14] A reason

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Quando ripresi coscienza, aspettai qualche secondo prima di aprire gli occhi. Cercai di ragionare su cosa mi fosse successo, ma appena mi sforzavo per ricordare qualcosa una forte fitta mi attraversava la testa, partendo dalle tempie.

Mossi una mano a destra, poi a sinistra, e realizzai di essere in camera mia appena essa sfiorò il comodino. Non avevo né la voglia né la forza di aprire gli occhi, avevo paura che la luce mi facesse male.

Quando però un pensiero s'insinuò nella mia mente, li spalancai senza neanche accorgermene. "Chi mi ha riportata qui?". Ormai, oltre al mal di testa si era aggiunta l'ansia, quindi un peso enorme sullo stomaco. Quel peso che mi aveva sempre caratterizzata ed accompagnata nelle mie giornate, e di cui non mi ricordavo quasi più.

Le tapparelle erano abbassate, capii che era notte, perché neanche un minimo di luce entrava dalle loro fessure. Un tuono, un altro.

Sospirai e mi voltai verso il muro. Appena i miei occhi si abituarono all'oscurità, vidi l'orologio: erano le sette e mezzo. Non era notte, eppure era già buio.

La porta all'improvviso si spalancò, lasciando entrare una grande quantità di luce artificiale. Vidi la sagoma di mia madre appoggiarsi allo stipite. Aveva un'espressione preoccupata e tesa, ma appena si accorse che ero sveglia corse verso di me.

«Valerio!» esclamò «Valerio corri, ti prego! Gemma è sveglia!».

Feci una smorfia, non avevo la forza di chiederle di non urlare.

Mio padre arrivò dopo qualche secondo, un sorriso un po' tentennante in volto.

«Come ti senti?» mi domandò.

«Io» tossii due o tre volte, avevo la gola secca «avrei sete».

Mia madre mi porse un bicchier d'acqua che era stato sul comodino fino a quel momento.

Appena finii di bere, non esitai a domandare come avessero fatto a trovarmi, là dov'ero.

«In realtà non ti abbiamo trovata noi» disse mia madre, guardando papà.

«E chi?» chiesi ancora.

«Un ragazzo, non ha detto il suo nome, ti ha portata qui in macchina e se n'è andato» sospirò.

Francesco, pensai. Doveva essere tornato da me per chiedermi scusa, oppure per chiarire la situazione. Probabilmente si era allarmato vedendomi a terra, e mi aveva riportata a casa.

«Ma l'importante è che tu stia bene» sorrise, prendendomi una mano.

Mi sentivo un po' frastornata, in realtà, ma questo mia madre l'aveva notato. Il mal di testa non voleva passare, in più mi domandavo cosa li avesse convinti a non portarmi all'ospedale.

«Sì, beh, ho un po' di sonno»

«Vuoi rimanere a casa, domani?» mi propose papà. Io, in risposta, scossi la testa. Non avevo intenzione di saltare la scuola, non me la sentivo.

«Posso dormire, ora?» mi sentivo come una bambina di sette anni che attendeva il fatidico bacio della buonanotte.

«Non hai messo sotto i denti niente, sei sicura?»

«Sì» indicai la porta con lo sguardo «'notte».

Loro si guardarono per qualche istante, dopodiché si diressero verso il corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.

Chiusi gli occhi e presi un profondo respiro.

Ero svenuta, ero semplicemente svenuta. Succedeva a tutti così spesso.

Eppure ciò che mi preoccupava era il motivo. La mia angoscia aveva ripercussioni sulla mia salute? Ormai credevo di averla sconfitta del tutto.

"È normale" pensai "è normale avere momenti di sconforto". E la presi così.

Presi in mano il cellulare e notai che Edoardo mi aveva chiamata un'ora prima. Sapevo bene che non era preoccupato, non lo era mai. Si fidava di me.

In ogni caso decisi di chiamarlo, avevo voglia di sentire la sua voce, era l'unica in grado di calmarmi.

Il telefono squillò solo un paio di volte, dopodiché mi rispose. La sua voce era assonnata, ma sembrava piuttosto tranquillo. Forse anche troppo.

«Buonasera, bimba» mi immaginavo la sua faccia in quel momento. Un mezzo sorrisetto, mascherato da uno sbadiglio.

«Bimba?» ridacchiai.

«Sì, è la prima impressione che mi hai dato» disse «insomma, come procede la situazione?»

«Che situazione?» in quel momento non ero in grado di capire ciò che mi volesse dire.

«Parlo in generale, dai. Come stai?»

«Bene» mormorai «no, male» mi corressi immediatamente. Che senso avrebbe avuto mentirgli?

«Male?» chiese, alzando appena il tono di voce «che succede?»

«Niente di che, oggi sono svenuta dopo la scuola» dissi sottovoce.

«C'è un motivo preciso, secondo te?»

«Ho perso il controllo per un attimo» sbadigliai. Sapevo benissimo che aveva capito.

«Devo venirti a fare compagnia?» la sua proposta mi allettava, in realtà. Mi andava di vederlo, era passato troppo tempo dal nostro ultimo incontro.

«Scusa, ma ci sono i miei» sospirai «e non sanno chi sei»

«Potrei presentarmi» rise «ma gli farei paura»

«Concordo» ridacchiai anch'io. Non riuscivo a capire il perché di quella strana malinconia presente nella sua voce, era una tranquillità quasi innaturale. Più del solito.

«Insomma, mi sembri stanca» disse infine «io ti saluto, bimba»

«Bimba» ripetei, poco convinta «buonanotte, Ah»

Lui rise appena, e riattaccò senza rispondermi.

Iniziai a tremare, e subito mi spaventai. Mi era successo quello stesso pomeriggio, e subito dopo ero svenuta. Appena mi resi conto che il motivo, stavolta, era il freddo, mi rintanai sotto le coperte e chiusi gli occhi, ripensando alla voce di Ed.

Glitch - problema tecnicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora