Il capitano John Watson

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Il tempo è volato. Non ho niente di importante su cui soffermarmi di quello che è successo in questa settimana... a parte forse la sera in cui Sherlock mi ha pregato di leggere ciò che io ho scritto sulla nostra prima avventura, Lo studio in rosa. È successo in tarda sera. Sherlock si era fatto trovare a letto con il mio portatile sulle gambe, sapendo che io sarei passato per la sua pillola serale. Non ho potuto resistere dallo sdraiarmi accanto a lui e cominciare a leggere.
Ha ascoltato con profondo interesse, interrompendomi con qualche quesito di tanto in tanto. Subito dopo ho posto la fatidica domanda: "Ti viene in mente qualcosa?", alla quale lui ha risposto negativamente, si è addirittura scusato con uno sguardo dispiaciuto. Non posso pretendere troppo da lui, in effetti.
Oh, dimenticavo! Ha avuto un'altra seduta dal dottor Portman e ne è uscito abbastanza soddisfatto. Ovviamente sapevo che non me ne avrebbe parlato, ha detto che ciò che loro si dicevano durante le sedute doveva restare segreto, almeno per un po'... mi sembrava addirittura imbarazzato ogni volta che usciva fuori l'argomento "James Portman", cercava in tutti i modi di deviare il discorso su qualcosa di più semplice. Ho seguito quindi il consiglio della vocina della mia testa:


Lascialo respirare, John!

Oggi è domenica. Sherlock ha sempre odiato la domenica, diceva che era il giorno in cui perfino i serial killer si prendevano una pausa dalle loro attività perché secondo lui morivano di noia. Di solito era il giorno in cui si divertiva a sparare al muro, a lamentarsi per le sigarette e delle regole "assurde" del Cluedo.

Spero che non si ricordi subito di quel gioco, su quello mi faceva sempre sclerare.

Le cose sono leggermente cambiate. Si annoia, come sempre, ma invece di attentare alla parete dell'appartamento si limita a stare seduto sul tavolino di fronte al divano, con le gambe incrociate e lo sguardo fisso alla mappa di Londra e alle foto segnate e attaccate dalle puntine da disegno. Chissà a che pensa mentre storce le labbra verso destra.
Una bella doccia è quella che di sicuro mi aiuterà a rilassarmi, quindi abbandono Sherlock ai suoi pensieri e mi lascio andare sotto il getto tiepido che rapido inzuppa i miei capelli. Ultimamente sono cresciuti abbastanza, dato che badare ad un consulente investigativo non mi ha permesso di dedicare un po' di tempo a me stesso o per andare dal barbiere. Il ciuffo è abbastanza lungo da coprirmi gli occhi. Certo, sarei potuto uscire tranquillamente lasciando Sherlock nelle adorabili mani della signora Hudson... ma non me la sento di lasciarlo solo, non dopo quell'attacco di panico e d'ira nei miei confronti. Devo tenerlo d'occhio come se ne valesse la mia vita, ed è così in fondo.
Quando mi asciugo i capelli, allora, decido di pettinarli all'indietro, così che quel ciuffo sarebbe rimasto al suo posto. Mi accorgo anche di avere una leggera barbetta incolta sulle guance e sul mento e con questa pettinatura sembro addirittura tutt'altra persona. Potrei giurare di apparire anche più virile e giovane in questo stato. Adesso ho la fronte scoperta e i miei occhi risaltano maggiormente mentre guardo la mia figura allo specchio, penso mentre cospargo una piccola dose di gel sul lavoro appena finito. Sono soddisfatto del risultato.

L'importante è non farsi crescere quegli orribili baffi che Sherlock avrebbe di sicuro bocciato.

In salotto, trovo ancora Sherlock immobile sul tavolino, solo che stavolta ci è salito in piedi e sta fissando con sguardo indagatore una foto posta al centro della sua mappa, c'è raffigurata una donna e lui l'aveva cerchiata con un pennarello rosso, mentre tutti gli altri individui erano stati segnati con una x. Probabilmente sta cercando di ricordare chi quella persona sia.
I miei passi devono aver fatto abbastanza rumore da farmi sentire, dato che adesso si rivolge a me, senza staccare gli occhi dai capelli biondi della ragazza catturata in quell'immagine.
- John, dici che dovrei riprendere ad indagare? -
- Beh, dovresti ricominciare da capo. Devi considerare che per te sarebbe un bello sforzo viste le tue condizioni. - Dico, affiancando il tavolino ed incrociando le braccia al petto.
- Sono giorni che ci lavoro su, nella mia testa. - Mormora muovendo lentamente le dita della mano, quella del braccio fratturato. Ogni tanto lo fa per alleviare il continuo formicolio. - Beh, solo che... ho paura di poter avere qualche piccola ricaduta se mi dedico al lavoro sul campo, forse dovrei continuare a lavorarci da solo. - I miei occhi sono puntati sulla sua alta figura. Il suo corpo guarisce in fretta, è la sua mente che fatica a riprendersi. Non ricorda, confonde facilmente i vocaboli, dimentica le frasi mentre le pronuncia, gli capita di dedurre Greg quando ci viene a trovare, e mi duole ammettere che per il 50% delle volte quelle deduzioni sono errate. Però ci sono degli esercizi che mette in atto, esercizi di cui non sono a conoscenza per via del dottor Portman, ma lui dice che lo stanno aiutando a stabilizzarsi, ad avere la mente lucida.
- Sherlock, sono contento che tu voglia metterti al lavoro e cercare di riprendere la tua vecchia vita, davvero... ma non credi di essere un po' troppo frettoloso riguardo alla cosa? Insomma, sei ancora abbastanza confuso e non vorrei che tutti questi pensieri contribuissero a far peggiorare il tuo stato. - Abbassa la testa sconsolato. Si è accorto che ho ragione sotto un certo punto di vista, ed il fatto che io sia un medico lo aiuta a capire che i miei consigli sono anche strettamente professionali.
- Già, hai ragione. - Sospira profondamente. - Devo aspettare? -
- Lo preferirei per te, sì. Ma questo non vuol dire che non puoi più dedicartene. Magari una volta ogni tanto potresti lavorarci, ma solo una volta ogni tanto. - Il mio tono deve sembrare dolce e protettivo, perché mentre ancora lo osservo con il suo sguardo basso, posso notare il leggero sorriso fare capolino dalle sue labbra. È in quel momento che si gira e finalmente mi guarda. Il suo sorriso svanisce. Le sue labbra si schiudono leggermente e le sue pupille sono talmente dilatate e sorprese che per un attimo penso al peggio. Si umetta le labbra con la lingua mentre scende dal tavolino senza staccarmi gli occhi stupiti di dosso.
- Stai bene? - Chiedo dopo interminabili secondi di silenzio. Lui distoglie subito lo sguardo e lo fa vagare sul pavimento. Noto il suo nervosismo nel modo in cui cerca di evitare le mie attenzioni subito dopo la domanda che gli ho posto.
- Certo... - Mormora per poi tossicchiare e dirigersi a passo ampio e svelto verso la cucina. Non me la bevo, so che qualcosa non va da quando mi ha guardato in faccia.
- Sei sicuro? - Lo seguo e sto attento ad ogni suo movimento nervoso mentre riempie di acqua il bollitore, forse nel tentativo di prepararsi un tè caldo, l'unico che ho scoperto essere un calmante per lui.

Recovery || JohnlockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora