capitolo 2

2.4K 89 8
                                    


  Sbatto le palpebre velocemente mettendomi seduto con la schiena schiacciata contro la spalliera del letto. 

Ho il respiro accelerato e il petto mi si muove velocemente come se stesse per esplodere e per un attimo mi passa per la testa l'idea che possa farlo davvero.

Afferro il cellulare da sopra il comodino accanto al letto, segna le sei di mattina.

Fanculo, un altro fottuto incubo.

Dovrei sentirmi fortunato per il fatto di non essermi svegliato nel bel mezzo della notte, ma riesco solo ad essere arrabbiato con me stesso.

Ho la maglietta bagnata che mi si appiccica al petto per il sudore, sbuffo mentre mi alzo e la lancio sul pavimento prima di alzare la tapparella e far entrare la luce e di andare in bagno.

Mi faccio una doccia per poi asciugarmi velocemente il corpo bagnato, mi infilo dei boxer puliti, dei pantaloni da basket blu e una maglietta a mezze maniche bianca. 

La mia immagine si riflette sullo specchio sopra il lavandino, ho gli occhi rossi ma meno di quel che mi aspettavo di vedere, mi lavo velocemente i denti e scendo le scale.

Spero vivamente di non aver gridato questa volta, odio svegliare gli altri per colpa dei miei problemi.

Accendo il fuoco e metto su la caffettiera, apro il balcone della cucina e guardo la strada vuota che mi si para davanti.

 Ovviamente non c'è nessuno, le strade qui a Manhattan sono strette e da qui riesco solo a vedere il giardino, il portone e la casa di fronte, in successione.

Siamo arrivati da solo sette giorni e odio già questo posto, non volevo venire negli Stati Uniti e per di più non nel quartiere migliore di New York.

Fortunatamente non siamo venuti ad abitare in un appartamento del centro, non ce l'avrei davvero fatta.

Il quartiere dove abitavamo prima ad Ottawa non ha nulla a che vedere con questo, non che Ottawa sia una città piccola.

Mi verso del caffè ed inizio a berlo quando la mia attenzione viene catturata dal portone della casa di fronte che si apre lentamente grazie al sistema elettronico uguale al nostro.

 Esce una macchina bianca parecchio grande e mi sembra di vedere un uomo al volante.

E' la stessa macchina di ieri, penso subito.

Mi chiedo dove stia andando a quest'ora di domenica mattina.

 Quando siamo arrivati avevo intravisto in giardino un ragazzo più o meno della mia età parlare con l'uomo della macchina e il giorno dopo a controllare la cassetta della posta c'era una donna.

Ieri l'uomo è arrivato con una ragazza, l'ho vista di sfuggita e l'ho sorpresa a fissarmi mentre armeggiavo con le chiavi di casa.

Non so dire che aspetto abbia, se la vedessi in giro non la riconoscerei nemmeno, ricordo solo la sua espressione disorientata e vagamente preoccupata.

Quella famiglia sembra incasinata almeno quanto la mia.

"Sei già sveglio?"

Mi giro verso le scale da dove sta scendendo Erin, si passa una mano fra i capelli scuri mentre mi si avvicina e mi si contorce lo stomaco sapendo che si è svegliata per colpa mia.

Annuisco distrattamente distogliendo lo sguardo.

"Un altro incubo?" domanda inclinando la testa di lato.

Annuisco ancora fissandola mentre si versa a sua volta del caffè in una tazza, sospira appoggiandosi con la schiena all'isola in legno bianco.

"Ne vuoi parlare?" domanda.

Un vicino di troppoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora