Capitolo 12

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Ebbene si, era finalmente giunta domenica. Mi svegliai col sorriso sulle labbra, era normale, dopo quasi una settimana, avrei finalmente rivisto Diana. Quella mattina, il sole splendeva, non faceva nemmeno così tanto freddo, per essere una domenica di fine novembre. Ero così felice che mi affacciai dalla finestra di camera mia, urlando a squarciagola: "Buongiorno mondo!" Sono sicuro che svegliai mezzo vicinato. Tant'è che mia madre bussò alla porta, chiedendomi se andasse tutto bene. Io le risposi che andava divinamente. Il buonumore la faceva da padrone. Per prima cosa, feci come mio solito una doccia rigenerante, dovevo essere super carico per la giornata che mi attendeva. Per questa seconda uscita optai per un outfit sportivo, felpa, tuta sotto, e un paio di sneakers ai piedi, era anche scontato, stavamo per andare allo stadio, non avrei potuto mettere lo smoking. Non sistemai nemmeno i capelli, solo per il semplice motivo che, avrei indossato il mio cappellino portafortuna degli Yankees. Finito di prepararmi scesi giù in cucina per fare colazione. Latte e cereali, la colazione dei campioni. La partita si sarebbe disputata a mezzogiorno, giocavamo contro l'ultima in classifica. Ricordo che non ricevetti alcun messaggio da parte di Diana, e la cosa mi preoccupò. Pensai, e se si fosse addormentata come suo solito? Presi il cellulare e chiamai direttamente:
<<Pronto!>> Rispose subito Diana.
<<Ciao Diana, sei pronta per lo stadio?>> Le chiesi.
<<Siiiiiii. Yankees! Yankees!!!>> Urlò.
<<Quanto entusiasmo.>> Le dissi sorridendo
<<Si, non vedo l'ora.>> Rispose Diana.
<<Ok Diana, tra cinque minuti esco di casa, e vengo a prenderti ok?>> Le dissi gasato.
<<Perfetto Aaron! Io sono pronta!>>
Una volta pronto, avvisai i miei, presi le chiavi dell'auto, ed uscì fuori di casa. Stava per avere inizio una giornata magica. E così mi diressi verso Green Avenue, casa di Diana.
Lungo il tragitto, passai davanti ad un fioraio, scesi e presi un fiore per lei, era un girasole. Non sapevo per certo se le piacessero i girasoli, ma tanto, credo che a tutti piacciono i girasoli.
Una volta giunto dinnanzi casa sua, scesi dall'auto, bussai alla porta, e, ad aprire questa volta fu Diana. Era splendida! La salutai:
<<Ciao Diana! Questo è per te.>> Le diedi il girasole.
<<Ma grazie Aaron! È bellissimo! Adoro i girasoli.>> Rispose felice Diana.
Io pensai nella mia mente, che culo! Anche se, in fondo, lo immaginavo che le sarebbe piaciuto.
<<Prendo un attimo la borsa, e possiamo andare.>>
<<Ok, perfetto!>>
Salimmo in macchina, e dritti verso lo Yankee Stadium. Anche se la scelta di spostarci in auto, fu una pessima idea. C'era molto traffico per le strade di New York quella domenica mattina. E forse la metro sarebbe stata la scelta migliore. Ma ormai eravamo in cammino. Durante il tragitto non ci fu la stessa timidezza che ci aveva assaliti al primo incontro. Infatti facemmo una bella chiacchierata, Diana era molto a suo agio, e mi confessò che non era mai stata allo stadio a vedere gli Yankees. Rimasi sorpreso in un primo momento, ma ci poteva stare, non era una grandissima appassionata di sport. Ci facemmo una bella risata su, e le dissi, che non era troppo tardi per andare a vedere gli Yankees per la prima volta. Poi feci un po' il prezioso dicendole che, come prima volta non era male, ci stava andando in mia compagnia. La vedevo sorridere, e questo mi faceva stare bene, era chiaro che da parte mia, ero tanto ma tanto preso. Ero cotto! Finalmente arrivammo al parcheggio. Andammo dritti al botteghino a fare i biglietti. Una volta fatti i biglietti, mi fermai giusto un attimo davanti ad una bancarella che vendeva gadget degli Yankees. Dissi a Diana: "Scegli qualcosa", e lei mi guardò dicendomi: "Prima il girasole, adesso anche un gadget, ma non ero io quella che doveva farsi perdonare?" Beh, non aveva tutti i torti, ma volevo che le restasse un ricordo di quella prima volta allo stadio insieme a me. Scelse un cappellino rosa, con il logo frontale. Le dissi che le stava benissimo, lei arrossì, e mi disse testuali parole:
<<Smettila Aaron, altrimenti farò il tifo per la squadra avversaria!>>
<<Tranquilla, vinceremmo comunque!>> Le risposi.
Una volta entrati allo stadio, Diana rimase a bocca aperta nel vedere una struttura così grande, e piena di gente.
<<Ma perché mio padre non mi ci ha mai portata qui????>>
<<Ti piace vero?>> Le chiesi.
