Infilai le cuffie nelle orecchie per rendermi conto del tempo che stava passando. Ogni canzone durava circa quattro minuti, e mi resi conto di averne ascoltate giù una decina quando arrivai all'entrata della pineta.
Era così tanto che non raggiungevo quel luogo.
Fra i due alberi che si trovavano dai lati opposti del sentiero sterrato, era stato posto un cancello piuttosto basso, con scritto "vietato oltrepassare".
Gli diedi un'occhiata, doveva essere lì da poco tempo. Non ci feci caso, e lo scavalcai. Il massimo che poteva essere accaduto era la caduta di un albero, e la cosa non mi preoccupava, né tantomeno mi spaventava.
Era tutto così buio, esattamente come l'ultima volta. Sembrava non essere passato neanche un minuto, anzi, sembrava che non me ne fossi mai andata.
Avevo solo qualche strato di vestiti in più, la testa un po' più affollata e un po' di compagnia in meno.
Accelerai il passo, sempre di più, fino a correre, e raggiunsi la spiaggia ormai senza fiato. Niente mi attendeva, laggiù.
Ecco, solo il rumore delle onde, leggermente più alte del solito.
Le stelle non erano visibili, ma il chiarore della luna superava le nuvole e illuminava lievemente la sabbia e l'acqua.
Iniziai a guardarmi intorno, a cercare dietro agli alberi, a scrutare la terra in cerca di una sigaretta finita da poco. Niente di tutto ciò.
Non era lì.
Sospirai profondamente. Ero così legata a quel luogo.
Troppe cose mi erano successe, lì. Veramente troppe.
E non ne avrei dimenticata neanche una.
Mi voltai, e guardai le onde del mare un'ultima volta. Dopodiché tornai all'interno della pineta e me ne andai.
Controllai l'orario sullo schermo del telefono, che allo stesso tempo mi serviva a fare luce alla strada che volevo percorrere.
«Le tre e cinquantadue» lessi ad alta voce, come se qualcuno me l'avesse chiesto.
Quando ero con Edoardo, il tempo non valeva più niente. Non mi era mai capitato di guardare l'ora, in sua compagnia. Non mi interessava.
La mia voglia di pensare era completamente svanita nel nulla.
Mi bloccai un attimo, prima di oltrepassare nuovamente il cancello: dove sarei andata? Alla ferrovia.
Non presi neanche l'autobus, i biglietti non sarebbero bastati per il ritorno. Iniziai a camminare a passo svelto, guardando ogni locale che lasciavo indietro. La cosa triste fu proprio quella. Ad ogni edificio avevo associato almeno un ricordo.
Odiavo quella città, eppure non potevo separarmene, vi ero ancorata, dovevo ammetterlo.
Teoricamente, meno di due ore dopo mi sarei dovuta svegliare per andare a scuola. Semplicemente non l'avrei fatto.
Arrivai al campo, era umido, fangoso, e la ferrovia in lontananza sembrava sempre più malridotta.
Iniziò a prendermi il panico quando mi accorsi che non proveniva alcun rumore dalla baracca dove avevamo passato quella notte terribile.
Neanche un respiro, neanche un colpo di tosse, assolutamente niente. Il vuoto più assoluto.
Credetti di impazzire da un momento all'altro, poi mi venne in mente un'idea assurda: sarei andata a casa sua, alle quattro e mezzo di notte.
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Glitch - problema tecnico
General Fiction«Spesso cercare di dare una spiegazione teorica a certe sensazioni rende queste sensazioni meno piacevoli. Le cose che non si esprimono a parole, non possono essere descritte a parole.»