Stavo camminando verso la scuola di musica.
Era una bella giornata, il cielo era limpido e tutto era allegramente illuminato dal sole.
Era febbraio, eppure sembrava una giornata di piena primavera, o d'estate. C'era stato un grande cambiamento climatico, e la cosa che mi aveva lasciata a bocca aperta più di ogni altra era stata la fioritura precoce della mimosa.
Era una bella pianta, la adoravo, ma dovevo starle abbastanza lontana, perché mi provocava un immediato attacco d'allergia.
Portai la sciarpa davanti alla bocca, quando dovetti passare sotto quell'albero. Stavo percorrendo la via secondaria che portava al liceo artistico.
Nives si era offerta di accompagnarmi, dato che le avevo detto che sarei andata a prendere un panino in un bar. Le dissi di no, dato che subito dopo avrei dovuto assistere alla lezione, e lei non ne sapeva niente, come chiunque altro, d'altronde.
E ormai, ero lì, a camminare da sola.
Pensavo a quante volte avrei voluto affacciarmi alla finestra, farmi vedere, essere invitata ad entrare.
Magari l'avrei fatto, ma avrei dovuto aspettare molto, prima.
Con gli occhi percorrevo ogni singolo numero civico di quella via, per l'ennesima volta. Da lì non passavano mai le macchine, probabilmente era una via pedonale. In ogni caso, non mi facevo molti scrupoli nel passeggiare in mezzo alla strada, sull'asfalto un po' rovinato.
Il liceo artistico.
Non vi ero mai entrata. Ricordavo che alle medie, prima della scelta della scuola che avremmo frequentato, potevamo assistere ad una, massimo due lezioni in quella che più ci interessava.
Io, ovviamente, avevo visitato il liceo che alla fine scelsi.
Molto spesso avevo preso in considerazione l'artistico, ma ogni volta che lo nominavo le persone mi ridevano in faccia, dicendo frasi come "saresti sprecata, là dentro" o "ti rovinerai il futuro, se vai lì non lo trovi, il lavoro", alla fine avevo scartato quella possibilità.
Eppure mi incuriosiva. Al contrario della mia scuola, le pareti erano completamente ricoperte da graffiti e fogli, l'intonaco s'intravedeva appena. Le finestre erano poste troppo in alto per poter vedere all'interno delle classi.
Essendoci il sole, molti più studenti del solito erano rimasti lì.
Guardai l'orario, e notai che erano solamente le due.
In un'ora avevo mangiato, per così dire, e attraversato il centro della città? Mi stupii di me stessa e della mia rapidità. Fretta, forse. Impazienza di andare in quel luogo che tanto mi piaceva.
Mi sedetti come al solito sui gradini che portavano all'entrata della scuola.
Molti mi avrebbero potuta semplicemente credere una studentessa di quel liceo, non avrei destato sospetti, affatto.
Gettai lo zaino poco più in là, e sostenni la testa con entrambe le braccia.
I ragazzi parlavano, e ridevano, e scherzavano, e sembravano così felici di stare tutti insieme, in compagnia.
Uno di loro era appoggiato con una mano ad un alberello del cortile, e con l'altra mano accarezzava la sua moto.
Mi sarebbe sempre piaciuto avere la moto, ma mi spaventava, in parte. In ogni caso, ormai potevo prendere la patente, e la moto non sarebbe più servita a molto.
La stanchezza di cinque ore a scuola iniziava a farsi sentire. Per quanto fossi stanca, però, non decisi di tornare a casa.
Nell'attesa, pensai bene di ascoltare un po' di musica dal mio telefono. Afferrai le cuffiette che tenevo sempre nella tasca, e una alla volta le infilai nelle orecchie.
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Glitch - problema tecnico
General Fiction«Spesso cercare di dare una spiegazione teorica a certe sensazioni rende queste sensazioni meno piacevoli. Le cose che non si esprimono a parole, non possono essere descritte a parole.»