Il sole cominciava a salire, facendo capolino fra le onde del mare. Il cielo era dipinto di un azzurro piacevole, dolce come la tempera sulla tela. Non c'era più neanche una nuvola.
L'ansia era completamente svanita, assieme a quello sconosciuto di cui non sapevo il nome e al quale mi sentivo già così legata.
Ogni minuto che passava, pensavo sempre meno a Francesco. La realtà era parsa così lontana, in quelle ore, così surreale da sembrare un sogno.
Avevo l'impressione di essermi catapultata in un'altra dimensione, insieme ad Ah. Se mi fossi stropicciata gli occhi, se una sveglia fosse suonata, se qualcuno mi avesse svegliata, mi sarei automaticamente dimenticata di lui.
E quel sole mi stava svegliando.
«Comunque il mio nome è Edoardo» mi porse la mano, come se ci fossimo appena incontrati «ma ti facilito le cose. Chiamami "Ed", che ha due lettere come "Ah". Oppure chiamami "Ah", che è carino»
Sentire una parola come "carino" uscire dalle sue labbra era come aver appena visto un pinguino in Senegal.
Edoardo era un bel nome, in più "Ed" mi piaceva, come soprannome.
«D'accordo, Ed»
«D'accordo, Glitch»
«Glitch?»
«Tu sai il latino, io so l'inglese. "Glitch" significa "problema tecnico". Tu stessa ti sei definita così. E poi Glitch inizia per "G", come Gemma» sorrise di sbieco. Tristemente, come al solito. E si perse di nuovo a guardare il mare, senza farmi intuire a cosa stesse pensando. Era come inespressivo.
Non sapevo definirlo. In alcuni momenti pareva così fragile.
Ormai il sole aveva superato del tutto la linea dell'orizzonte. Ero appoggiata al tronco di quell'albero, esattamente come prima. La luce formava delle strane ombre sulla sabbia, dolci, poetiche. L'aria era fresca e profumava di mare e di pini, in quel momento avrei voluto una felpa anch'io, avrei voluto coprirmi e un po' nascondermi, nascondermi da Ed, perché mi avrebbe vista meglio, così, alla luce.
Ma il lato positivo era che anch'io potessi vedere lui. I suoi occhi, simili ai miei. I suoi capelli, spettinati, sconvolti. Il suo volto magro, pallido, e le sue labbra carnose e scolorite, screpolate, continuamente inumidite dalla punta della sua lingua.
Lo salutai, e lui ricambiò con un'occhiata veloce che significava "ci rivedremo qui".
E così fu.
I giorni successivi erano stati piuttosto movimentati. Francesco non si era più fatto vivo, ed i miei genitori avevano deciso (dopo un mio consiglio) di prendere una vacanza, lontano da tutto e da tutti, anche da me.
Ero contenta per loro, e in qualche modo anche per me. Me li sarei tolta dai piedi per un po', e mi sarebbe stato utile per scoprire se la mia ansia dipendeva anche dalla loro.
Non avevo intenzione di uscire di casa, dopo averli salutati sulla soglia. Ma il cuore pareva voler uscire dalla cassa toracica. Cenai, cercando di reprimere quel sentimento che stava prendendo il controllo del mio corpo.
Alla fine non resistetti, ma era fin troppo prevedibile.
"Sei ridicola", mi dissi.
Mi alzai di scatto, correndo fino in camera mia. Ricordavo di tenere dei biglietti dell'autobus in un cassetto, ce li avevo messi qualche giorno prima, poi non mi erano serviti.
Pensai ai miei genitori, ormai erano saliti sull'aereo e da un momento all'altro sarebbero partiti per Parigi, io li avrei rivisti solo due settimane dopo. Un viaggio ben organizzato, alla fine. Prenotato un po' frettolosamente, ma ben organizzato.
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Glitch - problema tecnico
General Fiction«Spesso cercare di dare una spiegazione teorica a certe sensazioni rende queste sensazioni meno piacevoli. Le cose che non si esprimono a parole, non possono essere descritte a parole.»