4] Mess

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Quando finii di mangiare (sempre da sola, dato che i miei genitori erano ad una "reimpatriata" fra compagni di liceo), lanciai un'occhiata all'orologio. Avevo iniziato a cucinare (per così dire) alle sette, quindi piuttosto presto, e ormai il sole stava calando. Avevo calcolato che per arrivare alla sua scuola, con un autobus solo, impiegavo esattamente venti minuti.

«Le otto e venti» dissi ad alta voce, sempre con lo sguardo fisso sull'orologio del salotto.

Il silenzio che invadeva casa mia in quel momento, era un silenzio diverso da quello che di solito cercavo io. Era un silenzio impuro, colmo di parole non dette, di tensione e di litigi, che puntualmente erano i protagonisti delle mie giornate in famiglia.

E puntualmente riguardavano me.

Mi domandai come avessi fatto, a non essere ancora scappata. Forse la mia forza di volontà sovrastava tutto ciò, forse semplicemente ne avevo paura.

Mi alzai, presi le chiavi di casa e lentamente mi diressi verso la fermata dell'autobus. Come al solito avevo lasciato le luci accese, era un'abitudine.

Ormai non stava piovendo, erano solo delle piccole e rare goccioline che mi cadevano sui capelli, senza che io me ne accorgessi.

Pensavo che non avrebbe più smesso. Quel pomeriggio il cielo sembrava così adirato, pareva volerci affogare tutti sotto la pioggia. O forse era solo una mia impressione.

Mi domandai se Francesco fosse già davanti alla scuola. Una volta mi aveva detto che era molto preciso, con gli orari e con ogni altra cosa, ma che spesso arrivava in anticipo agli appuntamenti.

Se quello si poteva definire un appuntamento.

Per me non lo era, per me era soltanto un incontro per chiarire la situazione, amici come prima e buonanotte a tutti.

L'autobus era pieno di ragazzi, probabilmente si conoscevano tutti. Parlavano, ridevano fra di loro, nel frattempo tenevano la musica accesa, una canzone che non conoscevo.

Probabilmente si stavano dirigendo a qualche festa, qualche serata. Le solite cose a cui io non partecipavo mai.

In quasi diciannove anni ero stata solo una volta in discoteca, insieme a Nives che, invece, aveva preso l'abitudine di andarci.

Ad un certo punto mi ero appoggiata ad un muro, ed ero rimasta lì tutto il tempo, fino alle quattro, quando la mia amica decise che era arrivato il momento di andarsene.

Quando notai che l'autobus stava uscendo dalla strada principale, capii che mancava poco per arrivare.

Si fermò e appena scesi, la prima cosa che feci fu guardarmi intorno. Il cancello della scuola era ovviamente chiuso, i lampioni erano quasi tutti spenti, la strada era deserta, e la scuola di musica aveva una luce esterna accesa.

Sentii dei passi in lontananza, e mi voltai. Era Francesco, con un grande sorriso appena imbarazzato, ed un mazzo di fiori in mano.

«Scusami» sbuffò «so che non sei il genere di ragazza che ama questi regali».

Annuii, ma non arrossii. Mi limitai a sorridere, anche se ero evidentemente stupita «grazie» dissi, prendendo i fiori «nessuno mi aveva mai portato una cosa... Così»

Sembrava soddisfatto della mia reazione, anche se in realtà non mi ero comportata in modo particolare.

«Ah, ci tengo a precisare che l'ho fatto io» mormorò, senza smettere di sorridere «ed è per scusarmi con te. Sono felice che tu non mi odi»

Odiarlo? Non odiavo nessuno, non avevo mai odiato nessuno. Odiavo solo molti atteggiamenti adottati da parte di molte persone, ma non odiavo la persona di per sé.

Glitch - problema tecnicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora