XX

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Era mattino inoltrato, forse le otto o le nove. Tutti dormivano ancora profondamente nei loro morbidi letti della miglior fattura, mentre i servitori si aggiravano per il castello occupati dalle quotidiane mansioni come pulire, raccogliere la frutta che doveva essere servita al mattino, preparare il pane o semplicemente recarsi al mercato per comprare il necessario. I ricevimenti azzeravano quasi tutte le risorse cibarie del castello.
Le concubine del sultano, invece, erano in piedi da qualche ora e si occupavano delle loro normali mansioni. C'era chi leggeva, chi studiava, chi suonava l'arpa e chi si esercitava nel ballo. Ognuna di loro possedeva qualcosa a differenziarle dall'altra; o almeno tutte, tranne Hurrem. La sua specialità era quella di entrare nel cuore delle persone e di rimanervi per lungo tempo, soprattutto in quello del sultano, che da quando l'aveva incontrata, non aveva più invitato nessun altra nelle sue stanze. Chiedeva solo di lei e addirittura ci dormiva tutta la notte. Dove si trovava la rossa, si trovava anche Selim. Sembravano attaccati da una corda che non li permetteva di allontanarsi per molto tempo l'uno dall'altra.
Gulbahar sbuffò, guardandosi allo specchio. Si era applicata del trucco sul viso che la rendeva più bella e graziosa di quanto già non fosse, i suoi capelli neri erano straordinariamente belli quel giorno con quei piccoli boccoli naturali... Ma a cosa serviva prepararsi ogni mattina, farsi bella, esercitarsi in ciò che le riusciva meglio, quando l'uomo che amava non la degnava di uno sguardo? Era la madre dell'erede al trono e contava meglio di niente a corte. Ne aveva abbastanza di essere costantemente eclissata da una ragazzina dai capelli rossi e dalla voce stridula.

Hurrem non era diversa da tutte loro; avevano passato tutte brutti momenti nel passato, avevano sofferto tutte la fame, alcune di loro erano state anche picchiate crudelmente durante la cattura, altre avevano guardato morire i propri cari, brutalmente assassinati, altre avevano visto i loro villaggi bruciare. Nonostante ciò nessuno le aveva premiate com'era successo a lei, nessuno le aveva mai trattate in quel modo, nessuno le aveva mai amate così. Avevano imparato a volersi bene col tempo, era come avere tante sorelle a cui badare e di cui occuparsi; questo era il motivo per cui nessuna di loro si reputava superiore alle altre. Hurrem dal primo giorno in cui aveva messo piede a palazzo, non aveva mai provato ad instaurare un rapporto con loro, anzi se le era inimicate e messe tutte contro. Se ne stava sempre lì in un angolo a parlare in russo, pensando di non essere capita da nessuna di loro. Gulbahar la comprendeva. Nonostante avesse la pronuncia perfetta e non praticasse quella lingua da anni, la ex Favorita del sultano era russa. L'avevano rapita all'età di quindici anni e portata a corte per la sua bellezza glaciale e per il modo sublime in cui le sue dita suonavano l'arpa.
Aveva visto morire i suoi genitori, sua nonna e tutti quelli che conosceva. Aveva sofferto anche lei come Hurrem, ma nessuno le aveva mai rivolto simili attenzioni, come avevano sempre fatto con la rossa. Chi diavolo era per meritarsi un trattamento del genere? Non era giusto ed equo per nessuna di loro.
Selim non l'aveva mai guardata in quel modo... E la cosa che più le faceva male e la feriva, era che il padre di suo figlio non era stato talmente entusiasta di aspettare un bambino, il suo primo bambino ed erede al trono, come quando aveva compreso di quello che aspettava la rossa.
Eppure il suo piccolo Mustafà, la luce dei suoi occhi, la cosa migliore che le fosse mai capitata, era amato e adorato da tutti, persino da Hurrem che passava ore a giocarci in giardino.
Gulbahar la detestava perché il figlio che portava in grembo lei, che contava poco e niente ancora, agli occhi di Selim era più importante del piccolo Mustafà, vivo e meraviglioso.
Avrebbe fatto di tutto, persino uccidere, per non far vivere suo figlio nell'ombra di qualcun altro e per garantirgli il futuro che gli spettava. Mustafà era il legittimo erede al trono, nessun altro.
Da che epoca e mondo si provenga, le madri garantiranno sempre un futuro degno ai propri figli, non importano le conseguenze, quanto sangue potrebbe versarsi o quanto male si possa fare.
-Madre! Madre! Posso andare a giocare con Hurrem in giardino? - Mustafà entrò nella stanza, sbattendo violentemente la porta contro il muro. Aveva tutti i capelli scuri scompigliati e le guance paffute rosa per la corsa. La balia, dietro di lui, era disperata; le faceva penare tutte.
La concubina rise, sollevandolo di peso e facendoselo sedere sulle ginocchia.
-Non si usa più dare il buongiorno alla mamma adesso? - La donna gli sorrise, baciandolo sul capo ricciuto. Mustafà ridacchiò, mormorando un piccolo 'giorno' fra i capelli della madre.
Lo amava così tanto che il cuore le sarebbe potuto scoppiare. Il suo bellissimo bambino.
Lo guardò negli occhi, carezzandogli la tenera guancia con l'indice.
"Tutto per te, mio amore. Dobbiamo pensare a noi stessi, adesso che tuo padre ci reputa meno di niente."

Roxelana: L' Imperatrice Dell'EstDove le storie prendono vita. Scoprilo ora