<<Si è bellissimo! Mio padre ogni domenica va sempre a giocare a tennis, e in 20 anni non ha mai trovato una domenica per portarmi qui.>>
<<Io invece, fin da piccolo mio padre mi ci portava sempre, tutte le domeniche.>> Le risposi.
<<Una domanda Aaron. Ma come mai hai deciso di portarmi allo stadio?>>
<<Ehm. Perché sono appunto un grande appassionato di baseball.>> Risposi.
<<Quindi se tu fossi stato un'appassionato di astronomia, mi avresti portato nello spazio?!>>
<<Probabilmente si.>> Risposi sorridendo.
<<Tu sei matto!>> Rispose sorridendo anche lei.
<<Adesso il matto sarei io?>> Le chiesi.
<<E beh si. Fammi indovinare, appassionato d'arte, mi portavi al museo?>> Chiese Diana.
<<Certo! E dove sennò?>>
<<Matto, tu sei matto!>> Ribadì ancora una volta Diana.
<<Ti Ricordo che tu sei quella che unisce il dolce all'amaro.>> Le dissi.
<<A me piace!>> Disse arruffata.
<<Dai prima che inizia la partita, facciamo una cosa da stadio!>> Le dissi.
<<E cosa?>> Rispose preoccupata Diana.
<<Prendere un Hot dog! Che ti sembrava?>> Le risposi.
Appena iniziata la partita, mi passò giusto per la mente di fare una scommessa con Diana. Sapevo che lei non fosse un'esperta di baseball, anzi, era impreparata in materia. Io, molto furbo, pensai bene di scommettere per un prossimo appuntamento, diciamo più serio, e più impegnativo. La mia scommessa era semplice, se gli Yankees avessero vinto quella partita, Diana mi avrebbe concesso un appuntamento a cena. Giocavamo contro l'ultima in classifica, e questo Diana non lo sapeva. Io si! Perfido vero? Diana ignara, accettò la scommessa. Nella mia mente pensai: "È fatta!" Fortunatamente gli Yankees vinsero facile. Quando Diana venne a sapere che la squadra avversaria era l'ultimo in classifica me le cantò: <<E bravo Aaron! Ti piace vincere facile?>> Lo diceva con un sorriso nascosto, non vorrei essere presuntuoso, ma sono sicuro che mi avrebbe concesso l'appuntamento anche se io avessi perso la scommessa. Uscito dallo stadio le chiesi se le andava di fare giusto due passi, lei chiaramente accettò. E ci sedemmo su  di un prato, in un parco adiacente lo stadio.
La curiosità era tanta, volevo chiederle un po' di cose, per conoscerla meglio, e le chiesi:
<<Qual è il tuo sogno? Se posso saperlo.>>
<<Se c'è un sogno, che tengo riposto nel cassetto è, quello di andare a Parigi.>> Rispose.
<<Parigi? La città dell'amore.>> Le dissi.
<<Già, è un desiderio che mi portò fin da piccola, spero un giorno di andarci. Trovarmi sotto la torre Eiffel e gridare: "Sono a Parigiiii!" Tu Aaron?>>
<<Oh, non ci crederai mai! Ma anch'io sogno di andare a Parigi!>>
<<Davvero?>> Chiese Diana.
<<No.>> Risposi facendomi una risata.
<<Che stupido! Non è divertente caro Signor Russo!>> Disse arruffata ancora una volta.
<<No dai stavo scherzando.>>
<<Mi sono offesa.>> Disse Diana.
<<Su dai, era uno scherzo.>> Risposi.
<<Adesso dovrai farti perdonare tu caro Aaron. Dovrai rispondere alla mia domanda.>>
<< Cos'è una specie di obbligo o verità? Comunque ok! Ci sto, spara!>> Le dissi.
<<Hai mai avuto una storia importante?>> Mi chiese.
Cavolo! Volevo chiederglielo io. Ma mi aveva anticipato. Furba Diana.
<<Diciamo che una persona c'è stata in passato, ma credo che non si trattasse di vero amore. Con Victoria non ricordo un momento dolce, credo che Ti Amo dalla mia bocca non sia mai uscito.>> Risposi.
<<Era una cosa prettamente fisica, giusto?>> Chiese incuriosita Diana.
<<Si, direi proprio di sì.>>
<<Possiamo darci la mano dunque. Neanch'io ho mai avuto una storia davvero importante da batticuore.>>
A quella affermazione, dentro di me fu un tripudio di felicità. La guardavo negli occhi, e riuscivo quasi a vederla dentro, in fondo all'anima. Pensai bene che potesse essere il momento giusto per fare il passo avanti, e baciarla. La presi per mano, la guardai negli occhi, pronto a fare il passo decisivo ma........non ci crederete mai e poi mai. Le squillò il cellulare. Era sua madre che necessitava urgentemente che lei rientrasse in casa. Cioè rendiamoci conto. Avevo Diana a pochi centimetri dal mio viso, e quel momento magico che si era venuto a creare, svanito nel nulla così, pufff. Non mi restò che accompagnarla a casa. La cosa che mi consolò, fu che Diana mi disse di aver passato davvero una giornata bellissima in perfetta armonia, ringraziandomi per i regali inaspettati, e, confessandomi di stare veramente bene insieme a me. C'ero andato davvero così vicino. Uffa!

Io ti resto accantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora