11] Again

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«Ti devo portare in un luogo» mi disse. Non stava sorridendo, non era neanche triste. Era semplicemente inespressivo.

Uscimmo da casa sua, dopo che io mi fui messa le scarpe. Stava camminando accanto a me in mezzo alla strada.

Quel vizio era di entrambi. Io e lui odiavamo i marciapiedi, non riuscivamo a camminarci sopra.

Erano passati ormai due mesi, da quell'uscita al mare. Ci eravamo incontrati molte altre volte, stavamo bene, l'imbarazzo ormai se n'era andato, non potevamo conviverci. Volevamo stare insieme, niente ce l'avrebbe impedito.

«Non so se ti piacerà» fece una smorfia «ma volevo farti vedere quel posto, a me piace tanto, ci vado quando cerco un po' di tranquillità»

Sorrisi voltandomi verso di lui «mi piacerà sicuramente».

Lui, in risposta, mormorò qualcosa che non riuscii a capire, e che non seppi mai.

Camminammo a lungo, più di quanto pensassi, avvicinandoci alla periferia. Erano circa le cinque di pomeriggio, perciò, essendo metà novembre, il sole stava calando, portando a tornare a casa chiunque si trovasse fuori.

E la strada era deserta.

«Ce la faccio, ad essere a casa a un'ora decente?» chiesi «so che è sabato, ma ricordati che per i miei io sono da Nives a studiare»

«E allora» tossì «come minimo rimarrai da Nives a cena».

Rimasi in silenzio.

Continuando a vederci, non avevo potuto fare a meno di notare che si comportava in maniera strana, in quel periodo.

Procedeva a testa bassa, guardandosi le scarpe. Il sole ormai era sparito, ma c'era ancora abbastanza luce per permettermi di capire dove ci stessimo dirigendo.

«Perché siamo venuti qui?» domandai, guardando la ferrovia abbandonata. L'avevano chiusa dopo che c'era stata una frana a qualche chilometro di distanza, e non l'avevano più messa in funzione.

Di solito in quel luogo dormivano i disgraziati, oppure i ragazzi che scappavano di casa.

Lo sapevo, perché ogni volta che succedeva una cosa del genere, quei poveri adolescenti venivano ritrovati lì.

Vivi o morti che fossero.

«Perché» si bloccò «è questo, il posto».

Rabbrividii.

«Immaginavo che non ti avrebbe convinta, ma vedi, io cerco sempre i luoghi più impensabili»

Sorrisi dopo quella frase «no, non è detto che non mi piaccia, aspetta» alzai una mano e la protesi verso di lui «aspetta».

Cominciai a guardarmi intorno e ad esaminare meglio il luogo.

La luce violacea come le nuvole, rendeva tutto ciò ancora più surreale. La ferrovia arrugginita e ricoperta d'erba tagliava perfettamente a metà quel prato vasto e circondato dagli alberi spogli, che a loro volta troneggiavano su un immenso tappeto di foglie secche.

Quel luogo così strano mi faceva venir voglia di tornarci.

Ecco, cosa doveva provare Edoardo ogni volta che vi si trovava.

«Allora ti piace» non era una domanda. Era un'affermazione, fatta assieme ad un mezzo sorriso, sempre triste come il suo sguardo.

«Come...» la mia voce si disperse nel nulla. Mi interruppi, perché non ne valeva la pena, di chiedergli come facesse a saperlo.

Lui lo sapeva.

Lo sapeva e basta.

«Ormai era tanto che non ci venivo» si guardò intorno anche lui «tipo da giugno. Volevo tornarci con te»

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