il suo amico licantropo. Non voleva correre il rischio di fare altri danni, aveva già fatto troppi errori con James. Errori enormi, forse irreparabili.
“Quando sono arrivata stava dormendo, poi mi ha sentito entrare e si è svegliato. Abbiamo parlato un po’.” raccontò Alice, cercando le parole giuste per dire agli amici che James non ricordava nulla. Era davvero difficile trovare la forza per iniziare quel discorso.
“Dici davvero?” chiese Peter con la sua voce stridula e speranzosa. 
Alice aggrottò le sopracciglia, come infastidita. La voce del ragazzo le era suonata strana, sgradevole, falsa forse.
“Pensi che potremmo andare a trovarlo nei prossimi giorni?” chiese Remus pacatamente, cercando di nascondere la sua impazienza. Aveva veramente voglia di rivedere James, sedersi sul bordo del suo letto e ridere con lui come non faceva da troppo tempo. Voleva anche parlargli di quell’estate, dirgli quanto era stato stupido su quel treno e di come avesse provato a rimediare scrivendo decine e decine di lettere che non erano mai state lette.
“Non so, c’è stata una complicazione.” iniziò Alice, incerta sul come proseguire. Come poteva dare  una notizia tanto brutta a quelle facce così piene di speranza? Forse aveva sbagliato a non essere stata schietta fin dall’inizio.
“È grave?” chiese Charleen, preoccupata. I visi di tutti si fecero improvvisamente più seri mentre esaminavano mentalmente tutte le possibilità, figurandosi le peggiori.
“Tornerà a camminare, vero?” chiese Lily, spaventata. Nonostante avesse chiarito la questione con Alice i sensi di colpa per l’incidente di James non si decidevano a passare. Si sentiva responsabile, e non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che se non fosse stato per lei James non si sarebbe mai fatto male.
“Si, sta bene.” ripeté Alice, sedendosi sulle gambe di Frank. Proprio in quel momento un gufo planò dolcemente nella stanza e si diresse verso Alice, lasciando cadere una lettera sulle gambe della ragazza. Alice riconobbe immediatamente il gufo di sua zia Dorea, una grossa civetta bianca di nome Rochelle.
“Guarda, un gufo..” esclamò Peter, confuso. Sul viso di Alice si dipinse un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“La posta adesso?” chiese Cristal, confusa. Sirius e Remus si scambiarono un’occhiata preoccupata, la posta fuori orario non era mai un buon segno e per di più quel gufo era maledettamente familiare. Non potevano certo sbagliarsi, quello era il gufo che aveva consegnato a James centinaia di lettere e pacchi da parte dei suoi genitori. 
Ignorando le facce preoccupate degli amici e quello che gli accadeva intorno, Alice aprì la busta e si mise a leggere avidamente con un sorriso sulle labbra.
Cara Alice,
Non ricordo nulla del castello. Però sono annoiato, ho male alla testa ed al braccio e.. sono annoiato. Ah si, ho anche la febbre. 
Mi fa piacere leggere quello che combinate. Ho letto qualcuna delle tue lettere, non sembra ci si annoi lì da voi. Non ricordo nulla di quello che abbiamo passato insieme ma sento il bene che mi vuoi e sento di volertene anche io.
James. 
Alice rilesse quelle poche righe più e più volte, cercando di cogliere ogni minima sfumatura. Si immaginò mentalmente James, con il suo sorriso e la sua espressione così tenera dirle quelle parole. Le riusciva a sentire risuonare nella sua testa. Notò la scrittura incerta, insicura e gli scarabocchi che James aveva fatto come suo solito ai lati del foglio. Sembravano essere dei boccini stilizzati, ma non ne era sicura. Le pareva quasi di vederlo, James, mentre scriveva quella lettera appoggiato alla meglio all’instabile tavolino di fianco al letto con il braccio fasciato e la testa pesante per la febbre. Doveva essergli costata molta fatica e molto impegno. 
Gli amici, nel frattempo cercavano di capire lo strano comportamento di Alice. Prima era sparita per mandare una lettera, poi aveva detto loro che James stava bene ma c’era stata una complicazione ed infine si era messa a leggere sorridendo in modo quasi ebete una lettera che era arrivata ad un orario a dire poco insolito da un gufo maledettamente simile a quello della madre si James.
“Alice, che succede?” chiese Charleen, preoccupata, parlando un po’ a nome di tutti.
“Nulla.” rispose Alice, facendo scivolare la lettera nella tasca della veste.
“Stavi parlando di James.. Stavi dicendo qualcosa riguardo una complicazione..” le ricordò Frank dolcemente, anche lui vagamente preoccupato. Conosceva abbastanza Alice per sapere che stava nascondendo qualcosa, forse di grosso.
“Scusate.” disse Alice, cercando di ritrovare il filo del discorso. Gli amici la guardavano spaventati, doveva dire loro tutto o sarebbe preso un colpo a qualcuno. Alice sospirò. 
Cristal approfittò della pausa per sedersi a cavalcioni sul bracciolo di una poltrona e così facendo ribaltò la borsa di Alice con tutto il suo contenuto a terra.
“Ma quelle sono le lettere che avevo scritto a James!” esclamò improvvisamente Remus indicando le lettere che erano sbucate dalla borse della ragazza. Alice si affrettò a raccoglierle sotto lo sguardo incredulo degli amici, ma ormai era tardi. Il danno era fatto e forse era anche meglio così.
“È vero!” confermò Sirius, riconoscendo immediatamente la calligrafia dell’amico. Il suo cuore accelerò di colpo mentre nella sua testa si facevano largo un sacco di scenari, uno più assurdo e improbabile dell’altro che avevano portato Alice a mettere nella sua borsa le lettere destinate a James.
“Che ci fanno nella tua borsa?” chiese Sebastian, serio, con fare indagatore. Anche se nessuno si decideva a parlare era palese che tutti stavano pensando alla stessa cosa. La paura di tutti era che James si fosse arrabbiato con la cugina o con loro.
“È stato James a dirti di portarle via? Non ci vuole più vedere, è questo che volevi dire?” disse Sirius, spaventato e vicino a una crisi di nervi, dando voce ai timori di tutti i presenti. Remus cercò di calmarlo, abbracciandolo, ma il ragazzo si liberò da quella stretta.
“No, sono state mia madre e mia zia.” spiegò Alice, abbassando la testa. Era arrivato il momento di dire loro la verità, lo sapeva, ma era ugualmente difficile.
“Dorea non vuole che James legga quelle lettere?” chiese Remus, stupito dallo strano comportamento della madre di James. Dorea voleva loro bene, perché aveva fatto in modo che James non avesse le loro lettere?
“Si, e io penso che abbia ragione.” confermò Alice, annuendo piano. Frank si voltò stupito verso la sua ragazza, incredulo che proprio lei avesse pronunciato quelle parole.
“Cosa stai cercando di dire, Alice?” chiese Frank, confuso. Alice prese fiato prima di dire la frase che avrebbe distrutto definitivamente il buon umore degli amici.
“James ha perso la memoria, non ricorda nulla.” disse Alice alla fine, liberandosi di quel grosso peso. Tutti i ragazzi caddero in silenzio, incapaci di dire qualsiasi cosa. Sirius aprì la bocca per dire qualcosa, o forse per urlare, ma non uscì alcun suono. Il ragazzo era come in trance, troppo sconvolto per riuscire ad emettere un qualsiasi suono.
“È uno scherzo, vero?” chiese Remus dopo quella che parve un’eternità, guardandosi attorno alla disperata ricerca di conferme. Doveva essere uno scherzo, non c’era altra spiegazione. Non poteva assolutamente essere vero che il destino si fosse ulteriormente divertito a giocare con James, tirandogli un altro tiro forse più meschino dei precedenti. Prima le discussioni con Lily e con Sirius, poi il coma e ora questo. Non era giusto.
“Vorrei quanto te che lo fosse. Non ricorda nulla e non riconosce nessuno. Zia Dorea ha portato via quelle lettere per non sconvolgerlo troppo.” spiegò Alice, tristemente raccontando agli amici le ragioni della zia.
“Così per non agitarlo gli mentite? Mi impedite di vederlo e di chiarire con lui?” chiese Sirius, visibilmente agitato, ritrovando la parola. Alice sospirò.
“Sirius, James non ricorda nulla. Vuoi davvero che l’unica cosa che sappia di te è quanto lo hai trattato male sul treno? O che Lily lo odia? O che quando suo padre è morto lui è come impazzito e nessuno di noi ha saputo aiutarlo?” chiese Alice, guardando il ragazzo dritto negli occhi. Sirius capì, non rispose e abbassò la testa. Nella stanza cadde il silenzio più totale, quelle parole avevano colpito tutti con la loro cruda verità. James si era svegliato, ma non era più lo stesso. Il loro James non era ancora veramente tornato da loro. Ancora una volta erano spettatori impotenti della sofferenza del loro amico.
“Ha ragione lei. È la cosa migliore Sirius.” commentò Remus, abbracciando l’amico per fargli forza e fargli sentire la sua vicinanza. Sirius annuì piano, quasi impercettibilmente.
“Dobbiamo aiutarlo a ricordare, lasciare che si ricordi tutto e poi parlare di quello che è successo a giugno.” disse Lily, sconvolta ma nonostante tutto lucida. Alice annuì lentamente.
“L’ho perso..” mormorò Sirius liberandosi dalla stretta di Remus e lasciandosi cadere in ginocchio e tenendosi in viso tra le mani. Era uno straccio, lo spettro del Sirius di sempre. Tutti quanti distolsero lo sguardo, incapaci di resistere a quella triste visione.
“Che stai dicendo Sirius. James è vivo e sta bene.” disse Remus, avvicinandosi nuovamente a Sirius e prendendo le mani del ragazzo tra le sue. Sirius alzò piano la testa, osservando attentamente l’amico. Remus era distrutto quanto lui, ma allo stesso tempo non aveva perso la sua determinazione e la speranza.
“Si, ma non si ricorda di me. È come se la nostra amicizia non sia mai esistita per lui.” sussurrò Sirius tra le lacrime. Improvvisamente gli erano tornate in mente le parole che aveva detto a James sul treno e aveva capito come si era dovuto sentire il suo amico dopo che lui gli aveva detto quelle cose. Era semplicemente terribile sentirsi abbandonati dal proprio migliore amico, ed ora riusciva a capirlo anche lui.
“Non è proprio così.” intervenne Alice, decisa, interrompendo a malincuore quell’abbraccio.
“Di che parli?” chiese Lily, confusa. Alice sospirò e iniziò a spiegare.
“Ve l’ho detto, James non riconosce nessuno. All’inizio non riconosceva nemmeno me e sua madre, dopo un po’ però ha notato che i nostri visi erano familiari.” iniziò a raccontare Alice. A quelle parole tutti si fecero più attenti. Alice prese nuovamente fiato, prima di iniziare a raccontare nei minimi particolari tutto quello che era successo nella stanza d’ospedale di James solo qualche ora prima.
“Aspetta, quindi si ricorda solo di te e sua madre?” chiese Frank, sorpreso. Il fatto che James riuscisse a ricordare almeno qualcosa del suo passato era positivo, voleva dire che non tutto era definitivamente perduto.
“Non si ricorda, ma si fida di noi. Gli sembra di conoscerci da sempre, sente il bene che gli vogliamo. Guardate qui..” spiegò Alice, prendendo la lettera che era arrivata prima che aveva riposto in tasca e mostrandola agli amici. Sirius riconobbe subito la calligrafia. L’avrebbe potuta riconoscere tra mille altre. Era di James, del suo James.
“L’ha scritta lui, vero?” chiese Sirius, ansioso. Alice annuì piano con la testa.
“Deve essergli costata molta fatica.” sussurrò Charleen, guardando il tratto incerto delle parole e le molte macchie di inchiostro sulla pergamena. 
“Penso di si. L’ha anche scritta con la mano sinistra perché il braccio destro è fasciato e immobile.” spiegò Alice, sorridendo tristemente.
“Jamie..” sospirò Sirius, trattenendo a fatica le lacrime. Riusciva quasi a vederlo, nella semi oscurità della stanza d’ospedale, stanco, con la febbre e il braccio fasciato scrivere a fatica quelle poche righe per la cugina. Avrebbe voluto correre da lui per abbracciarlo, attento a non stringere troppo forte per non fargli male.
“Mi ha chiesto di erano le persone nelle foto. Ho preso quella in cui ci siamo tutti e gli ho elencato tutti i nomi.” continuò a raccontare Alice. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, tranne quelli di Sirius, in lacrime. Gli sembrava strano e allo stesso tempo irreale leggere una lettera, seppure di poche righe, che aveva scritto James. Era il primo contatto diretto con lui dopo più di quattro mesi.
“Ha reagito quando gli hai mostrato Lily?” chiese Cristal, ansiosa. Alice scosse la testa, lasciando sgomenti tutti i presenti.
“No, ha solo detto che gli sembrava molto dolce ma anche molto triste.” raccontò Alice, tristemente. Lily a quelle parole rimase come pietrificata, non disse nulla ma si vedeva che era sconvolta. Gli altri ragazzi erano stupiti, non sapevano cosa dire. Esattamente come Alice avevano pensato che vedere Lily lo avrebbe certamente aiutato a ricordare. Charleen si accorse dello strano comportamento dell’amica ma non disse nulla. Le avrebbe parlato più tardi, prima di andare a letto.
“Se non si ricorda nemmeno di Lily è una cosa grave.” commentò Sebastian, scuotendo la testa. Frank gli lanciò un’occhiataccia e gli fece cenno di stare zitto.
“Sirius, non si ricorda di Lily ma di te si.” disse Alice, fissando intensamente il ragazzo ancora in ginocchio. A quelle parole Sirius ebbe un tremito.
“Cosa?” chiese Sirius, stupito, alzando la testa per incontrare lo sguardo della ragazza.
“Quando gli ho mostrato la foto ha detto che gli eri familiare, ti ha riconosciuto. Non si ricorda il tuo nome, o quello che avete passato insieme ma sa di volerti bene.” spiegò Alice, sorridendo. Sul volto di Sirius iniziò a disegnarsi qualcosa di molto simile ad un sorriso.
“È un inizio.” commento Remus, sorridendo.
“Dobbiamo stargli vicino.” disse Frank, convinto. Ora che James stava bene avrebbero fatto di tutto pur di aiutarlo a ricordare, anche a costo di raccontargli nei dettagli ogni maledetto minuto degli ultimi sei anni passati al castello insieme.
“Come reagirà quando saprà quello che gli ho fatto?” chiese Sirius, confuso e triste.
“Lascialo guarire. Avete tutto il tempo per risolvere quella cosa, adesso sta bene.” disse Charleen, saggiamente. Sirius la guardò e poi annuì, deciso. Sapeva che aveva ragione lei, doveva essere forte e reagire. Doveva farlo anche per James.
“Alice, posso andare da lui?” chiese Sirius fissando speranzoso la ragazza, dopo qualche attimo di silenzio.
“Non penso, la professoressa McGranitt ha detto che non posso più andarci nemmeno io.” rispose Alice, triste e arrabbiata insieme, ricordando le parole pronunciate poco prima dalla donna mentre tornavano al castello.
“Quindi come fai?” chiese Cristal, stupita e delusa per l‘amica. Sapeva che Alice avrebbe sofferto moltissimo non potendo andare da James ora che si era svegliato.
“Posso scrivergli.” rispose Alice, sorridendo tristemente.
“Una lettera non è come stare con lui.” osservò Sebastian, giocherellando con la cravatta della sua divisa.
“Lo so, ma almeno gli faccio compagnia.” rispose Alice, risoluta.
I ragazzi andarono avanti a discutere per ore e senza che se ne rendessero conto passò la mezzanotte. Fu solo quando la donna grassa del dipinto minacciò di denunciarli alla professoressa McGranitt che si decisero ad andare a letto. Crollarono tutti nel giro di pochi minuti, fatta eccezione di Charleen e Lily.
“Che ti è preso prima?” chiese dolcemente Charleen, sedendosi sul letto di Lily. Non ci fu bisogno di troppe spiegazioni perché la ragazza capisse a cosa si stava riferendo l’amica.
“Non lo so..” rispose la rossa, malinconica, cercando di parlare piano per svegliare Alice e Cristal. Avevano avuto una dura giornata, avevano bisogno di riposare, ed in più era confusa dai sentimenti discordanti che sentiva di provare per James e non voleva che Alice sapesse.
“Sembravi quasi triste. Pensavo che James ti fosse indifferente.” continuò Charleen, decisa a fare luce sulla faccenda. Quando Alice aveva detto loro che James non si ricordava di Lily la ragazza era rimasta di sasso, delusa. Nonostante Lily avesse cercato di mascherare il più possibile i suoi sentimenti, nulla era sfuggito a Charleen. Dopotutto era la sua migliore amica e condividevano ogni cosa da quasi sei anni.
“Infatti è così. Solo, sono rimasta delusa dal fatto che si fosse scordato di me visto che diceva di amarmi più di ogni altra cosa..” sospirò Lily, triste.
“Forse lo hai deluso.” ipotizzò Charleen, giocherellando con una ciocca dei lunghi capelli ricci che le cadevano disordinati sulla schiena.
“Non mi importa di Potter.” esclamò Lily, cercando di sembrare decisa. Charleen non mancò di notare la tristezza e l’amarezza nascosta nella sua voce.
“Ne sei sicura?” chiese Charleen, dolcemente.
“Mi manca. Vorrei rivederlo, sentire ancora la sua voce e la sua risata capace di mettere allegria a tutti.” ammise Lily, con gli occhi pieni di lacrime.
“Doppiamo solo portare un po’ di pazienza, poi tornerà da noi.” cercò di confortarla l’amica.
“No, non tornerà. Il vero James Potter è caduto da una finestra dopo aver litigato con tutte le persone a cui teneva di più. Io ero tra queste e l‘ho ferito. Sono un mostro!” si sfogò Lily. 
La ragazza era delusa da se stessa. Come aveva potuto essere così dura con James? 
Lui stava solo cercando di prendere le sue difese con Piton, ma il suo maledetto orgoglio non era riuscito a sopportarlo.
“Sono sicura che andrà tutto a posto.” ripeté decisa Charleen.
“Come puoi dirlo?” chiese Lily, confusa dalla sicurezza della propria migliore amica.
“James è forte.” disse Charleen sorridendo in modo strano.
***
Erano passate circa tre settimana da quando James si era svegliato. I guaritori lo avevano trasferito in un altro reparto gestito da Emily, una donna arcigna e cattiva che faceva rispettare minuziosamente gli orari di visita e che aveva vietato categoricamente l’accesso a coloro che non fossero parenti stretti. Diceva che così facendo James sarebbe guarito presto e meglio. James non l’aveva presa per niente bene e si era arrabbiato moltissimo quando lo aveva scoperto. Dorea aveva provato a protestare, ma non era servito a nulla. L’unica persona che poteva entrare era lei, nemmeno ad Alice e Fanny era permesso. Anche Alice non l’aveva presa per niente bene, ma alla fine si era dovuta fare una ragione.
Con il passare dei giorni James stava sempre meglio, e ormai stava diventando difficile nascondergli le cose e trattenerlo a letto. La settimana precedente aveva ripreso a camminare e ormai aveva fatto amicizia con tutto il reparto. Parlare con altri pazienti lo faceva stare meglio e lo aiutava a distrarsi.
“Mamma, mi dici come mi sono fatto male?” chiese James per l’ennesima volta, rigirandosi nel letto come un‘anima in pena. Il braccio era ancora fasciato perché la ferita non la voleva smettere di sanguinare.
“Non posso tesoro.” rispose Dorea, proprio come faceva ogni volta, sperando che prima o poi il figlio si rassegnasse. Speranza vana con un testardo come James.
