Trentaquattro

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Il rumore delle onde risuonava nell'accampamento come a cullare il sonno dei soldati achei.
Tutto era fermo, tutti dormivano.
Le tende dei sovrani erano buie, piene di condottieri stanchi a causa del viaggio e della battaglia.
Mancavano ancora molte ore all'alba, ore che i soldati avrebbero sfruttato per riposare le membra stanche, oppure per regalarsi un momento di piacere con le nuove schiave appena catturate.
Una tenda in particolare era più silenziosa delle altre.
Un lembo della stoffa che faceva da porta venne aperto, facendo entrare alcuni raggi della luna ad illuminarne l'interno.
Due giovani dai capelli dorati erano coricati insieme nel grande giaciglio. Una schiava Troiana riposava sul fondo della tenda.
Una figura nera e incappucciata si mosse nel buio, fino ad arrivare ad uno dei due biondi, per avvicinare la mano al suo viso.
Nel completo silenzio il giovane aprì gli occhi chiari e bloccò la figura al terreno puntandole un pugnale alla gola.
"Forza cugino, voglio proprio vedere come uccidi una donna in dolce attesa."

"Che cosa ci fa qui la nuova principessa di Troia?" Chiese il giovane con una nota di scherno nella voce.
"Non lo so." Rispose lei porgendogli una mano per farsi aiutare a sedere sulla sabbia.
"Certo che il tuo ragionamento non fa una piega. Sei venuta nell'accampamento nemico rischiando la pelle e non sai nemmeno tu perché."
"Questa guerra non finirà bene, Achille, specialmente per te."
"Io sono venuto qui per la gloria eterna. Non mi interessa come andrà a finire."
"Dovrebbe invece. Hai un figlio." Obbiettò lei.
"Neottolemo sa badare a se stesso." Sbuffò lui.
"Che cosa vuoi veramente?"
"Forse avevo solo bisogno di rivedere un volto conosciuto."
"Oppure vuoi chiedermi qualcosa. Ti conosco. Sai che non ti direi mai di no. Siamo cresciuti insieme." Il figlio di Peleo si sedette affianco a lei.
La ragazza sorrise "Torna a Ftia. Lascia Troia."
"Mi correggo. Direi di sì a tutto tranne che a questo."
"Perché ci tieni così tanto alla gloria? Non ti basta essere ricordato per quello che sei?"
"Prima di partire mia madre mi disse che avevo una scelta da compiere." Achille guardò il mare di fronte a lui. "Potevo restare a casa e il mio nome sarebbe stato ricordato per un paio di generazioni. Oppure potevo venire qui, morire ed essere ricordato in eterno."
"E tu ovviamente vuoi che il tuo nome diventi immortale, asino cocciuto."
"Non c'è niente di male a volerlo. Tu sei immortale per nascita, ma noi semidei mortali abbiamo solo un modo per vivere per sempre. Il nostro nome deve essere ricordato da tutti."
"Sai che se rimani saremo nemici, vero?"
"Basta non incontrarci sul campo di battaglia. Io ti posso vedere ma far finta che tu non ci sia." Sorrise lui.
"E poi non credo che ci incontreremo molto presto, viste le tue condizioni." Disse indicandole la pancia.
Lissandra la coprì con le mani istintivamente.
"Ci avresti mai pensato, a noi come genitori?"
"No. Siamo due guerrieri." Disse lui. "Ma una volta che succede credimi, è la sensazione più bella del modo."
"Ti manca?" Chiese lei riferendosi a Neottolemo.
"Ha dieci anni. È un uomo ormai." Disse lui cercando di divagare.
"Lo so che ti manca. Si vede da come ne parli."
"L'ho lasciato con due mirmidoni. Lo addestreranno così che possa raggiungermi qui."
Continuarono a parlare per un paio d'ore, ma quando un corvo gli volò accanto Lissandra sospirò. Stava per sorgere il sole.
Lei si morse le labbra e fece segno al cugino di aiutarla ad alzarsi.
"Sveglia i tuoi uomini e tienili pronti." Disse.
"E cerca di non morire subito."

Ventitré Agosto. Mancavano meno di due settimane  allo scadere del tempo. Alla sua condanna alla mortalità.
Apollo chiuse gli occhi, stanco.  La spiaggia era deserta, il sole stava sorgendo.
Il biondo ammirò il cielo tingersi di quelle tonalità calde che tanto lo rappresentavano, mentre Elio tirava la sua stella con il suo vecchio carro. E rimaneva lì, fermo, quasi a farsi beffe di lui.
Le onde del mare producevano un suono che da secoli riusciva a calmarlo, avevano una musicalità straordinaria, quasi surreale.
Troppi sentimenti contrastanti si muovevano indisturbato dentro di lui, senza pensare al dolore che gli provocavano.
Lui, il grande dio del Sole, ridotto alla vita da mortale per colpa dell'amore.
Già, proprio lui che amava le storie brevi, quelle da una botta e via, che aveva fatto la proposta ad una vita di coppia duratura. Proprio quando lui aveva deciso di prendersi un impegno come quello, era stato respinto.
E per colpa di cosa, poi? Di una storia morta e sepolta più di duemila anni prima.
Anche se la prima vota era andata male, cosa voleva dire che sarebbe stata così anche la seconda?
L'ormai ex dio sbuffò, pronto ad alzarsi in piedi.
Un rumore lo fece rimanere, però, seduto.
"Fratellino." Artemide gli comparì di fianco.
"Ciao Arti."
"Ho parlato con nostro zio." Disse. "Credo di averlo colto in un momento di pazzia, perché stava riempiendo il suo palazzo di foto dei vostri figli e di strane decorazioni natalizie."
Apollo sorrise. "Ma è estate."
"Tra poco sarà finita." Lo corresse lei.
"Comunque ha accettato. Cosa che mi ha insospettita parecchio."
"Ha detto di sì?"
"Già, ha detto che lo fa solo perché sei il padre del suo genero. E perché sei ridotto da schifo."
"Grazie." Apollo fece una smorfia.
"Vi aspetta questa sera si confini del campo."

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