Hiram Brown

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Quando Sherlock ha visto la foto, dopo essere uscito gocciolante dal bagno con un asciugamano intorno alla vita, non ha capito subito di che cosa si trattava. Poi, dopo la mia spiegazione, i suoi occhi si sono inumiditi e per tutto il tempo non ha fatto altro che dire "avevo ragione, John".
La foto era rimasta dietro al divano probabilmente dal giorno dell'incidente. Rare volte lo spostavamo, la signora Hudson non ci riusciva, era troppo pesante per lei, e a me e a Sherlock non era mai venuto in mente di farlo. Cosa potevamo saperne in fondo?
Adesso siamo su un taxi. È Natale e non è facile trovarne, ma per una cosa del genere abbiamo deciso di partire in quarta verso casa di Lestrade. Non so esattamente che programmi abbia oggi, non ce ne ha parlato ieri sera, non ha nemmeno accennato a cosa avrebbe fatto tutto il giorno, ma è ovvio non si trovi a Scotland Yard in un giorno come questo.
Sherlock continua far tamburellare le dita sul sedile da quando il taxi è partito, e anche se lo amo con tutto il cuore non posso far altro che trovare insopportabile quel tic nervoso, così porto una mano sulla sua e la stringo, riuscendo a fermare le sue dita e facendogli sfuggire anche un lungo sospiro nervoso.
- Non agitarti. - Gli dico senza spostare lo sguardo dal suo viso teso. - Greg è sicuramente a casa. - Continuo mentre con la mano libera tengo ancora stretta quella foto fra le dita.
- Conoscendo la sua vita sociale probabilmente sì. - Dice lui in risposta mentre si allarga la sciarpa che porta al collo, quasi come se gli desse fastidio e fosse sul punto di soffocare. - Ma se non ci fosse? Dovrei aspettare la fine di questa giornata, rimandare tutto a domani? Io rimarrei con questo pensiero fisso e non sarei per nulla tranquillo, John. - Guarda fuori dal finestrino con attenzione, è come se stesse cercando l'uomo della foto tra la gente comune in giro per Londra.
L'unico dubbio che è sorto dopo aver capito la verità è stato uno solo. Perché Ellen avrebbe dovuto difendere questo tizio al punto da farsi incarcerare al suo posto? Ci teneva così tanto a quest'uomo da spingerla a un gesto così folle? E poi cos'era? Un fratello, un amico, un fidanzato, un marito... poteva essere chiunque, e sicuramente Sherlock lo sapeva prima dell'incidente, mentre adesso non ne ha la più pallida idea.
- Andrà tutto bene, vedrai. Tu rilassati. - Il pollice inizia ad accarezzargli il polso con dolcezza e il sospiro che gli sfugge questa volta sembra più rilassato, guardandolo mi sembra anche di aver notato che ha chiuso gli occhi per godersi quella piccola attenzione al meglio. - Ehi, per il regalo... - Dico, approfittando di quel momento di silenzio per tirare fuori quell'argomento di cui non avevamo avuto il tempo di discutere. Lui mi interrompe quasi subito.
- Una sciocchezza, lo so... -
- No, affatto. È bellissimo, il miglior regalo che tu mi abbia mai fatto. - Sul suo viso compare un sorriso riconoscente, poi abbassa lo sguardo, guardando le nostre mani unite sul sedile. In poco tempo afferra la mia e la stringe, lasciando che le dita si intreccino. - Ma il fatto che tu non mi abbia parlato di questo diario... - Lasciò la frase in sospeso e ridacchio leggermente, scaturendo la stessa reazione anche a Sherlock, che scuote appena la testa.
- Meglio tardi che mai, no? - Io sorrido e annuisco, sembra più tranquillo e questo mi rasserena. Se fosse arrivato da Lestrade sull'orlo di una crisi di nervi non voglio nemmeno immaginare come sarebbero andate le cose.
Il taxi si ferma davanti all'abitazione di Greg. La sua auto è parcheggiata lì, quindi è a casa, per fortuna. Sherlock non perde tempo e raggiunge la porta d'ingresso a grandi falcate, lasciandomi indietro come sempre pagare il tassista, con una somma considerevole di mancia per averlo disturbato nel giorno di Natale. Bussa freneticamente e di continuo, cosa che mi fa roteare gli occhi. Smette solo quando sente dei passi avvicinarsi e ad aprire la porta è proprio Lestrade, vestito di tutto punto e con un odore di colonia così nauseante che entrambi ci lasciamo sfuggire una smorfia infastidita. Ha perfino il gel ai capelli, e dal suo sguardo scocciato intuisco che abbiamo interrotto qualcosa. Infatti, dietro di lui scorgiamo il tavolo da pranzo abbellito a festa, delle candele accese al centro color rosso fuoco, e infine una donna seduta a un capo della tavola con un vestito verde e una lunga chioma bionda che arriva fino a sotto la schiena. Ci guarda confusa, ma resta composta al suo posto senza fiatare. Questa è una novità, sia per me che per Sherlock, che sembra altrettanto sconvolto.