“Uffa, allora mi dici perché papà non viene mai a trovarmi? Ho un padre, vero? Chiese ancora James. A quelle parole Dorea sentì il cuore fermarsi e poi riprendere a battere più lentamente. Anche dopo molti mesi parlare di Charlus Potter e di come lo aveva perso per colpa di alcuni maghi oscuri faceva ancora molto male.
“È morto, tesoro.” rispose Dorea come faceva sempre, cercando di nascondere l’angoscia che gli procurava dire quelle parole. Avrebbe voluto raccontargli tutto, odiava avere dei segreti, specialmente con James ma non poteva fare diversamente. Sapere la verità non lo avrebbe aiutato, lo avrebbe solo fatto stare peggio.
“Come è morto?” insistette James, per niente disposto ad arrendersi al primo rifiuto.
“James, dovresti riposare invece di perderti domande inutili. Da bravo, dormi che devo fare una commissione.” disse Dorea, chiudendo il discorso e lasciando la stanza con gli occhi velati di lacrime per non farsi vedere piangere dal figlio.
James ormai aveva capito quei due argomenti erano vietati ma non aveva smesso di fare domande. Dopo tutto James era testardo e non si rassegnava facilmente.
Ogni giorno Alice gli mandava una lettera, a volte anche due. Leggere della vita della cugina lo faceva stare bene. Gli sembrava di leggere una storia, invece si trattava di quella che una volta era la sua vita. Se il braccio gli permetteva di scrivere, le rispondeva, cercando di ricambiare l’affetto che Alice lasciava trapelare nelle sue lettere. Anche Sirius, Remus e a volte Seba gli scrivevano, parlandogli del più e del meno. L’unico che non si era fatto vivo, né di persona né per lettera era stato suo zio Jack, il padre di Alice nonché fratello di sua madre Dorea. Non si ricordava molto di lui, solo qualche flash ed i racconti di Alice, ma ogni  volta che chiedeva di lui Dorea sospirava, e diceva che era al lavoro ma che presto sarebbe passato. James conosceva abbastanza di sua madre per sapere che stava mentendo, ma aveva preferito non fare altre domande. Si rendeva conto che per sua madre gli ultimi mesi non dovevano essere stati per nulla semplici e non voleva darle altri dispiaceri.
Alla fine della terza settimana di convalescenza da quando si era svegliato, Emily cominciò a parlare di dimissioni, con gran gioia del diretto interessato. James era eccitato all’idea di potersene andare dall’ospedale. Ormai stava bene ed essere costretto a letto cominciava ad irritarlo, senza parlare della noia che lo tormentava ad ogni ora. Dorea, dal canto suo, non era molto convinta, temeva che il figlio potesse avere ricadute e che la lunga degenza lo avesse reso troppo debole per tornare nel mondo reale. Un pomeriggio la guaritrice decise che era venuto il momento di convincere la madre di James a lasciare che lo dimettessero.
“Signora, suo figlio sta bene. Non ha senso che stia qui.” ripeté pazientemente Emily per l’ennesima volta in pochi minuti. Erano nella stanza di James, che osservava perplesso le due donne discutere tra loro ignorandolo deliberatamente. Sembrava che la decisione che avrebbero preso non lo riguardasse.
“È sicura che non rischia di stare male di nuovo?” chiese Dorea, ansiosa come solo una madre può essere. Non era mai stata una madre apprensiva, una di quelle che si preoccupano per tutto, ma da quando James era stato male non faceva che vedere possibili pericoli ovunque. Era terrorizzata all’idea che lasciandolo solo anche per pochi minuti si sarebbe certamente fatto male.
“Ne sono certa. Lo so di avere un brutto carattere e di essere insopportabile, ma il mio lavoro lo so fare. Si fidi, è pronto per tornare a casa.” rispose Emily, fissando la donna dritta negli occhi. Quelle parole così decise colpirono James.
“Ma la memoria non gli è tornata.” osservò Dorea, preoccupata.
“Per quello non possiamo fare niente.” disse Emily, tristemente, scuotendo la testa. In quelle settimane avevano provato molte cure ma non era servito a nulla. Dorea aveva passato interi pomeriggi ad aiutare James a ricordare qualcosa ma tutto quello che aveva ottenuto era stato fargli venire un tremendo mal di testa.  
“Cosa mi consiglia di fare?” chiese Dorea, fissando la donna negli occhi. Emily ci stette a pensare per qualche istante, cercando le parole giuste.
“Se posso dire la mia, non lo riporterei a casa. Lo mandi a scuola, tra i suoi amici..” consigliò alla fine la guaritrice. Dorea a quelle parole strabuzzò gli occhi, incredula.
James nel frattempo guardava le due donne discutere di lui come se non fosse presente, cercando inutilmente di prendere la parola per poter dire la sua.
“Ma Jamie è ancora troppo debole..” esclamò Dorea, preoccupata. In quelle settimane aveva pensato spesso al giorno in cui avrebbe finalmente riportato James a casa, e non vedeva l’ora che arrivasse. Non poteva sopportare l’idea di vederlo uscire dall’ospedale per riportarlo subito al castello. Forse il suo era egoismo, ma non voleva rimanere sola.
“Se dovesse stare male c’è l’infermeria, no? Stare al castello gli farà bene. Starà con sua cugina, con i suoi amici e vedrà luoghi familiari.” spiegò Emily pazientemente, cercando di convincere la donna a prendere la decisione migliore per il figlio.
“Potrebbe aiutarlo a ricordare secondo lei?” chiese Dorea, ansiosa. Prima che Emily potesse avere il tempo di rispondere James riuscì finalmente a prendere la parola, anticipando la madre di qualche istante.
“Di che parlate?” chiese James, riuscendo finalmente ad attirare l’attenzione delle due donne.
Dorea ed Emily si scambiarono un’occhiata prima che Dorea si decidesse a rispondere.
“Emily dice che molto presto sarai dimesso.” spiegò Dorea scompigliando i capelli del figlio.
“Davvero? Posso andarmene da qui?” chiese James, impaziente di lasciare quel posto.
“Jamie.. Sii gentile!” lo rimproverò la madre, tra il severo ed il divertito.
“Mi spiace, ma..” iniziò James, leggermente imbarazzato.
“Ti capisco se non ne puoi più di stare qui.” commentò Emily, sorridendogli per la prima volta da quando lo conosceva. La donna era conscia del fatto che l’ospedale cominciava a stare stretto a James, per questo insisteva così tanto perché Dorea lo lasciasse tornare ad Hogwarts. Per James forse all’inizio sarebbe stato un trauma, ma era la cosa migliore.
“Emily dice che secondo lei non dovresti tornare a casa ma andare a scuola..” spiegò Dorea, con una punta di preoccupazione nella voce.
“Al castello? Io.. Non ricordo niente, non conosco nessuno..” biascicò James, spaventato. L’ospedale era un posto noioso, ma sicuro. Conosceva tutti, non doveva fare nulla. Al castello sarebbe stato tutto diverso e sarebbe dovuto essere all’altezza delle aspettative di un sacco di persone di cui non ricordava assolutamente nulla, nemmeno il nome.
“C’è tua cugina, no?” disse dolcemente Emily, cercando di confortarlo ed infondergli un po’ di sicurezza.
“Si, ma..” provò a dire James, pallido. Dorea pareva in difficoltà. Cominciava a pensare che Emily avesse ragione, ma vedere James in crisi rendeva molto più difficile riuscire a prendere una decisione.
“Prima o poi dovrai tornare alla tua vecchia vita, e sarà un trauma lo stesso. Meglio prima, no? Pensi di essere abbastanza forte per sopportarlo ora?” continuò Emily, sempre con la stessa dolcezza nella voce.
“Non lo so, ma forse a casa sarebbe come stare in ospedale.” disse James, dopo averci pensato un po’ su.
“Che vuoi dire?” chiese Dorea, guardando ansiosa in figlio.
“Mi terresti a letto, ti prenderesti cura di me..” rispose James, fissando la madre negli occhi.
Gli occhi di Dorea erano pieni di preoccupazione, quelli di James di decisione ma anche di tanta dolcezza.
“Sei mio figlio, e stai male, è normale che io mi prenda cura di te.” borbottò Dorea, sulla difensiva. James in risposta le sorrise, e poi l’abbracciò.
“Quello che vuole dirti è che si sente pronto a tornare a vivere. Lascialo fare Dorea..” cercò di spiegare Emily.
“Si, ma..” inizio Dorea, subito interrotta dal figlio.
“Lo so, sei preoccupata.” disse James, cercando di fare forza alla madre nonostante fosse il primo ad essere spaventato da quella situazione. 
“È un ragazzo forte, ce la farà.” esclamò Emily, sicura.
“Va bene.” sospirò alla fine Dorea. James sorrise, e strinse ancora più forte a sé la madre.
“Saluta tua madre, poi vieni con me.” disse Emily, rivolta a James, lasciando i due da soli per i saluti. Dorea non disse nulla, si limitò ad abbracciare e accarezzare la testa del figlio, sforzandosi di non piangere. Doveva essere felice che James venisse finalmente dimesso e potesse tornare alla sua vita, al suo mondo, invece aveva un groppo in gola. Era preoccupata, soprattutto perché sapeva che per James non sarebbe stato facile. Nel giro di quattro mesi erano cambiate molte cose.
“Ciao mamma.” salutò James alla fine, decidendosi ad alzarsi. Con paio di colpi di bacchetta Dorea preparò le cose del figlio, poi aiutò James a vestirsi.
“Ti scriverò tutti i giorni e guai a te se non fai lo stesso!” disse Dorea, minacciosa e con gli occhi lucidi, mentre si salutavano sulla porta.
“Va bene, ma ricorda che il braccio mi fa male..” rispose James, divertito, cercando una scusa per avere un po‘ di pace.
“Ti voglio bene.” sussurrò Dorea, abbracciando forte James ancora una volta.
“Anche io mamma.” rispose James, con gli occhi lucidi prima di lasciare per sempre quella stanza d’ospedale che era diventata la sua prigione.
