Londra sa cos'ha rischiato di perdere

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Piove. Le gocce di pioggia battono sui freddi vetri della finestra mentre la mia fronte vi è poggiata contro. Con la bocca semiaperta osservo il mio respiro appannare la superficie. Il rumore dell'acqua all'esterno riesce a cacciare via per un po' i miei pensieri negativi.
Fa freddo, sento le dita delle mani congelarsi, nonostante io le tenga all'interno delle tasche dei jeans, oltre il camice sbottonato.
Va avanti da questa mattina. Non ha smesso di piovere nemmeno un secondo. Le nuvole hanno iniziato a coprire il cielo fin dalle prime luci dell'alba, sembrava quasi che sapesse che giornata orribile sarebbe stata oggi. Di solito adoro la pioggia, mi piace sedermi sulla poltrona davanti al camino, leggendo un buon libro mentre il suono dall'esterno distende i miei nervi e mi rilassa. Ma adesso tutto sembra così insopportabile che non riesco a reagire a nulla.
Le auto all'esterno vengono parcheggiate nei pochi posti rimasti vuoti. La gente scende di corsa, chiudendo lo sportello in fretta, poi corre e arriva sana e salva sotto la tettoia. La pioggia è troppo fitta per permettermi di vedere altro, ma tutto sembra essere deserto. Vuoto, come quello che provo.


Londra sa cosa ha rischiato di perdere, perciò tutto è grigio.

Non riesco a muovere un muscolo, tutto si è intorpidito nel mio corpo perché sono ore che non mi muovo di qui.
"Dottor Watson, perché non si accomoda in sala d'aspetto? Lì c'è una stufa!" Le infermiere hanno provato a smuovermi dal mio stato di trance, ma io non ho mosso un muscolo. Come avrei potuto affrontare tutti quegli occhi puntati addosso? Mi avrebbero guardando con pena, avrebbero sussurrato un "povero John, non immagino cosa stia provando in questo momento", avrebbero di certo cercato di offrirmi un tè che secondo loro sarebbe servito per distogliere i miei pensieri dalla negatività e dal dolore, tè che inoltre proveniva dal distributore, rivoltante come sempre. Ma tutto ciò di cui ho davvero bisogno in questo momento non sono gli sguardi ed i favori compassionevoli. Ma la solitudine. L'unica cosa che mi avrebbe mantenuto calmo, nonostante il freddo penetrasse nelle mie ossa, facendomi tremare sul posto... ma non tremo solo di freddo.

Ho forse paura?

Il mio cellulare continua a vibrare nella mia tasca da più di dieci minuti. Ho intuito si trattasse di Sarah, arrabbiata per aver lasciato l'ambulatorio all'improvviso e nelle sue mani. Mi ricordo di aver fatto cadere lo stetoscopio sul pavimento, forse si è anche distrutto mentre raggiungeva il parquet chiaro del mio studio. Il paziente è rimasto a fissarmi con quello sguardo inebetito mentre mi precipitavo fuori dalla stanza. Sarah mi ha visto correre via e ho notato la furia nei suoi occhi mentre era intenta a gestire la confusione della fila in sala d'aspetto. Ma non c'era alcun medico. Io me n'ero andato, ero corso via, seguito dall'infermiere che era venuto ad avvertirmi.
Ho ancora il camice addosso, il cartellino appuntato sul petto e dal riflesso della finestra posso vedere gli occhi diventare lucidi, riempirsi di lacrime e inondare le mie guance. Il cellulare vibra ancora e per la rabbia lo afferro e lo lancio bruscamente contro il pavimento con un roco urlo di rabbia.

Perché la gente non capisce?

Perché non ha un minimo di umanità?

Perché è così egoista?

Devo aver urlato troppo forte, dato che ho visto Mycroft raggiungermi a passo svelto. Quell'urlo, però, è riuscito a tirare fuori tutte le mie emozioni, tutta la rabbia e la paura che fino a poco fa cercavo di trattenere. Sono scivolato seduto sul pavimento e ho cominciato a piangere nervosamente con la testa fra le mani, gemendo a voce alta e convulsamente.
- John! - Si è abbassato alla mia altezza e ha cercato con tutte le forze di tirarmi su. Non l'ho respinto, stranamente, ma senza parlare è riuscito a farmi smettere di piangere, mentre con la coda dell'occhio lancia sguardi al mio apparecchio telefonico ormai in mille pezzi.
È rimasto accanto a me per tutto il tempo. Veglia su di me in silenzio, aspettando una qualche notizia, mentre con la calma che sono riuscito a raggiungere cerco inutilmente di rimettere insieme i frantumi del mio telefono.
Poco dopo Mycroft mi ha convinto ad entrare in sala d'aspetto, anche se ho preferito distaccarmi dal resto del gruppo e sedermi in un angolo, ricevendo ovviamente gli sguardi di compassione che speravo di evitare.
I singhiozzi della signora Holmes, non ce la faccio più a sopportarli.
- Siete voi i familiari? - Mi alzo velocemente quando sento la voce del medico. Lo conosco, ci siamo visti più volte in ospedale. - Oh, dottor Watson, sapevo che sarebbe venuto. - Ha esordito subito dopo. Io sono rimasto in silenzio. Ormai tutti sanno di me e Sherlock, perfino i colleghi dell'ospedale con cui non ho mai parlato.
- Mi dica, dottore, come sta? - La signora Holmes, con i suoi occhi gonfi di lacrime e un fazzoletto stretto fra le dita, si è avvicinata prendendo la parola. Il medico ha sospirato, ma non è un respiro di sollievo quello. È il sospiro di quando qualcuno sta per darti una cattiva notizia, il sospiro che io chiamo "campanello d'allarme", quello che mi fa cedere le ginocchia.
- Purtroppo le sue condizioni sono gravi. Ha un braccio e quattro costole rotte. Siamo riusciti a salvarlo, nonostante l'emorragia alla testa... ma adesso è in stato comatoso. - La signora Holmes ricomincia a piangere disperata e Mycroft ed il marito sono costretti a reggerla per farla restare in piedi e per impedire che le sue gambe la facciano crollare. Io non voglio cedere, ma mi mordo l'interno delle guance, gli occhi mi bruciano e non riesco a fermare quella lacrima che scivola giù dalla mia pelle e raggiunge il mento. Trattenere un pianto come quello mi provoca sempre un'emicrania terribile e sono costretto a massaggiarmi una tempia con le dita. La terra sotto di me trema e quasi inizio a barcollare. Non può succedere davvero, non a lui. - Ciò che possiamo fare adesso è aspettare. Ma avrà bisogno del vostro aiuto, della vostra presenza. -
Ciò che il medico dice dopo non riesco più a sentirlo. Nella mia testa cerco di vedere la scena che l'infermiere mi ha raccontato mentre visitavo il mio paziente.

Recovery || JohnlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora