Strano.
Sono sempre stato definito così, da tutti.
Selvaggio.
Forse perché mi piace stare solo, in mezzo ai boschi.
Forse perché qui nessuno mi prende in giro, nessuno sparla di me, nessuno mi offende.
Forse perché preferisco il profumo umido del sottobosco, o per la tranquillità che c'è in questo posto.
Non mi è mai piaciuto vivere in una città, troppo caos, rumore, troppa ansia.
Emarginato, umiliato solo perché mi piacevano cose a cui nessuno a scuola mia pensa neppure.
A tutti importa il like su Facebook o il cinguettio della risposta su WhatsApp.
Certe cose non le ho mai capite, ed è per questo che io sono solo.Era un sabato come tutti gli altri.
La pioggia tamburellava sulla finestra di fianco a me.
I miei compagni di classe non seguivano minimamente la lezione di chimica.
Il professore era intento a spigare qualcosa sui legami molecolari che non interessava a nessuno.
Avevo lo sguardo vacuo, stavo guardando la lavagna nera con le immagini bianche disegnate dal gesso, ma in verità non la stavo guardando; i miei occhi vedevano gli alberi dalla corteccia umida, le foglie verdi da cui gocciolava l'acqua piovana.
Gli steli bagnati dell'erba e i riflessi dell'arcobaleno nel cielo.
- Ehi Wolf, siamo a lezione di chimica, non nella foresta -
Misi a fuoco lo sguardo del professore.
Rigirai la matita tra le mani e cominciai a ricopiate i disegni alla lavagna.
Dai miei compagni di classe cominciarono a salire irritanti risatine.Oramai sarò chiamato Wolf a vita, Antony Wolf.
Il mio cognome reale è Wester, ma ormai nessuno mi chiamava più così, neanche i professori.
Per tutti ero diventato uno strano.Finalmente la campanella suonò.
In fretta e furia cacciai tutto quello che avevo sul tavolo nella cartella e cercai di uscire il prima possibile di classe.
- dove pensi di andare così in fretta? -
- a casa, nel bosco - risposi
- non fare lo spiritoso con me giovanotto -
Lanciai un'occhiata al soffitto e mi girai.
Gli altri ragazzi uscirono dalla classe ridendo e scherzando.
Quando uscirono il professore mi parlò.
- ti pare questo il modo di comportarti? - mi sgridò - non stai attento alle lezioni, rispondi indietro ai professori, chi ti ha insegnato d'educazione? Un lupo? -
Strinsi i pugni.
- se me l'avesse insegnata lui l'educazione sarebbe stato meglio, almeno avrei già sbranato un po' di persone - lo fissai negli occhi, con segno di sfida.
- stai attento a come parli con me-
Mi girai e lascia la stanza.- allora cosa ti ha detto il prof Wolf? - disse uno dei ragazzi fuori dalla scuola.
Non lo badai neanche.
Andai a prendere la mia bici.
- Oh poverino, sembra che qualcuno ti abbia bucato la ruota-
Strinsi i denti.
Mollai il lucchetto e mi incamminati verso casa, tra le risate degli altri.
Entrai nella via che portava a casa mia.
Una macchina mi passò vicino.
La vidi.
Era lei.
Dentro la macchina nera, sedeva una ragazza, dai capelli così chiari da essere bianchi.
Il suo nome era Asya.
Mi è sempre piaciuta, fin dal primo giorno di scuola.
Solo che io non ero mai riuscito ad avvicinarmi a lei, a dire il vero, non sono mai riuscito ad avvicinarmi a nessuno.
Entrai nella stradina sassosa e infangata che portava a casa mia.
Una piccola villetta.
Lasciai la bici sotto la pioggia, salii i tre gradini che mi portarono sotto il porticato.
Sganciai le chiavi dalla cintura e aprii la porta.
Prima di entrare tolsi le scarpe e feci i risvoltini ai pantaloni.
Una stanza si apriva a sinistra, il soggiorno, grande e accogliente, con un divano marroncino, una poltrona e una televisione.
Da un lato c'era anche una grande libreria e una pianta.
Alla mia destra invece c'era uno sgabuzzino con un armadietto pieno di scarpe.
Dritto davanti a me una rampa di scale portava al primo piano.
A sinistra delle scale bianche, un piccolo corridoio portava a un piccolo bagno e alla cucina.