***
Ad Hogwarts la professoressa McGranitt stava tranquilla nel suo ufficio a correggere una grossa pila di compiti che aveva assegnato ai suoi alunni. Molte volte si era ritrovata a pentirsi di tutti quei compiti visto il tempo che poi ci metteva a correggerli e quella era certamente una di quelle volte. Il noioso pomeriggio della professoressa di Trasfigurazione fu però presto interrotto, in modo brusco. 
“Professoressa McGranitt, potrebbe venire nel mio ufficio immediatamente?” disse la voce del preside, comparso improvvisamente dal camino. 
“Certo professor Silente.” rispose la professoressa, accantonando immediatamente i compiti per affrettarsi a raggiungere il suo professore, chiedendosi cosa poteva essere successo di tanto importante da richiedere così urgentemente la sua presenza.
“Ah, porti con se la signorina Prewet e il signor Black o il signor Lupin.” mormorò Silente, prima di scomparire nel nulla. La donna notò che sul viso del preside era disegnato uno strano sorriso, quasi che il preside fosse di buon umore.
Nella Sala Comune dei Grifondoro nel frattempo si stava consumando il solito dramma, ormai quotidiano, tanto che nessuno ci faceva più caso. Sebastian stava facendo il solito discorso alla squadra, mentre gli altri ragazzi di Grifondoro parlavano tra loro vicino al camino, scuotendo di tanto in tanto la testa, rassegnati. 
“Allora ragazzi, avete capito tutti? Ci sono domande?” chiese Sebastian, impaziente, ad una platea di ascoltatori assonnati e svogliati. Si vedeva lontano un miglio che avrebbero volentieri fatto a meno di essere lì.
“Io ne ho una..” disse Sirius, alzando pigramente la mano per chiedere la parola.
“Dimmi pure Sirius.” rispose Sebastian, con fare disponibile.
“Ma ci hai preso per dei ritardati? È la quinta volta che spieghi la stessa tattica!” esclamò Sirius, scatenando le risate di tutti i presenti. Seba a quelle parole arrossì, sia per la rabbia che per la vergogna.
“Ha ragione, sei impossibile.” confermò Charleen, scuotendo la testa. 
“Charleen, fa poco la spiritosa. Ricordi che settimana scorsa abbiamo perso..” disse Sebastian, sbuffando. Per la prima volta da almeno cent’anni, come non facevano che ripetere tutti i Serpeverde, Grifondoro aveva perso con Tassorosso. La partita era stata un tale disastro che gli studenti di Grifondoro avevano lasciato il campo per tornare al castello prima della fine della partita. Alice era riuscita a prendere il boccino, ma non era servito a nulla. Era stato un vero e proprio massacro, un disastro su tutti i fronti.
“Come dimenticarlo, lo ripeti almeno sei volte al giorno!” esclamò Frank, stizzito. 
Per lui, portiere famoso per non avere quasi mai preso gol quella era stata una partita da dimenticare, una sconfitta colossale, e non sopportava che Seba non facesse che ricordarglielo ogni santo giorno. Il ragazzo cominciava a pensare che Sirius avesse ragione.
“Non ho voglia di discutere, vi aspetto tra un ora al campo. Puntuali.” concluse Sebastian, lasciando la Sala Comune. I ragazzi si scambiarono un’occhiata, rassegnati, poi sbuffarono.
Alice raggiunse Cristal, Lily e Remus, lasciando il resto della squadra a confabulare tra loro alle spalle del loro capitano-dittatore.
“Andiamo in biblioteca.” annunciò Cristal, sorridendo alla sua migliore amica.
“Allenamento..” comunicò Alice, tetra, in risposta.
“Ancora, ma è impossibile!” sbottò Lily, stupita. Ultimamente sembrava che Sebastian non facesse altro che programmare nuovi allenamenti, specie dopo l‘ultima, disastrosa partita. La sconfitta contro i Tassorosso doveva bruciargli veramente tanto.
“Remus, mi presti il tuo libro di incantesimi?” chiese Alice, ricordandosi improvvisamente di essersi dimenticata di copiare gli appunti della lezione precedente perché troppo impegnata a scrivere a James.
“Si, è di sopra. Vado a prenderlo.” rispose Remus, gentile come al solito.
“Alice, io comincio andare. Ci vediamo la?” chiese Charleen, lasciando la Sala insieme al resto della squadra, terrorizzata all‘idea di arrivare tardi e subirsi l‘ennesima sfuriata di Seba.
“Si, va bene..” rispose Alice distrattamente. Avrebbe aspettato che Remus gli portasse il libro, poi avrebbe raggiunto gli altri al campo e avrebbe dimostrato a Seba che la squadra non era poi così terribile come pensava lui e che con un po’ di impegno potevano ancora sistemare le cose e tornare ad essere i campioni della scuola.
“Noi invece andiamo in biblioteca. A dopo Remus.” disse Cristal, seguita da Lily.
“Arrivo subito.” rispose Remus, dirigendosi verso le scale che conducevano alla stanza dei ragazzi nel dormitorio maschile.
Le due ragazze avevano appena lasciato la Sala Comune dei Grifondoro quando furono praticamente braccate dalla professoressa McGranitt, a pochi passi dal ritratto della signora grassa. La donna sembrava era trafelata e rossa in viso, quasi avesse corso.
“Ragazze, dove sono Prewet, Black e Lupin?” chiese la donna, ansiosa. Le due ragazze si scambiarono un’occhiata, perplesse da quella strana richiesta.
“Black è al campo, Alice e Remus sono nella sala comune.” rispose Lily, confusa e preoccupata dallo strano modo di fare della professoressa.
“Grazie ragazze, potete andare.” rispose la McGranitt, scomparendo tanto velocemente quanto era comparsa. Lily e Cristal si guardarono nuovamente, stupite, poi alzarono le spalle e ripresero a camminare, chiedendosi che fosse preso alla donna.
Nel frattempo la McGranitt in pochi minuti aveva raggiunto la Sala Comune, era entrata e aveva preso a guardarsi intorno frenetica alla ricerca dei due ragazzi.
“Alice, Remus..” chiamò la McGranitt, ansiosa, scorgendoli dalla parte opposta della stanza.
“Professoressa McGranitt.” rispose Remus, stupito, scendendo con calma le scale e dirigendosi verso la donna.
“Potete venire con me?” chiese la professoressa con un tono molto severo che non ammetteva una risposta negativa.
“Veramente Sebastian mi aspetta al campo..” iniziò Alice, tormentata. Da una parte aveva paura della reazione di Sebastian se avesse saltato un altro allenamento ma dall’altra parte aveva molta più paura della possibile reazione della professoressa McGranitt. In entrambi i casi qualcuno si sarebbe arrabbiato, e parecchio anche. Restava solo da capire chi dei due fosse il più pericoloso, anche se appariva abbastanza chiaro che fosse la donna.
“La squadra può aspettare, venite, il preside vi aspetta.” rispose la professoressa, secca.
I due ragazzi seguirono la donna per i corridoi del castello, senza azzardarsi a fare domande o proferire parola fino a che arrivarono davanti all’ufficio di Silente. La professoressa McGranitt bussò, aspetto che Silente le rispondesse ed entrò sicura nell‘ufficio del preside.
“Silente, i due ragazzi sono qui.” annunciò la McGranitt, indicando con un gesto della mano Remus ed Alice, entrambi intimiditi dalla vicinanza con il vecchio preside. 
“Benissimo, arrivo. Puoi iniziare a spiegare loro tutto quanto?” rispose Silente, parlando dall’altra parte dell’ufficio mentre armeggiava con degli aggeggi strani. 
“Certo signore.” rispose la McGranitt, schiarendosi la voce.
“Che sta succedendo professoressa?” chiese Remus, timidamente.
“Il professor Silente vorrebbe affidarvi un incarico di grande responsabilità.” rispose la McGranitt, solenne. Se anche Remus rimase sorpreso da quelle parole, cercò di non darlo a vedere in alcun modo.
“Che genere di incarico?” chiese Alice, curiosa e allo stesso tempo inquieta. Aveva la sensazione che stesse per succedere qualcosa.
“Come di sicuro saprete, James Potter è uscito dal coma qualche settimana fa.” iniziò la professoressa McGranitt con lo stesso tono asciutto che usava per spiegare loro una nuova magia che avrebbe permesso loro di trasfigurare i propri corpi in tentacoli velenosi.
“Certo che lo sappiamo!” rispose Alice, decisa e impaziente.
“Saprete anche che si sta riprendendo piuttosto bene.” continuò la McGranitt, ignorando l‘impazienza della ragazza. 
“Mia mamma mi ha detto che i guaritori pensavano di dimetterlo settimana prossima..” disse Alice, preoccupata che fosse successo qualcosa a suo cugino.
“È stato dimesso oggi.” disse la professoressa di Trasfigurazione, sicura. Remus strabuzzò gli occhi, stupito. Non si aspettava una notizia del genere, anche se doveva ammettere che era felice per il suo amico, sicuro che James non ne potesse più di stare in ospedale.
“Oggi? Non ne sapevo niente.” esclamò Alice, stupita da quella notizia. Sua zia aveva detto che lo avrebbero dimesso presto, ma non si aspettava così presto.
“È stato deciso poco fa. La madre di James insieme ai guaritori ha deciso anche che la cosa migliore per lui non sia tornare a casa ma qui al castello. Rivedere gli amici e i luoghi in cui ha passato gli ultimi anni della sua vita potrà fargli solo bene.” raccontò velocemente la McGranitt, fermandosi qualche secondo ad osservare le reazioni dei due ragazzi. 
“Aspetti, sta dicendo che James tornerà al castello?” chiese Remus, stupido. Il ragazzo era rimasto letteralmente a bocca aperta, indeciso se credere o meno a quelle parole. Non gli pareva vero che di lì a poco avrebbe riabbracciato il suo amico. Alice rimase in silenzio, troppo agitata per dire qualsiasi cosa.
“No, sta dicendo che è già qui. Avanti ragazzo, non essere timido.” disse il professor Silente introducendosi nel discorso con la sua solita calma. Con un gesto teatrale il vecchio preside fece cenno a James di avvicinarsi scrutandolo attentamente con i suoi penetranti occhi azzurro cielo, nascosti come al solito dietro le lenti a mezzaluna.
“Silente, James.. Prego accomodatevi.” mormorò la McGranitt, indicando due poltrone, una per il preside e per James.
“James..” esclamò Alice, felice di vedere il cugino a due passi. Remus era stupito e allo stesso tempo felice. Il primo istinto di entrambi fu quello di saltare in braccio al ragazzo, ma qualcosa li bloccò. James sembrava a disagio, spaventato.
“Salve..” salutò James leggermente imbarazzato, evitando con cura lo sguardo di tutti i presenti, cugina compresa.
“Ho parlato un po’ con James. È in forma ma è ancora molto debole e il suo braccio necessita di continue cure. Inoltre penso che avrà bisogno di qualche amico per inserirsi di nuovo qui a scuola. Potete pensarci voi?” chiese Silente, fissando alternativamente Remus e Alice, sicuro che avrebbero accettato l‘incarico di buon grado.
“Certo, ci dica quello che dobbiamo fare.” rispose Alice, sicura, stringendo forte la mano del cugino per fargli coraggio. Era pronta a fare tutto quello che era in suo potere per aiutare James. Anche Remus era felice di potere finalmente rendersi utile, stanco di aspettare restando a guardare.
“Dovete solo stargli vicino, mostrargli la scuola ed assicurarvi che stia bene.” spiegò Silente, cercando di fare comprendere ai ragazzi lo stato d‘animo di James. Il ragazzo, da parte sua, sembrava a disagio, pallido e molto più spaventato del solito.
“Può pensarci Alice, no?” chiese James, fissando Remus. Era spaventato all‘idea di avere a che fare con qualcuno di cui non aveva nessun ricordo e allo stesso tempo non voleva essere un peso e gravare su Remus. Il licantropo fissò per un po’ James, dolcemente, dispiaciuto che il ragazzo non si fidasse di lui o quanto meno che non volesse il suo aiuto.
“Certamente, tuttavia penso che sia appropriato che Remus le dia una mano. Remus è tuo compagno di stanza.” spiegò con dolcezza Silente.
“Oh si..” sospirò James, abbassando lo sguardo. Alice non disse nulla ma Remus si rese conto che James lo stava allontanando solo perché era spaventato. In pochi istanti decise che qualsiasi cosa sarebbe successa o avesse detto James, non lo avrebbe lasciato solo.
“Se non avete altre domande potete andare.” comunicò secca la McGranitt, impaziente di tornare a finire di correggere la pila di compiti che era rimasta sulla sua scrivania. 
“Le lezioni?” chiese James, timidamente, guardando con aria interrogativa prima il preside, poi la professoressa ed infine la cugina e l‘amico. 
“La professoressa McGranitt ti porterà l’orario e farà in modo di farti recuperare le lezioni che hai perso.” rispose Silente, comprensivo.
“Posso dargli i miei appunti.” si intromise Remus, appoggiando una mano sulla spalla dell‘altro ragazzo. James sussultò appena a quel contatto, ma non si ritrasse.
“Grazie..” sussurrò James, guardando per la prima volta negli occhi il suo amico.
I tre tornarono nella loro sala comune, senza parlare. Remus aveva sognato da settimane il momento del ritorno al castello di James, ma lo aveva immaginato in maniera completamente diversa. Nella sua testa il James appena tornato era iperattivo, non stava fermo né tanto meno zitto. L’esatto opposto del ragazzo apatico e spaventato che camminava insicuro al suo fianco, terrorizzato dagli sguardi altrui fissi su di lui.
Qualche ora più tardi Frank vagava solitario per i corridoi, ancora con addossa la divisa della squadra, diretto in biblioteca alla ricerca della sua ragazza, Alice, che sembrava essersi dissolta nel nulla, con gran scorno del capitano che l’attendeva da ore al campo.
“Hai visto?” disse un ragazzino del primo anno al suo amico, con voce complice, attirando l‘attenzione di Frank che gli camminava quasi di fianco.
“Si, è incredibile!” rispose l’altro, eccitato. 
Frank stava per chiedere qualcosa ai due ragazzi, ma vide Cristal e Lily sedute ad un tavolo poco lontano da lui e decise di raggiungerle. Trovare Alice era la sua priorità.
“Ma che hanno tutti quanti?” chiese Frank, stupito, guardando la strana coppia di ragazzini allontanarsi continuando a parlare a bassa voce tra loro.
“Non so, è un paio d’ore che fanno così.” rispose Cristal, alzando le spalle e tornando a dedicarsi al grosso libro di storia della magia che teneva aperto davanti a sé.
“Alice è con voi?” chiese ancora Frank, guardandosi intorno alla ricerca della sua ragazza.
“No, non doveva essere all’allenamento?” domandò Lily, intromettendosi nel discorso. Frank alzò le spalle e scosse la testa, pensieroso.
“Non si è presentata e Seba sta dando i numeri. Sono venuto a cercarla proprio per questo, voi non sapete nulla?” spiegò Frank, leggermente preoccupato.
“Non è qui. Adesso che mi ci fai pensare è sparito anche Remus.” disse Cristal, dopo averci pensato un po’ su. I due ragazzi dovevano raggiungere gli amici al campo e in biblioteca ed invece sembravano spariti. Lily di colpo ricordò che poche ore prima anche la professoressa McGranitt li stava cercando per qualche strano motivo che loro non conoscevano.
“Ma è proprio lui?” chiese una ragazza bionda del terzo anno ad un’amica più grande che doveva essere del quarto o del quinto anno.
“Ti dico di si!” rispose quella, decisa. 
Frank, ancora una volta di domandò cosa fosse preso a tutti quanti, ma Cristal lo anticipò.
“Di che parlano?” chiese Cristal, stupita, guardando Lily con aria interrogativa. La ragazza in risposta si limitò ad alzare le spalle.
“Andate a fare rumore da un’altra parte.” esclamò decisa Lily, infastidita da tutto quel rumore.
“Vado a vedere in sala comune.” concluse Frank, salutando velocemente con un gesto della mano le due ragazze. Frank lasciò la biblioteca e si diresse nella Sala Comune. Lungo la strada notò che c’erano ovunque tracce di quello strano e misterioso vociare che aveva sentito anche in biblioteca poco prima. 
Una volta arrivato nel dormitorio di Grifondoro si guardò intorno alla ricerca della sua ragazza o almeno di qualcuno che potesse aiutarlo a trovarla. La sala comune era stranamente deserta, sembrava che tutta la scuola fosse impegnata in qualcosa che a Frank sfuggeva. Il portiere perlustrò la stanza, poi notò un suo compagno di stanza che stava scherzando con una coppia di ragazze più piccole.
“Simon, hai visto Alice?” chiese Frank, leggermente preoccupato ad un ragazzo moro con dei profondi occhi nocciola che gli ricordavano molto quelli di James.
“No, ma prova di sopra nella stanza dei malandrini.” rispose il ragazzo, senza prestare troppa attenzione all‘amico, impegnato come era a corteggiare la più piccola delle ragazze, una biondina che sembrava simpatica ed intraprendente.
“È di sopra?” chiese Frank, stranito da quella frase. Cosa poteva farci la sua ragazza nella stanza dei malandrini con Remus? Un fitta di gelosia si insinuò nel suo petto.
“Si, l’ho visto prima..” disse ancora Simon, prima di lasciare la Sala Comune accompagnato dalle sue due nuove amiche. Frank decise di non fare altre domande e di andare a vedere. Mentre saliva le scale sentì ancora una volta brandelli di una strana conversazione, questa volta si trattava di una coppia di fidanzatini.
“Ma secondo voi scende per cena?” chiedeva una ragazza del quarto anno al suo ragazzo.
“In questo castello oggi tutti stanno dando i numeri..” commentò Frank, scuotendo la testa rassegnato a non capire cosa stava succedendo.
Una volta arrivato alla stanza dei malandrini bussò ed entrò senza aspettare una risposta, come faceva sempre. La prima persona che notò fu Remus, davanti alla porta del bagno.
“Ciao Frank..” salutò Remus, sorridente come non lo vedeva da un po‘ di tempo.
“Hai visto Alice?” chiese Frank apprensivo, sperando finalmente in una risposta affermativa.
“Si, è qui.” rispose Remus, indicando il letto che stava di fronte a loro. Senza pensarci nemmeno per un secondo Frank si voltò di scatto.
“Amore, mi spieghi che ci fai sola in una stanza con.. James?” disse Frank, notando solo alla fine la presenza del ragazzo, seduto sul letto. Al portiere mancò poco che venisse un colpo. Improvvisamente tutte le strane conversazioni che aveva sentito acquistavano senso.
“Oh mio dio! James, sei tornato!” esclamò Frank, stupito quasi avesse visto un fantasma. 
Sul volto del ragazzo di disegnò un fantastico sorriso mentre James, impacciato e a disagio, non sapeva bene cosa fare. Frank istintivamente si avvicinò all’amico per salutarlo con la loro solita stretta di mano, ma la voce di Alice lo bloccò.
“Frank, fa piano.. È sconvolto.” lo riprese Alice. James si ritrasse, spaventato. Frank non faceva altro che passare lo sguardo da James ad Alice, per poi tornare su James e finire su Remus, in attesa che uno dei tre si decidesse a spiegare qualcosa. Guardando meglio si era accorto che quello che vedeva di fronte a lui sembrava James, ma non era lui. Il ragazzo pallido e spaventato che sedeva sul letto al fianco di Alice poteva anche assomigliare al suo amico, ma sul suo viso non vi era traccia del sorriso contagioso, ne si sentiva la sua voce sempre pronta a scherzare e a non prendersi sul serio. Era l’ombra di se stesso.
“Vieni, andiamo a fare due passi.” disse dopo un po’ Alice, facendo segno a Remus di prendere il suo posto vicino a James. Il ragazzo si sedette vicino all’amico e cominciò a fare domande a cui James non sembrava volere o forse non potere rispondere, troppo intento a fissare la parete. Remus tuttavia non si arrendeva e continuava imperterrito a parlare con James, convinto che prima o poi avrebbe abbattuto quelle barriere che il ragazzo si era creato intorno per allontanare tutto il mondo.
