Non vidi Ed prima dell'inizio della scuola, non riuscii a concludere quella vacanza così bizzarra assieme a lui. Appunto, appena giunta di fronte al mio liceo, mi pentii di non essere scappata da qualche parte assieme a lui.
L'ultimo anno. L'ultimo primo giorno. L'ultimo di tutto.
Feci un passo e varcai l'ingresso, e subito mi ritrovai immersa nei miliardi di gruppi di studenti e studentesse di ogni classe ed età.
Pensai nuovamente ad Ed, a quanto tutto cià non lo riguardasse. Eravamo così uguali, eppure alla fine eravamo anche così diversi. Perché io, alla scuola, ci tenevo e non ci tenevo. Era soddisfacente avere dei buoni voti, era indispensabile per trovare un lavoro, ma allo stesso tempo ero consapevole che avrei potuto benissimo farne a meno.
E mi accorgevo di ciò ogni volta che mi trovavo immersa in quella confusione. Ma potevo farmi forza, era l'ultima volta, dopotutto.
Avevo voglia di gridare a tutti di far silenzio, ma non ne sarei mai stata capace. Una ragazza molto più bassa di me s'impigliò ad i miei capelli, e mi maledisse con il solo sguardo.
Sbuffai annoiata. Era pressappoco impossibile trovare Nives in quel corridoio così affollato, l'avrei vista direttamente in classe. Come sempre, dopotutto.
Salii due rampe di scale, percorsi quella strada che mi era così familiare, ormai. A differenza di molte altre classi, io non avevo mai cambiato aula.
Avevo cambiato professori, qualche compagno, ma mai aula. Trovarmi in un'altra stanza mi avrebbe destabilizzata, e mi sentivo fortunata ad essere di nuovo lì, con la mia finestra ed i miei pensieri, che cercavano tutti di raggiungere Edoardo, ovunque fosse in quel momento.
E sì. Sì, mi sentivo come le ragazzine innamorate delle persone irraggiungibili. Solo che io non ero una ragazzina, ed il diretto interessato era più che raggiungibile.
I suoi ragionamenti un po' meno, in effetti.
Quando entrai in classe, trovai i soliti compagni di sempre (ovviamente), raggruppati a parlare, alcuni sorridenti, altri decisamente meno.
Nives non era ancora entrata, perciò io mi affrettai a prendere il posto accanto alla finestra, che puntualmente era stato lasciato libero per me.
Nessuno mi salutò, neanche con un cenno del capo, ma non mi interessava. Avevo solo voglia di vedere Nives e di raccontarle tutto quello che era accaduto durante la sua assenza. E poi, volevo sapere com'era l'Olanda. Ed ero lì seduta, da sola, ad aspettare.
Nives entrò esattamente durante il suono della campanella, immediatamente seguita dalla professoressa, la quale ci rivolse un sorriso che in realtà scomparve immediatamente, per lasciare spazio al suo solito volto serio.
Salutai la mia amica con un sorrisetto ed un cenno. Non potevamo parlare, con la professoressa di greco in classe. Era proprio il caso, sì, iniziare l'ultimo anno scolastico con due ore di greco.
Mi accorsi che anche Nives stava pensando alla stessa cosa, quando lanciò un paio d'occhiate assassine alla professoressa.
Come al solito, non era abbronzata, affatto. I suoi capelli, però, sembravano più rossi del solito, e le sue lentiggini erano più numerose. O magari era solo una mia impressione, ne avevo sempre così tante, di impressioni.
«Nives» bisbigliai, appena la professoressa si voltò «dopo, durante la ricreazione»
Lei annuì, ma allo stesso tempo mi guardò con aria interrogativa. Pur essendo accanto a me, non aveva capito.
«Dopo, a ricreazione» ripetei «ti dico una cosa».
Non sapevo il motivo per cui glielo stavo dicendo in quel momento, quando avremmo dovuto ancora aspettare tre lunghe ore.
Ma quel tempo passò, lentamente. Mi rendevo conto di essere poco presente, con la testa. Per la mente avevo tutt'altro, sentivo che c'era qualcosa che non andava, eppure non sapevo definire cosa.
Appena cominciai a farmi delle domande più specifiche, la campanella suonò, e mi dimenticai tutto ciò a cui stavo pensando. In parte mi arrabbiai con me stessa.