Salii i quindici scalini che mi portarono in un corridoietto. Entrai nella seconda stanza a sinistra, camera mia.
Un letto sulla sinistra e un armadio sulla destra; tra i due una finestra che si apriva sulla campagna. Guardando fuori si portavano vedere i boschi della montagna.
Mollai il giubbotto nell'armadio.
Aprii uno dei cassetti sotto gli appendiabiti e presi il mio coltello con il fodero, lo agganciati alla vita, poi afferrai la bussola e la infilai in tasca.
Uscii dalla mia camera.
Lasciai lo zaino nella stanza che prima avevo superato, lo studio; all'interno si trovava una libreria, una scrivania con una lampada e una sedia.
Scesi al piano terra e andai in cucina.
Mangiai qualcosa al volo e tornai fuori.
Portai la bici in garage e cambiai la gomma bucata.
Chiusi la porta e montai in sella.
Pedalai più veloce che potei.
Le case terminarono e un lungo prato verde si aprí all'improvviso ai lati della strada.
In poco tempo, l'asfalto finí.
Mi ritrovai davanti al bosco che ricopre le montagne.
Lasciai la bici agganciata alla barra che chiudeva la strada e mi inoltrai nella vegetazione rigogliosa.
Aveva smesso di piovere.
Lo scenario era lo stesso che avevo immaginato nell'ora di chimica.
Un profumo di muschio bagnato e funghi mi riempí i polmoni.
Goccioline d'acqua piovana cadevano dalle foglie degli alberi.
Appoggiai la mano sul tronco di un albero.
Era umido, ruvido.
Sorrisi.
Un uccellino cominciò a cantare.
Qualche raggio di sole cominciò a sbucare timido dalle chiome degli alberi.
Tranquillità.
Aprii le braccia e assaporai pienamente quella sensazione.
Entrai più in profondità nel bosco.
Un mese prima avevo scovato una casetta in legno, ormai un rudere, in mezzo alla vegetazione, solo io sapevo come arrivarci, era il MIO posto.
La porta era storta.
La aprii con tre spintoni.
Entrai.
Le assi di legno del pavimento erano bagnate.
In effetti, un buco sul tetto lasciava entrare la pioggia.
Non era poi tanto piccola la casetta.
Era circa sei metri per sei; una porta e due finestrelle.
"Comincerò a ripararti quest'estate" pensai " con il bel tempo, prima il tetto, poi le finestre e la porta, successivamente il pavimento e poi provvederò all'allestimento"
Rimasi lì fino a sera, a intagliare un bastone.
Poi, quando il sole cominciò a scendere, riposi il bastone nella casa e tornai sui miei passi.
Un fruscio dietro di me attirò la mia attenzione.
Mi girai ma non vidi niente.
Poco dopo sentii un rametto spezzarsi.
"Qualcuno mi sta seguendo" pensai.
Accellerai il passo.
Continuai a sentire rumori simili fino alla fine del bosco.
Intravidi una macchina in lontananza.
Un fruscio, rapidi passi.
Mi girai verso gli alberi.
Qualcosa di grande mi buttò a terra.
Il coltello uscì dal fodero e finì lontano.
Portai le braccia davanti al viso.
Dei denti affondarono nella mia spalla.
Un dolore lancinante mi fece vibrare come una foglia.
Aprii gli occhi.
Un grande lupo era sopra di me e mi premeva a terra con le sue enormi zampe.
La vista cominciò ad annebbiarsi.
Non sentivo più il braccio.
Sentivo la pelle inzuppata di sangue; la lingua del lupo leccarlo via e i denti affondare sempre più nella mia carne.
Uno sparo.
Il lupo mollò la presa.
Un altro.
La bestia indietreggiò ringhiando.
Un terzo.
Il gigantesco lupo si girò e scappò nel folto del bosco.
Qualcuno si avvicinò a me.
Poi sentii il suono acuto di un'ambulanza.
Degli uomini mi caricarono dentro.
Poi buio.
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I'm a wolf
WerewolfUn ragazzo, Antony è stato emarginato dai coetanei e viene preso in giro per il suo amore per la natura. Un giorno, la sua vita cambiò in un istante. Un lupo gigantesco lo morse alla spalla. Da allora, Antony non sarà più lo stesso, e con la prima l...