“Non sta bene?” chiese Frank, non appena i due ragazzi furono fuori dalla stanza, lontani dalla orecchie di James. Alice sospirò, rassegnata alla situazione e annuì piano.
“Gli fa male la testa ed il braccio ma il problema è che è sconvolto.” rispose Alice, pensierosa e preoccupata, tenendo lo sguardo fisso sul cugino che non si era mosso dal letto su cui era seduto. Lei e Remus avevano provato di tutto per scuoterlo da quello stato ma non c’erano riusciti. Non solo James non sembrava lo stesso ragazzo che era prima dell’incidente, non sembrava nemmeno la stessa persona che Alice aveva incontrato qualche settimana prima all’ospedale e che rispondeva alle sue lettere. Si era come chiuso in se stesso, non permettendo a nessuno di interagire con lui.
“Perché?” chiese ancora Frank, perplesso. Alice scosse la testa, sul punto di scoppiare a piangere da un momento all’altro.
“Tutta la scuola lo indica, parla di lui. È confuso, non ricorda niente e di certo tutta questa confusione non lo aiuta. Sta impazzendo, vuole tornare in ospedale..” spiegò Alice, triste. Finalmente James era tornato, tutto sarebbe potuto tornare come prima ma i problemi non erano ancora finiti. Per di più lei non riusciva ad essergli d’aiuto, nonostante ci provasse con tutta se stessa. Non quanto voleva almeno. 
Frank ricordò ancora una volta tutti i brandelli di discorsi che aveva sentito mentre andava in biblioteca e persino mentre saliva le scale per andare nella stanza dei malandrini. Tutti quanti stavano parlando di James, e come lui aveva sentito doveva avere sentito anche James. Nonostante stesse male e fosse sconvolto James non era certo uno stupido. Frank sentì la rabbia montargli in petto per la scarsa, per non dire nulla, sensibilità che quel branco di caproni stava dimostrando verso il suo amico.
“Povero, mi dispiace. Possiamo fare qualcosa per lui?” disse Frank, preoccupato. 
“Solo lasciarlo in pace e restargli vicino.” sussurrò Alice, stringendo forte a sé Frank. 
Frank annuì, poi i due tornarono nella stanza dei malandrini e rimasero lì insieme a James fino all’ora di cena. Il ragazzo non aveva aperto bocca, ne aveva smesso di tremare. Sembrava un pesce fuori dall’acqua e nulla di quello che i ragazzi avevano fatto o detto era riuscito a farlo sentire a proprio agio, tranne forse quando Alice lo aveva abbracciato. Per qualche istante ad Alice era parso che James fosse riuscito a rilassarsi almeno un pochino.
“Venite a mangiare?” chiese Frank ad un certo punto, guardando gli amici. Alice e Remus si scambiarono un’occhiata interrogativa, chiedendosi se James fosse o meno dell’idea di scendere a cena ed incontrare tutta quella gente.
“Convinciamo James a scendere poi arriviamo. Tienici tre posti.” rispose Remus, sorridendo.
“Va bene, avviso gli altri di lasciare in pace James.” disse Frank, lasciando la stanza cercando di fare meno rumore possibile. 
Il resto della combriccola era già sceso a cena da un po’, e non aveva mancato di notare le assenze dei ragazzi. Sebastian era a dir poco furibondo per l’ennesima assenza di Alice dagli allenamenti, ingiustificata questa volta, e meditava vendetta. Per di più con la scusa di andarla a cercare era sparito anche Frank, abbandonandolo in balia delle critiche della squadra. Cristal, Lily, Sirius, Peter e Charleen, dal canto loro, erano solo curiosi di sapere che fine avessero fatto Remus ed Alice dopo che la professoressa McGranitt aveva chiesto di loro e perché erano scomparsi così all‘improvviso.
“Che gli prende a tutti quanti?” chiese Sirius di colpo, guardandosi intorno stranito da tutti quei bisbigli a mezza voce. Erano ore, da quando era tornato dagli allenamenti, che non faceva che sentire gli studenti bisbigliare frasi strane, quasi insensate.
“Non lo so e non mi interessa. Io voglio sapere cosa è preso ad Alice, perché è sparita e che fine ha fatto Frank.” rispose Sebastian, offeso dal poco peso che tutti quanti davano alla squadra ed ai suoi sentimenti.
“Come sei noioso. Te l’ho detto che la cercava la professoressa McGranitt.” esclamò Cristal, infastidita dalle lamentele di Sebastian.
“L’avrà trattenuta lei.” ipotizzò Lily, preoccupata. Non era mai un buon segno quando quella donna cercava qualcuno.
“La McGranitt?” chiese Sirius, stupito. Era strano che quella donna cercasse Remus e non lui. Del gruppo dei malandrini quelli che si cacciavano sempre nei guai non era certo Remus e Peter, semmai lui e James.
“Cercava anche te.” confermò Lily, lasciando Sirius di sasso.
“Cosa voleva?” chiese ancora Sirius, sempre più preoccupato. Non era mai un buon segno che quella donna lo cercasse. 
“Non lo so, ha solo detto che cercava te, Alice e Remus.” spiegò Lily, alzando le spalle.
“Ecco Frank.” disse Charleen, notando il portiere fare il suo ingresso e avvicinarsi a loro con la solita calma. Se c’era una cosa che Charleen aveva imparato del suo amico Frank era che lui non era mai di corsa, tranne nelle situazioni di vera emergenza. 
“Ciao traditore.” salutò Sebastian, fingendosi più offeso di quanto in realtà fosse, lasciando che il ragazzo si sedesse di fianco a lui. Frank sorrise e diede la solita pacca sulla schiena a Sebastian, salutando con un gesto della mano tutti i presenti.
“Hai visto?” bisbigliò un ragazzo del tavolo vicino, tirando una gomitata all’amico e indicando Frank. Gli altri ragazzi, attirati da quelle parole gli si avvicinarono e cominciarono a discutere animatamente a bassa voce.
“Si, dici che scende anche lui?” domandò un altro, curioso.
“Per forza, deve mangiare No..” disse una ragazzina poco lontana, alzandosi in piedi per vedere meglio il gruppo di ragazzi di Grifondoro.
“Sebastian non ti ci mettere anche tu.” rispose Frank in malo modo, infastidito da tutta quella gente che si faceva gli affari di James e lo faceva stare male.
“Che ti prende?” chiese Cristal, stupita. Non era da Frank reagire a quel modo ad una battuta di Sebastian. Di solito era lui il più paziente del gruppo a cui toccava calmare Sirius quando Remus non c’era oppure aveva da fare.
“SONO STUFO!” urlò improvvisamente Frank, battendo forte i pugni sul tavolo. Nella sala si creò un silenzio irreale, nessuno fiatava e tutti guardavano Frank, vagamente impauriti.
“Frank, calmati.” cercò di dire Sebastian, dimenticando di colpo la squadra e tutti i problemi che gli giravano in testa fino a qualche istante prima. Il suo amico Frank aveva un problema, quella la cosa più importante. Il resto poteva aspettare.
“NO, NON MI CALMO. DOVETE SMETTERLA TUTTI QUANTI. DANNAZIONE, NON VI FATE SCHIFO DA SOLI? STATE PARLANDO DI UNA PERSONA CHE STA MALE! PENSATE DI AIUTARLO FACENDO COSì?” continuò ad urlare Frank. Nessuno in sala aveva la forza o il coraggio di replicare. Tutto il castello guardava Frank, ammutolito di colpo, mentre i ragazzi intorno a lui non capivano che cose stesse succedendo e a cosa di stesse riferendo il loro amico con quelle parole.
“Frank, dacci un taglio.” esclamò deciso Sirius, prendendo Frank per un braccio e obbligandolo a sedersi con la forza.
“Oh mio dio!” disse Charleen, sconvolta, portandosi una mano al viso.
“Charleen, cosa hai visto?” chiese Lily, preoccupata, voltandosi di scatto verso l‘amica.
“James!” balbettò Charleen, indicando la porta della Sala Grande sulla quale c’erano Alice, James e Remus. Tutti si voltarono, seguendo con gli occhi il dito di Charleen e tutti rimasero sconvolti per qualche istante. James Potter era lì. Il loro amico era finalmente tornato.
Sirius era estasiato, al settimo cielo, ma la sua felicità durò fino a che non incrociò lo sguardo sconfitto ed impaurito di James. Era chiaro che qualcosa non andava.
“JAMES POTTER! È appena entrato!” urlò qualcuno dal tavolo di Tassorosso. Tutti gli studenti del castello, i fantasmi e buona parte dei professori si girarono di scatto verso la porta d’ingresso della Sala Grande.
“MI AVETE SENTITO? FATELA FINITA OPPURE VI GIURO CHE VI SPEDISCO IN INFERMERIA A FARVI PASSARE LA VOGLIA DI PARLARE DEGLI ALTRI!” urlò Frank, divincolandosi dalla presa di Sirius e di Sebastian, troppo sconvolti per riuscire a fare o dire qualsiasi cosa.
“Pensi di aiutare James in questo modo?” chiese Alice, fulminando il proprio ragazzo con lo sguardo. Tutte quelle urla avevano spaventato ancora di più James.
“Scusami James.” disse Frank abbassando lo sguardo, imbarazzato. James non disse nulla, si limitò a sedere dove gli aveva indicato la cugina, come un automa.
Per tutto il tempo della cena James restò quasi immobile, la testa china a guardare il pavimento. Di tanto in tanto Alice e Remus provavano a fargli mangiare a fatica qualcosa o fargli delle domande ma lui non rispondeva se non a monosillabi. Tutti erano felici di riaverlo al castello ma allo stesso tempo sconvolti di vederlo così. Quando quel supplizio chiamato cena finì, tutti tirarono un sospiro di sollievo. Sirius stava male, si sentiva un idiota per non essere riuscito ad aiutare il suo migliore amico. Erano mesi che sognava di riaverlo al castello e poi nel momento in cui era finalmente tornato non era riuscito a fare di meglio che restare zitto e impalato mentre James tremava spaventato come un cucciolo indifeso.