- Che cosa volete? - Chiede quasi bruscamente. Sherlock mi strappa la foto dalle mani, noncurante di aver disturbato quello che sembra un pranzetto molto intimo, e la mostra a Lestrade che corruga la fronte senza capire. Mio marito sospira e si affretta a spiegare.
- È l'uomo che Ellen sta difendendo. - Dice infine. Greg afferra la foto e la osserva con attenzione, poi scuote la testa mentre guarda il tizio raffigurato in essa.
- Sherlock, mi sembra che ne abbiamo già discusso il giorno dell'arresto. Perché continui a insistere? -
- Stavolta ha ragione. - Mi affretto a dire. - È la foto per cui quel giorno Sherlock si è quasi fatto ammazzare da quel camion. - Il mio tono deciso sembra averlo convinto, almeno un po'. Si gira a guardare la donna seduta al suo tavolo, che in quel preciso momento sembra non fare tanto caso a noi, ma piuttosto al suo cellulare.
- Ragazzi, ascoltatemi. Una foto non può provare niente. Mi servono delle prove più concrete. - Dice mentre restituisce la polaroid a Sherlock. - Insomma, sai come si chiama? Sai perché hai capito si tratti di lui e non di Ellen? - Quelle parole zittiscono mio marito, che fa saettare nervosamente gli occhi su ogni dettaglio della polaroid. Deglutisce rumorosamente e mi soffermo a guardare il suo pomo d'Adamo andare su e giù per un attimo. La sua fronte è già imperlata di sudore e la sua mano trema.
- No... non me lo ricordo. - Dice dopo un po', facendo sfuggire a Greg un sospiro pesante.
- Per questo ho le mani legate, ragazzi. Ne riparliamo domani, va bene? Come avrete notato sono un po' occupato adesso. - Lestrade sta per chiudere la porta, ma prontamente Sherlock la blocca con il piede e afferra la manica della giacca elegante dell'investigatore per trattenerlo. I suoi occhi sono imploranti e supplichevoli. Stavolta so che non si lascerà convincere a lasciar perdere perché sa di aver ragione.
- Lasciami interrogare Ellen. - Gli dice affievolendo la presa sulla sua manica, ormai sgualcita per quel gesto inaspettato. Greg guarda prima lui, poi me, come a cercare una conferma nel mio sguardo. Io annuisco leggermente in risposta. - Ti prego. -
- Diamine, va bene! - Esclama portandosi una mano in tasca e tirandone fuori un mazzo di chiavi, lo lancia verso di me e io lo afferro con i miei riflessi pronti. - Aspettatemi in macchina, vado a spiegare a Samantah cosa sta succedendo. -
- Grazie Greg. - E finalmente Sherlock lo lascia andare, facendo in modo che la porta si chiuda alle spalle dell'ispettore.
Pochi minuti dopo siamo già in viaggio sui sedili posteriori dell'auto di Greg. Non so di preciso cosa abbia detto a Samantah per andare via, ma non sembrava tanto arrabbiata quando è uscita di casa, stampandogli un bacio delicato sulla guancia sbarbata. Sembrava una donna molto paziente e comprensiva. Magari questa è la volta buona che Greg si sistemi e sia felice una volta per tutte.
Per tutto il tragitto Lestrade non ha fatto altro che ripeterci che gli dovevamo un favore, e non lo biasimo affatto, soprattutto nel giorno di Natale.
Adesso Sherlock si trova nella stanza degli interrogatori insieme a Lestrade, io sono dietro al vetro e aspetto che Ellen faccia il suo ingresso, accompagnata dagli agenti. Indossa la divisa arancione e porta le manette ai polsi. Il suo viso non è per niente contento mentre si siede di fronte all'ispettore.
- Credevo avessimo già fatto questo. - Dice lei dopo che i due agenti hanno lasciato la stanza. Probabilmente si riferisce all'interrogatorio, dove lei ha confessato il falso per proteggere un uomo come quello.
- Ellen, ti ricordi di Sherlock Holmes, vero? - Sherlock inarca un sopracciglio. Probabilmente si sta chiedendo il perché di quella domanda assurda di cui la risposta è così ovvia.
- Certo. - Dice lei, e dal suo viso non trapela alcuna emozione.
- Beh, lui... - Sherlock sospira pesantemente e interrompe Greg lasciando scivolare la foto sul tavolo in direzione della donna, che mi è sembrato di vedere deglutire.
- Perché lo sta coprendo? - È la domanda che le rivolge mio marito, suscitando l'esasperazione di Lestrade che voleva arrivare pian piano a quella domanda per fare in modo fosse più collaborativa. Ma Sherlock è fatto così, lo sanno anche i muri, soprattutto quelle quattro pareti in cui adesso è chiuso, che ne hanno visti già tanti dei suoi interrogatori.
- Io... - La sua voce sembra tentennare, ma con un finto colpo di tosse ritorna alla normalità.

Recovery || JohnlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora