capitolo 15

712 27 0
                                    

Vengo svegliata dall’inquietante suono della mia sveglia. La odio ora e la odierò sempre.

Ma quando arrivano le vacanze di natale? Mancano 20 giorni, 20 fottutitssimi giorni che hanno deciso di essere quelli più lunghi della mia vita.

Mi alzo dal letto e mi dirigo verso l’armadio, scendo giù in cucina e in massimo silenzio per non svegliare nessuno, mi preparo la colazione.

Appena finito vado in bagno, mi guardo allo specchio e penso

‘ciao mostro, buongiorno, pronta per un’altra giornata di merda?’

Analizzo tutti i miei brufoli che sembrano non mancare mai, mi lavo e mi trucco anche se non amo farlo, ma DEVO, altrimenti sembrerei un alieno dalle occhiaie viola, pieno di brufoli e lentiggini.

Sono ormai le 7:35, prendo lo zaino ed esco di casa.

Per strada richiamo alla memoria tutta la giornata di ieri: che giornataccia che è stata, meglio se non ricordavo nulla, ora ho come un buco allo stomaco e ho bisogno di essere abbracciata da qualcuno, che mi conforti e che non mi faccia sentire sola, qualcuno che mi abbracci perché vuole e ne ha bisogno e non qualcuno che mi abbracci perché glie l’ho chiesto.

I miei passi sono veloci ,  come quelli di mio padre.  Amo questa caratteristica di me, forse l’unica che amo, perché mi permette di non fare quasi mai ritardi agli appuntamenti.

‘appuntamenti’: meglio che non pensavo a questa parola, che a mio discapito, ricorda Harry. Il nostro primo appuntamento: io stretta a lui sul motorino mentre mi portava a Sperlonga , i mio petto attaccato alla sua schiena e i nostri respiri impazziti e contemporanei. Certo che è veramente strana la vita:  all’inizio è tutto così perfettamente bello e hai tutto quello di cui hai bisogno. Un attimo dopo ti si ribalta tutto addosso, tutte le cose belle accadute prima diventano nullità … svaniscono come se niente fosse mai successo.

Sono ormai poco distante dalla fermata dell’autobus e indovinate chi c’è? Harry.

Se ne sta seduto lì su una delle panchine con il telefono in mano. Chissà a chi cazzo starà inviando quei fottutissimi messaggi. Non lo voglio disturbare, così per passare inosservata cerco il mio telefono nelle tasche del giubbotto. Noto che è spento. Questa mattina staccando la presa ho dimenticato di accenderlo. Da una parte è meglio almeno sto più tranquilla non ricevendo messaggi da nessuno.

Ma ce dico? Ma chi pensa a me quando ci sono tantissime altre cose a cui pensare? È meglio che la finisco di sparare cavolate di prima mattina, forse le penso perché sono ancora insonnolita e sto ancora un po’ nel mondo dei sogni. Conviene che mi svegli, tanto sognare non serve a nulla perché poi basta un piccolo rumore che tutto diventa come prima e quel sogni va in frantumi, se ne va per sempre e anche se ti interessava come andava a finire, non puoi più saperlo perché è tutto finito. Questa è la vita, una vita più schifosa non si può avere. Non per essere antica ma …  diceva bene il mio bisnonno che si stava meglio quando si stava peggio! Non si sgarrava di una briciola e tutti avevano un solo pensiero, tutti erano uniti e alla fine si odiavano meno di quando ci odiamo noi oggi.

Sono ormai arrivata alla fermata dell’autobus, continuo ad avere gli occhi appiccicati al telefono che si sta ancora accendendo per non incrociare lo sguardo di Harry. Mi siedo su una panchina di fronte alla sua. Sarò arrivata un quarto d’ora prima del previsto.

Il silenzio regna.

Appena il telefono finisce di fare la pallosissima ‘scansione multimediale’, metto il telefono in tasca  faccio finta di cercare qualcosa nello zaino.

La suoneria dei messaggi si ripete per almeno una trentina di volte. Credo che il telefono si stia rompendo, mi starà inviando lo steso messaggio almeno 40 volte.

I'm in love with youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora