Apollo si mosse infastidito nel sonno, qualcuno gli stava toccando ripetutamente una spalla con ritmo altamente fastidioso.
Decise di ignorare il fastidio e cercare di tornare a dormire, ma quando il ticchettare si fece più insistente aprì gli occhi preparandosi a mandare allo sventurato disturbatore un'occhiataccia pari a quelle di Nico da Angelo.
Quando però si ritrovò faccia a faccia con Percy e notò l'espressione preoccupata sul suo viso decise che forse era meglio essere magnanimo ed evitare di mandarlo al diavolo come invece era solito fare il suo piccolo genero.
"Che cosa c'è, Pulce?" Borbottò con la voce impastata dal sonno.
"È ora, Apollo."
Subito il dio si risvegliò dallo stato di precedente torpore e si alzò in piedi.
"Di già?"
Chiese massaggiandosi la schiena intorpidita -stupido corpo mortale-.
"Si, dobbiamo andare. Ermes è qui fuori." Disse il figlio di Poseidone. "Vuoi salutarla?" Percy indicò la sorella.
L'ex dio annuì mogio e si girò a guardare la sorella della Pulce.
"Ermes mi ha detto di dirti che dovrai andare a vivere nel mondo dei mortali, senza poter fare affidamento a nessun dio o semidio per tutta la durata della punizione." Disse Percy dispiaciuto. "La devo svegliare?"
La ragazza dormiva tranquilla sul suo letto, ignara che forse non l'avrebbe più rivisto per un po'-giusto una cinquantina di anni-.
Apollo le si avvicinò e le baciò delicatamente la fronte. "No. Voglio che mi ricordi come un Figo pazzesco, non come un ex dio sfigato."
Prese dalla tasca dei bermuda la scatolina di velluto rosso contenente l'anello che voleva regalarle e se la rigirò in mano, fece un sospiro e lo appoggiò sul comodino accanto al letto.
"Hai carta e penna?" Chiese al moro.
Percy annuì, prese un foglio dalla scrivania mai usata che si trovava nella stanza e gli porse Vortice.
Apollo ringraziò, scarabocchiò un paio di righe veloci e lasciò il foglio accanto all'anello per poi incamminarsi verso la porta della capanna. "Andiamo.""Silenzio!" Tuonò la voce possente del re degli dei.
Subito il vociare prodotto dalle altre divinità e dai loro figli si zittì.
C'erano tutti i semidei, greci e romani, mancava solo la figlia di Poseidone.
Per l'occasione era stato invitato anche il dio degli inferi, che sedeva su un'anonima sedia di pietra accanto agli altri.
"Apollo." Chiamò Zeus.
L'ex dio fece alcuni passi in avanti e si portò al centro della grande sala.
Accidenti, pensò, faceva un certo effetto stare dalla parte dei mortali. Davanti a lui si ergevano gli altri undici dei, alti tre metri, seduti sui loro troni.
Portò lo sguardo sul suo e per poco non gli venne un colpo al cuore. Il suo magnifico trono dorato era sparito, al suo posto c'era solo vuoto, aria, niente di niente.
Riportò lo sguardo sul padre, che lo guardava come se si stesse aspettando qualcosa dal figlio.
"Non mi inchinerò davanti a voi, se è questo che stai aspettando." Disse incatenando il suo sguardo con quello di Zeus.
"Come?"
"Anche che se in questo momento sono solo un mortale, sono e sarò sempre un dio." Rispose semplicemente lui. "E poi anche con questo corpo sono molto più figo di tutti voi." Aggiunse meritandosi un'occhiata di ammonimento dalla sorella.
Zeus strinse i pugni. "Come osi...?"
"Padre." Lo richiamò Artemide. "Apollo deve ancora scontare il resto della pena, lascia che impari la lezione."
"Potrei punirlo all'infinito e lui non imparerebbe comunque nulla." Borbottò il re degli dei.
"Uhm... va bene." Sbottò dopo che Artemide lo ebbe guardato in modo persuasivo.
"Hai rispettato la scadenza che ti avevo posto per mettere fine alla punizione?" Chiese il re degli dei.
"No." Impercettibilmente il biondo strinse i pugni.
"Lo sospettavo."
"Chi tra gli dei di questo consiglio vita di punire In definitivo Apollo?" Chiese Era prima che Zeus parlasse a sproposito.
Tutti seguendo l'esempio del dio del cielo alzarono una mano, tutti tranne Artemide, Ade e Poseidone.
Apollo sorrise agli zii, grato.
"Bene, ha vinto la maggioranza." Zeus fece un respiro profondo e iniziò a dare la sentenza finale.
"Apollo, per il tuo comportamento e per quello che hanno avuto i tuoi discendenti durante il corso della guerra contro Gea, per aver contribuito a dare la cura del medico ad un mortale e per non aver rispettato la data di scadenza che ti avevo imposto per trovare una compagna, sei condannato a mezzo secolo di mortalità. Non potrai avere nessun tipo di contatto con semidei, dei o loro discendenti e..."
Poseidone si schiarì la voce, interrompendo il fratello.
"Cosa vuoi?"
"Perdonami, fratello, ma sbaglio o oggi è l'ultimo giorno d'estate?" Chiese con aria innocente.
"Si, certo."
"Quindi il biondino sarebbe ancora in tempo per sposarsi, giusto?" Si aggiunse Ade.
"Oh... si... ma Apollo non ha trovato nessuno, pertanto lo dichiaro..."
"Scusa fratellino, ti interrompo di nuovo." Disse Poseidone prendendo il suo tridente e facendolo ondeggiare davanti a lui.
L'aria tremolò e Elisabeth apparve di fronte al padre. Aveva i capelli spettinati e un'aria assonnata ma, dopo essersi resa conto della situazione in cui si trovava, cercò di riprendere un minimo di contegno.
La ragazza si inchinò velocemente sia davanti al dio del mare -grazie papà- che a Zeus e si voltò verso Apollo.
Zeus sbuffo doppiamente e si ingobbì nel suo trono.
Niente punizioni per oggi...
"Tu!" Gridò la ragazza andando a passo di marcia verso il biondo.
"Mi spieghi cosa diavolo è questo?" Gli urlò di nuovo sbattendogli in faccia un foglietto stropicciato.
Apollo lo prese in mano.
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Blood Brothers
FanfictionPoseidone, l'unico che sembrava aver prestato fede al giuramento di non avere più figli, ne aveva aveva avuto uno da una mortale. E aveva anche la faccia tosta di chiedere alla figlia maggiore di mantenere il segreto e di aiutarlo a nascondere il ba...