1] Something

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Mi confondevo le idee da sola.
Ecco, cosa facevo, durante il tempo libero.

Anche quando inizialmente non avevo dubbi riguardo a qualche cosa, riuscivo a crearmeli. Mi assillavo, e ne ero consapevole, ma era come un tic e non potevo farne a meno. D'altronde, me ne accorgevo solo dopo averlo fatto.

L'ansia mi assaliva ogni momento della giornata, appunto non mi stupivo se qualcuno mi chiamava paranoica, perché io stessa pensavo di esserlo.

Quella voglia matta di urlare tutti i miei pensieri, i miei dubbi, i miei ragionamenti che nessuno avrebbe in ogni caso ascoltato. E magari, alla fine, mi sarei ritrovata con un bel sorriso dipinto sul volto e qualche amico in più.
Inoltre, non mi ero mai reputata una persona "interessante".

Piuttosto, cercavo di rimanere sola il più possibile.

Reputavo sbagliato il modo in cui mi chiamavano a volte, "asociale". No, non ero mai stata asociale. Anzi, conoscevo solo due o tre persone che mi accettavano per quella che ero, ed erano tutte strane parecchio, ma in ogni caso strane in un modo diverso da me.

Una di loro era Nives, ad esempio. Aveva un nome particolare, ma per quanto mi riguardava, era un nome davvero melodico. Ed io, di melodie, me ne intendevo piuttosto bene.

La prima volta che ci incontrammo, in quarta ginnasio, né io né lei conoscevamo nessuno della nuova classe, perciò decidemmo di prendere posto accanto, anche se io, nella mia piccola mente contorta, avevo già pensato bene di sedermi da sola vicino ad una finestra o ad un termosifone, o comunque a un muro: la cosa più importante per me era potermi appoggiare, se non potevo guardare fuori dalla finestra.

Lei mi guardava sottecchi, un po' incuriosita. I suoi capelli ramati assumevano delle sfumature stranissime alla luce di quel giorno di metà settembre.

La professoressa, per un qualche motivo che non avremmo mai saputo, stava tardando ad arrivare, e chiunque, in classe, era estremamente in ansia.

Ogni tanto alzavo lo sguardo dal foglio sul quale stavo scarabocchiando per rivolgerlo verso la porta dell'aula, aspettando un segno di vita da parte dell'insegnante, ma non sperandolo.

«Ma tu...» mormorò Nives, ad un certo punto «i tuoi capelli...»

«Sì, sono un po' strani, lo so» sorrisi appena, senza guardarla negli occhi.

«Sono troppo neri» allora mi voltai verso di lei, sempre con il sorriso in faccia. Aveva gli occhi spalancati e lo sguardo fisso sui miei capelli del colore del carbone.

Li aveva già notati, quando mi aveva chiesto di sedermi accanto a lei, ma solo stavolta aveva reso pubblico il suo stupore.

«Insomma, i tuoi mi piacciono tanto» le dissi, cercando di essere gentile, anche se la gentilezza non era mai stata il mio forte. Lei sorrise, incerta, e si portò appunto una mano ai capelli rossicci.

«Comunque, io sono Gemma» abbassai la testa e ripresi a disegnare.

«Nives» lei, al contrario di ciò che avevo fatto io, alzò il capo.

«Bel nome, davvero, Nives» feci un risolino che suonò alquanto inquietante «non avevo mai conosciuto nessuno con il tuo nome»

«Credo che i miei genitori l'abbiano preso da un libro» alzò le spalle, abbassandosi sullo zaino «non so quale» gettò sul banco un quaderno, che era il doppio del mio, sia di peso che di dimensioni.

Mi ero sempre accontentata di poco, anche a scuola, e in fatto di organizzazione avevo sempre lasciato a desiderare. Almeno per quel giorno potevo arrangiarmi con un piccolo quaderno (già usato) e con qualche penna. Avrei preso tutto il necessario una volta ambientata.

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