“Era strano..” esclamò Charleen, sedendosi di fronte al camino, una volta tornati nella sala comune. Remus aveva accompagnato James si sopra mentre gli altri erano rimasti tutti giù a parlare, troppo sconvolti per andare direttamente a dormire.
“Di che ti stupisci? Non è semplice tornare qui. Non ricorda nulla, è confuso e quegli idioti lo hanno fatto stare peggio.” spiegò Alice, ancora arrabbiata per quello che era successo nella Sala Grande durante la cena.
“Sono un cretino. Scusami Alice, non sapevo.” si scusò Frank, mortificato. 
Alice si voltò piano verso il proprio ragazzo e gli sorrise. Non poteva restare a lungo arrabbiata con Frank, dopo tutto lui aveva agito a fin di bene per aiutare James.
“La McGranitt vi ha chiamati per questo?” chiese Lily, pensierosa, i profondi occhi verdi sgranati per la sorpresa di rivedere James dopo così tanto tempo.
“Si, voleva che io e Remus gli stessimo vicini e lo aiutassimo.” rispose Alice, raccontando agli amici quello che avevano detto loro la professoressa McGranitt ed il preside.
“ALICE!” chiamò Remus dal piano di sopra, interrompendo i discorsi dei ragazzi.
“Sta parlando..” rispose Sebastian al posto della ragazza.
“Alice, vieni subito!” ripeté Remus, spaventato, senza prestare la minima attenzione alle parole di Sebastian.
“Che è successo?” chiese Alice, preoccupata dal tono che aveva usato l’amico. Non era da Remus farsi prendere dal panico. In pochi istanti tutti si era precipitati si sopra, appena fuori dalla stanza dei malandrini.
“James si è chiuso in bagno. Non vuole aprire e non mi risponde.” rispose Remus, sulla soglia delle loro stanza. 
“Dannazione.” imprecò Sirius, lasciandosi cadere seduto con la schiena appoggiata al muro. 
“Jamie, apri questa porta.” disse Alice, supplicante, battendo con forza i pugni sulla porta chiusa del bagno dei ragazzi.
“Va bene, facciamo così lascia la porta chiusa e parlami oppure fammi entrare. Solo io, promesso.” supplicò ancora Alice, sperando che James le desse ascolto. Gli altri la guardavano, senza dire nulla, confidando che tutto finisse bene e che James non fosse talmente sconvolto da fare pazzie.
“Che succede?” chiese Peter, appena sbucato dalla Sala Grande, cadendo dalle nuvole.
“James si è chiuso in bagno.” spiegò Frank, preoccupato e infastidito. Possibile che Peter non si fosse accorto assolutamente di nulla?
“Che c’è di male scusa?” chiese ancora Peter, senza capire dove fosse il problema. James gli era parso un po’ strano, ma proprio non capiva perché tutti fossero così preoccupati. Prima o poi si sarebbe ripreso e sarebbe tornato a sorridere, non c‘era bisogno che loro facessero per forza qualcosa.
“Potrebbe fare qualche sciocchezza, è sconvolto.” esclamò Cristal, indignata.
“Andiamo a prendere qualcosa da bere, lasciamo fare ad Alice.” suggerì Sebastian, cercando di calmare le acque. Inoltre, forse se James non avesse sentito tutta quella gente fuori dalla porta sarebbe uscito da solo.
“Qualcosa di forte per me.” disse Sirius, senza staccare gli occhi dalla porta chiusa.
“Non vieni con noi?” chiese Charleen, stupita.
“Non lascio James.” disse deciso Sirius, chiudendosi in un mutismo ostinato.
“Sirius, sta tranquillo. Andrà bene.” disse Remus, appoggiando una mano sulla spalla dell’amico per cercare di fargli coraggio.
“No, Remus. Non va proprio bene niente.” rispose Sirius, preoccupato e spaventato.
Mentre i ragazzi parlarono la porta si aprì quel tanto che bastava perché Alice scivolasse all’interno. Alla ragazza non parve vero e decise di non farsi scappare quell’occasione.
“Ehi, che ti prende?” chiese Alice, avvicinandosi a James. Il ragazzo era seduto a terra, rintanato contro la parete della doccia e tremava ancora più di qualche ora prima. Alice si sedette di fianco a lui e prese ad accarezzargli dolcemente il viso. 
“Non so..” rispose James, sconvolto ed impaurito, senza sottrarsi a quel contatto.
“Sei stanco?” chiese ancora la cugina, senza interrompere quel contatto. La pelle di James era bollente, scottava. La ragazza ipotizzò che avesse la febbre.
“Un po’.” disse James, alzando le spalle.
“È normale.. In ospedale eri sempre a letto, oggi hai fatto più sforzi.” sussurrò Alice, cercando di avvicinarsi di più a James per istaurare un contatto ancora più fisico con lui. Conosceva bene il cugino, e sapeva che abbracciandolo lo avrebbe di sicuro calmato. Funzionava sempre, fin da quando erano piccoli e James era triste per qualche motivo. 
Con un passo deciso gli prese dolcemente le spalle e lasciò che il ragazzo si accoccolasse sulle sua gambe.
“Non è solo quello..” mormorò James, chiudendo gli occhi.
“Questa fasciatura è da cambiare.” notò Alice, accarezzando dolcemente il braccio fasciato che James portava appeso al collo.
“Si, fa male..” rispose James, ritraendo il braccio per il dolore.
“Io però non sono capace. Posso chiedere a Remus, oppure andiamo in infermeria.” spiegò Alice, paziente, quasi stesse spiegando un concetto incredibilmente difficile ad un bambino testardo che non voleva saperne di ascoltarla.
“Non voglio vedere altra gente.” esclamò deciso James, ritraendosi un poco.
“Nemmeno Remus?” chiese Alice, sorridendo. 
“Lui si.” disse James dopo averci pensato su per qualche istante. Remus gli trasmetteva fiducia. Era sicuro che non gli avrebbe fatto del male. Lo aveva capito da come lo aveva guardato nell’ufficio del preside e poi da come gli era stato vicino per tutto il pomeriggio in quel modo così gentile e discreto. 
“Va bene, lo facciamo entrare o vai da lui?” chiese ancora Alice, cercando di evitare di fare agitare nuovamente James.
“Voglio stare qui.” rispose deciso James, fissando la cugina dritta negli occhi.
“Va bene, torno subito.” disse Alice, stampandogli un bacio sulla guancia e uscendo dal bagno accostando la porta alle sua spalle.
“Allora?” chiese Sirius, scattando in piedi non appena la ragazza comparve.
“È sconvolto. La ferita al braccio sanguina.” spiegò Alice, preoccupata, passando lo sguardo alternativamente da Sirius a Remus.
“Lo portiamo in infermeria?” propose Remus, pratico.
“No, non vuole vedere nessuno. Vuole che ci pensi tu, pensi di farcela?” chiese Alice, sperando in una risposta affermativa.
“Si, se per lui non ci sono problemi.” rispose Remus, annuendo. 
L’ultima cosa che voleva era fare qualcosa che ferisse James o lo facesse stare ancora più male di quanto non stesse di già. Alice sorrise e strinse a sé il licantropo.
“Cerco le bende, le pozioni e l’unguento..” disse Remus, voltandosi verso il proprio baule nel quale teneva lo stretto indispensabile per sopravvivere alla luna piena. La ragazza annuì. 
“Sirius, che fai?” chiese improvvisamente Alice, sconvolta. Mentre i due ragazzi parlavano Sirius era entrato nel bagno, e si era chiuso la porta alle sue spalle. James sussultò vedendo qualcuno entrare in quello che era diventata la sua campana di vetro.
“Ciao James. Posso avvicinarmi? Ti fidi?” chiese Sirius, cercando non avvicinarsi troppo bruscamente a James per non agitarlo. Il ragazzo era ancora appoggiato sulla parete opposta e si teneva il braccio ferito e sanguinante con la mano sana. La fasciatura, ormai sfatta e inutilizzabile, era sciolta sul pavimento ed il sangue gli aveva imbrattato la camicia.
“Credo di si..” balbettò James, insicuro. Sirius a quelle parole acquistò un po’ di sicurezza e si avvicinò al proprio migliore amico, guardandogli il braccio ferito.
“Tu non ti ricordi di me, lo so, ma io ti voglio un gran bene.. Parliamo un po’, vuoi?” mormorò Sirius, dolcemente, sedendosi di fianco a lui. James lo lasciò fare, dopo un po’ appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Voglio andarmene..” esclamò James, sul punto di mettersi a piangere.
“Beh, lo credo bene.. Siamo in un bagno!” cercò di sdrammatizzare Sirius, aiutando James ad allontanarsi dal muro e lasciando che il ragazzo si appoggiasse a lui. James sulle prime sembrò diffidente, poi prese sicurezza e lasciò fare Sirius. Tra le braccia dell’amico si sentiva al sicuro, protetto da tutto e da tutti.
“No, da questo castello..” disse James, sconvolto, mentre la camicia si bagnava anche delle lacrime che ormai gli scendevano copiose lungo le guance.
“Come mai?” chiese Sirius, dolcemente.
“Mi sento come un pesce in un acquario. Tutti mi guardano, mi indicano, parlano di me ed io non ricordo nulla. Sono stanco, mi fa male la testa e il braccio. Voglio solo stare un po’ tranquillo..” si sfogò James, mentre le lacrime cadevano calde sul suo volto. A Sirius si stringeva il cuore nel vedere il suo amico stare così, ma doveva farsi forza. Doveva essere abbastanza forte per tutti e due.
“Va tutto bene!” disse Sirius, stringendo James ancora più stretto.
Nel frattempo i ragazzi erano tornati dalle cucine, portando con loro delle tazze di cioccolata calda per Remus, Sirius e Alice. Ne avevano presa una anche per James ma erano abbastanza sicuri che lui non fosse intenzionato a berla.
