19) la cena

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Diedi una grigliata ai capelli rossi e mi tolsi l'accappatoio ormai umido.
Mi vestii.
Un paio di pantaloni neri e una camicia bianca; scarpe dello stesso colore.
Indossai il mio orologio di acciaio placcato di nero e chiusi le cinghie sul mio polso sinistro.
Mi guardai allo specchio.
"Non ci siamo"
Sistemai il colletto della camicia.
Pettinai i capelli ribelli.
Alzai di nuovo lo sguardo verso la mia immagine riflessa.
"Manca ancora un tocco"
Sbottonai il primo è il secondo bottone del collo.
"Ora ci siamo"
Guardai l'orologio.
7:08
"Ho il tempo di andare tranquillamente"
Presi una piccola boccetta.
"Un po di profumo non guasta"
Una volta finiti i preparativi uscii dal bagno e andai in camera.
Guardai il mio coltello.
"Oggi ti lascerò a casa"
Scesi le scale.
Arrivai in cucina e aprii il frigo.
Presi una bottiglia di vino e una scatoletta di cartone color panna con dei disegni scuri a forna di spirale sopra.
"Così dovrebbe andare"
Uscii di casa e mi incamminati lentamente verso la casa di Asya.
Ero emozionatissimo, ancora non credevo che mi avesse invitato a casa sua a cenare.
"Ti hanno inviato i suoi genitori" disse "non lei"
"Però le fa piacere " risposi mentalmente.
Continuai a camminare nella strada in penombra che sembrava non finire mai.
Non vedevo l'ora di vederla, di parlarle, di sentire il suo respiro.

Finalmente la vidi, in lontananza, la casa.
La staccionata bianca che delimitava il giardino.
Guardai meglio.
C'era qualcuno fuori.
Una figura chiara nel buio della notte.
Era lei.
Quando mi vide mi salutò con la mano.
- ciao - risposi.
Mi fermai a due passi da lei.
Ci guardammo un istante negli occhi.
Abbassammo di scatto lo sguardo.
Le nostre gote si colorarono di rosso.
- come stai? - chiese timidamente
- bene grazie - risposi - e te? -
- si dai, meglio - disse disegnando piccoli cerchi sull'asfalto con la punta della scarpa.
Rimanemmo in silenzio per qualche istante.
- vuoi entrare? -
- si, grazie -
Mi affiancai a lei ed entrammo.
Il salotto era come lo ricordavo l'ultima volta, non era cambiato di una virgola.
Asya mi accompagnò fino in sala da pranzo.
La tavola era imbandita.
"Una cena vegetariana"
C'era ogni pietanza potessi richiedere, che non fosse carne.
Tortellini ripieni di prosciutto ricoperti di panna morbida e piccoli e verdi piselli, zucchine e altra verdura lessa, involtini vegetariani, amburgher di verdure, frutta e come dolce yogurt bianco ricoperto di frutti di bosco.
Mangiammo piano, parlando molto di noi, conoscendoci pian piano.
Notai che i miei modi gentili e la mia personalità stavano simpatici ai genitori di Asya.
Pian piano capirono quello che realmente succedeva a scuola, e la reputazione di pessimo individuo che mi avevano affibbiato svanì.
Il padre di Asya si chiamava Marco.
Sua madre invece Alisya, era simpatica e continuava a mettere in imbarazzo la figlia parlando di lei quando era bambina.
Lentamente il cibo che era sulla tava cominciò a svanire.
Una volta finta la cena Alisya insisté Asya di mostrarmi la casa.
Lei timidamnere mi mostrò le varie camere, parlando poco.
Era timida.
Infine mi mostrò la sua cameretta.
Aveva le pareti color panna, l'armadio bianco e il letto in legno finemente inciso con motivi vegetali.
Le coperte estive erano sottilissime e il cuscino morbido.
Aveva dei disegni sulla scrivania.
Stavo per guardarli me lei si mise tra me e loro.
- scusa - dissi indietreggiando.
Le sue gote erano ritornate rosse.
Abbassò lo sguardo.
- ti va se andiamo un po' in giardino? - Chiese
- si - risposi con un fil di voce.
Scendemmo le scale e uscimmo.
Si tolse le ciabatte e rimase a piedi nudi sull'erba.
Mi invitò a fare altrettanto.
Passeggiano un po' fianco a fianco, poi ci fermammo a guardare la luna.
- sembra quasi magica quando è piena - disse
- lo è, magica -
Mi guardò.
Si inginocchiò.
Mi sedetti di fianco a lei.
Guardammo per un po' la luna.
Una lacrima scese piano sulla sua guancia.
La asciugai con il pollice.
Ne scese un'altra, e poi una terza.
Asya cominciò a singhiozzare.
Mi colse quasi alla sprovvista.
Non sapevo che fare.
Così la abbracciai, le feci poggiare la testa sulla mia spalla e la strinsi tra le braccia, cullandola.
Pianse, e più piangeva, più la cullavo.
- va tutto bene - le sussurra all'orecchio - ci sono qui io -
Lentamente, aiutata dalle parole dolci che le dicevo, smise di piangere.
- ti ho bagnato la camicia - disse lei toccandomi la spalla.
- non fa niente, si asciuga - risposi accarezzandole la guancia.
Appoggiò la testa sul mio petto.
- il tuo cuore - disse - batte molto forte la cinsi con il braccio sinistro.
Lei si accoccoló.
Non mi sembrava vero, sembrava un sogno, uno di quei sogni belli dal quale poi ti risvegli.
Ma non mi svegliai, non era un sogno.
Rimase accoccolata tra le mie braccia per un'oretta, per poi addormentarsi.
La presi delicatamente in braccio e la portai in casa.
La poggia delicatamente sul letto e la coprii fini alla vita con le sottili coperte.
Uscii piano dalla stanza, cercando di non fare rumore.
Salutai i suoi genitori.
- è a letto - dissi loro - sta dormendo -
Loro sorrisero e mi invitarono a rimanere ancora un po'.
Mi chiesero di raccontare ancora una volta quello che era successo quella sera.
Poi parlammo un po' di me.
Mi dissero che da quel giorno io sono l'unica persona che Asya voleva vedere.
- non è mai uscita di casa da allora - disse suo padre.
- se volete, e se Asya vuole, io domani vado un po' nel bosco, potrebbe venire con me -
Loro furono felici della mia proposta.
- appena si sveglia ti daremo una risposta - dissero.
Li salutai e tornai a casa.
Sua strada del ritorno non pensai ad altro che a lei.
L'indomani, forse, avrei passato ancora del tempo con lei.

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