Presi un profondo respiro e mi alzai, dirigendomi verso il cortile.
«Dimmi tutto» corse verso di me Nives, che era rimasta intrappolata nei corridoi fra le decine di studenti.
«Intanto, come sono andate le vacanze?» era tantissimo tempo che non ci vedevamo. Era partita settimane prima per l'Olanda, era tornata qualche giorno prima, e non ci eravamo incontrate neanche per caso.
«Benissimo, l'Olanda è fantastica, poi ti farò vedere le foto» sospirò «avrò pure diciannove anni, ma passare il tempo con la mia famiglia è sempre bellissimo».
Annuii poco convinta. Non la pensavo esattamente come lei. Le tensioni in casa si sentivano, ero arrivata a pensare che la mia ansia perenne dipendesse anche da quello. Ma poi avevo capito che il mio era terrore, proprio terrore delle novità, dei cambiamenti, del futuro e, a volte, anche del presente.
«E a te, com'è andata?»
«Bene» risposi «credo. Ho conosciuto un ragazzo...»
«Francesco?» chiese lei, alzando gli occhi «ah, me ne avevi parlato, non ti ricordi? Sei tu che non dici mai niente»
«No» abbassai lo sguardo «in realtà è un altro».
Nives tornò a guardarmi, e trattenne a stento una risata «un altro? Ma quanti ne hai?»
«Lui, beh» mormorai «soltanto lui».
Le si illuminò ulteriormente il viso, quando iniziò a realizzare tutto «devo conoscerlo, tu me lo farai conoscere» sembrava una minaccia «è il primo che è riuscito a farti innamorare?»
«Adesso non saltiamo così alle conclusioni» ridacchiai, sarcastica «e comunque non andreste d'accordo»
«E chi te lo dice? Fa il misterioso, come te?» piegò lievemente la testa da un lato. In quel preciso istante Daniele, un ragazzo della nostra classe, passò dietro di lei e la chiamò. Nives mi fece un segno con la mano, dopodiché si voltò, ed io me ne approfittai per tornare all'ombra.
Quando la campanella suonò e ci ritrovammo in classe, non avemmo più il tempo di parlare.
Uscii da scuola, e alle una e un quarto mi ritrovai seduta al tavolo di un bar che non conoscevo a mangiare un panino. Era nuovo, doveva aver aperto poche settimane prima, era pulitissimo ed i camerieri avevano un sorriso quasi innaturale stampato sul volto. C'erano molte persone al suo interno, era già molto frequentato per essere aperto da così poco tempo.
La radio era accesa, ma era quasi completamente sovrastata dalle chiacchiere degli studenti. Nessuno che io conoscessi, in ogni caso, però non era una novità.
Ogni volta che io e Edoardo andavamo a bere qualcosa insieme, era molto tardi, ed i locali erano praticamente vuoti, pur essendo estate. Comunque eravamo noi a cercare luoghi un po' più isolati, perché ci piacevano solo certi tipi di confusione, su quello eravamo d'accordo. Una confusione che ad entrambi piaceva, era quella dei concerti, ad esempio. Ero stata solo ad un concerto, lui a tre, eppure le emozioni che avevamo provato erano le stesse.
A volte mi chiedevo come facesse a capirmi così bene, poi lasciavo perdere. Era impossibile da sapere.
Arrivata a casa, essendo mercoledì non trovai nessuno. Entrambi i miei genitori erano a lavoro, ed io avrei passato il pomeriggio da sola, molto probabilmente.
Pensai alla scuola, a quanto fossi cambiata, pur rimanendo me stessa. Il mio modo di pormi era diventato davvero diverso da com'era all'inizio, eppure era stato un cambiamento spontaneo, non indotto. Non mi ero obbligata, soprattutto perché se avessi dovuto scegliere una personalità, non ero sicura che avrei scelto quella.
In ogni caso ero riuscita a colpire una persona come Ed.
Impossibile, pensai.
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Glitch - problema tecnico
General Fiction«Spesso cercare di dare una spiegazione teorica a certe sensazioni rende queste sensazioni meno piacevoli. Le cose che non si esprimono a parole, non possono essere descritte a parole.»