“Allora?” chiese Sebastian, preoccupato.
“Ci stavo parlando, lo avevo convinto a farsi medicare poi è entrato Sirius.” spiegò velocemente Alice, seccata. Era spaventata all’idea che Sirius potesse fare danni come suo solito e rovinare tutto. 
“Ha fatto casino?” chiese Cristal, stupita dal comportamento di Sirius.
“Non lo so..” sbuffò Alice, bevendo qualche sorso dalla tazza che Cristal le aveva passato.
“Sembra lo stia solo abbracciando.” fece notare Frank, aprendo la porta del bagno quanto bastava per poterci sbirciare dentro. Tutti si voltarono di scatto, cercando di vedere ma allo stesso tempo evitando di disturbare i due ragazzi.
“Lascia fare a Sirius, fidati di lui..” esclamò Remus, appoggiando una mano sulla spalla di Alice. Riponeva la più totale fiducia in Sirius e sapeva che se c’era qualcuno che poteva aiutare James quello era proprio lui.
***
Nel bagno dei malandrini la conversazione tra James e Sirius andava avanti da quasi quaranta minuti. James si era lasciato un po’ andare, confidando le sue paura a Sirius, che era rimasto ad ascoltarlo senza interromperlo e senza smettere di abbracciarlo.
“Senti, qui fa freddo.. Ti va se andiamo di là?” chiese Sirius, con un tono che era a metà strada tra quello di un fratello maggiore e quello di un padre. James era molto caldo, probabilmente aveva la febbre, stava seduto su un pavimento freddo da quasi un’ora, era convalescente ed indebolito dalla lunga degenza e per di più stava tremando. Di questo passo si sarebbe si sicuro ammalato.
“Di là?” balbettò James, impaurito, guardando l‘amico con aria spaventata.
“Remus ti ha mostrato il tuo letto?” chiese ancora Sirius, dolcemente.
“Si, ma..” cercò di dire James, troppo sconvolto per proseguire.
“Hai solo bisogno di riposarti un po’. Lo so che è dura, ma devi essere forte e poi domani andrà meglio. Pensi di potercela fare?” sussurrò Sirius all’orecchio dell’amico. Quelle parole restituirono a James un po’ di forza.
“Non so..” disse James, ancora confuso.
“Io penso di si, sei una persona forte.” esclamò Sirius, deciso. Quelle parole colpirono James. Come poteva Sirius credere così tanto in lui, se lui stesso era il primo a ritenersi l’ultimo degli uomini, un codardo, una nullità?
“Ma gli altri..” iniziò James, lasciando però la frase a metà.
“Gli altri non sono come i cretini che ci sono a scuola. Sono sicuro che capiscono che vuoi essere lasciato in pace e sono disposti a darti tutto il tempo che ti serve. Mettiti il pigiama, mettiti a letto e fatti medicare il braccio.” disse Sirius, deciso, porgendo una mano a James per aiutarlo ad alzarsi. James rimase seduto, immobile, guardando perplesso la mano che l’amico gli stava offrendo. Si rendeva conto che quel gesto significava molto, ma lui non sapeva se era pronto.
“Ma loro.. Vorranno spiegazioni, sapere come sto, farmi domande..” riuscì a dire James alla fine, ammettendo quale era il punto che lo preoccupava di più.
“No, spiegazioni e domande possono aspettare. È più importante che ti calmi e riposi un po’.” spiegò Sirius. Dal tono che l’amico aveva usato James capì che si fidava di lui. Non poteva deluderlo. Doveva provare a fare un tentativo, almeno per Sirius. Inoltre, dal modo in cui lo aveva abbracciato e gli aveva parlato James era sicuro che Sirius non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male.
“Va bene.” disse alla fine James, quasi sorpreso dalle sue stesse parole.
“Su, forza, in piedi.” esclamò Sirius, felice che James stesse un pochino meglio, uscendo per primo dal bagno.
“Sirius..” sussultò Alice, alzandosi di scatto dal letto di James su cui si era seduta mentre aspettava che Sirius e James si decidessero a dare segni di vita.
“Mi passi il pigiama di James?” chiese Sirius, aprendo del tutto la porta del bagno e lasciando che gli amici vedessero James, aggrappato a lui. Alice, stupita e senza parole corse incontro al cugino. Gli altri ragazzi erano a bocca aperta, troppo stupiti per dire qualsiasi cosa.
“Eccolo, come lo hai convinto?” chiese Remus, dando voce alla domanda che stava passando per la mente di tutti mentre passava il pigiama di James a Sirius. Il ragazzo alzò le spalle e lasciò che Alice entrasse nel bagno insieme a James per aiutarlo a cambiarsi. 
Lily era sconvolta e non riusciva a distogliere lo sguardo dalla camicia, ormai completamente sporca di sangue, di James. 
“Tutto bene?” chiese Alice, mentre aiutava il cugino a vestirsi. 
“Mi abbracci?” chiese James in risposta, abbozzando un sorriso. Alice era felice che Sirius fosse riuscito a far stare meglio Jamie. Doveva riconoscere che quel ragazzo forse aveva anche delle qualità nascoste, non solamente un sacco di difetti. 
“Certo.” rispose Alice, aggrappandosi con tutte le sue forze a James e stritolandolo quasi in un abbraccio pieno di affetto. Dopo qualche minuto i ragazzi tornarono di là e James si sedette sul suo letto, di fronte a Remus.
“Ahi..” sussultò James non appena il ragazzo gli sfiorò il braccio malato.
“Vediamo questo braccio.” disse Remus, togliendo le bende ormai inservibili e scoprendo del tutto la ferita che si era nuovamente aperta. Senza dire nulla Remus si mise ad armeggiare con unguenti, pozioni, fasce e cerotti mentre James lasciava fare senza dire nulla.
“Fa piano..” si raccomandò Alice, accoccolata tra le braccia di Frank.
“Guarda che Remus è bravissimo.” mormorò Sirius, tranquillizzando la ragazza.
Remus ci mise circa un quarto d’ora a medicare il braccio di James, poi lo aiuto ad infilarsi anche la maglia del pigiama e lo costrinse a mettersi a letto. Il ragazzo provò a protestare ma nel giro di pochi minuti era già nel mondo dei sogni, distrutto dalla giornata pesante. 
I ragazzi nel frattempo erano andati nelle loro rispettive stanze, fatta eccezione per Alice che non si decideva a lasciare la stanza dei malandrini, nonostante James fosse già  profondamente addormentato.
“Allora?” chiese Alice a Remus, impaziente, senza staccare lo sguardo dal cugino che ogni tanto si rigirava nel letto. Nella testa della ragazza si rincorrevano mille domande e soprattutto temeva che James potesse stare sentendo dolore.
“Dorme.” rispose Remus, educato come sempre nonostante l’ora tarda. Era ormai la quinta volta nel giro di pochi minuti che Alice ripeteva la stessa domanda, ma il ragazzo la poteva capire. Anche lui era agitato e non faceva che controllare James e lo stesso valeva per Sirius, nonostante cercasse di non darlo troppo a vedere.
“È tranquillo?” chiese Sirius, agitato quanto la ragazza. Remus sospirò e si voltò a guardare Peter che dormiva beato, del tutto ignaro di quello che stava succedendo. 
“Per ora si. Stavo pensando di dormire con lui..” mormorò Alice a bassa voce, per non svegliare James. Non era certo la prima volta che si fermava a dormire nella stanza dei malandrini insieme a James, inoltre quella sera non se la sentiva proprio di separarsi da lui.
“Per me è una pessima idea.” sbottò Sirius, scuotendo la testa.
“È mio cugino ed ha bisogno di me!” esclamò Alice, risentita. Come si permetteva Sirius di dire una cosa del genere?
“È abbastanza grande per badare a se stesso, no?” ribadì Sirius, deciso a fare in modo che Alice non dormisse con il cugino. James aveva bisogno di passare la notte da solo, superarla senza Alice che gli tenesse la mano o non ne sarebbe mai uscito. 
“Sta male!” sibilò Alice, rossa in volto per la rabbia.
“Ha bisogno che la gente lo capisca, non che lo tratti come un malato grave..” provò a spiegare Sirius con calma. Quelle parole sembrarono avere effetto sulla ragazza, che si calmò e si mise a riflettere in silenzio.
“Si ma, se si sveglia stanotte?” chiese Alice, preoccupata.
“Ci siamo noi.” promise Remus, intromettendosi nel discorso. Per una volta doveva dare ragione a Sirius, nonostante fosse stato impulsivo e si fosse espresso male. Il ragazzo voleva fare capire ad Alice che il modo giusto per aiutare James era stargli vicino, prendersi cura di lui ma allo stesso tempo lasciare che fosse lui il primo a reagire e a trovare la forza per tornare ad essere quello di sempre.
“Ti prometto che ci prenderemo cura di lui.” sussurrò Sirius, prendendo le mani di Alice tra le sue e fissandola intensamente negli occhi. Gli stessi occhi che avevano fatto cadere ai suoi piedi almeno la metà della popolazione femminile del castello.
“Se succede qualcosa di grave però mi chiamate!” supplicò Alice, ricambiando lo sguardo del ragazzo con la stessa intensità.
“Promesso.” assicurò Sirius, sorridendo.
“Ora vai a letto.” le disse Remus, indicandole la porta.
“Vado a dargli il bacio della buona notte.” esclamò Alice, saltellando silenziosamente verso il cugino profondamente addormentato. 
“Ma dorme già.” fece notare Sirius, con tono pratico.
“Che centra?” chiese Alice, alzando le spalle e rimanendo a fissare James che dormiva senza smettere di pensare a quanto fosse tenero ed al tempo stesso indifeso.
“Così lo svegli!” esclamò Sirius, mettendo il broncio.
“Faccio piano.” sbuffò Alice, stampando delicatamente un bacio sulla guancia di James.
“Sei senza speranza!” sospirò Sirius, scuotendo la testa rassegnato.
“Anche tu!” rispose Alice, facendo una linguaccia al moro

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