Capitolo 1

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Una delle cose che trovo più rilassanti nella mia vita è spazzolarmi i capelli, districando ogni nodo come se si trattasse di dare un’aspetto decente alla mia esistenza, e non alla mia chioma. Come se si trattasse di risolvere i problemi, ed un problema che in questo momento imbatte nei miei giorni è mio fratello. Ultimamente è davvero insopportabile, fa di tutto per difendermi e controllare da ogni prospettiva ciò che faccio, nonostante la mia vita non sia poi chissà quale film di James Cameron.
Stanotte ho fatto un sogno strano, anzi stranissimo e, pensandoci, non possono non tornarmi in mente tutte le mattinate passate a raccontare i miei sogni contorti alla mia compagna di merende, Alice. Poi abbiamo litigato e me li sono tenuti tutti per me, nonostante lei abbia più volte dichiarato di esserne la custode.
Sbuffo, particolarmente assonnata e giro la chiave nella serratura del bagno per uscire, dopodiché mi carico lo zaino sulle spalle che a quest’ora del giorno grava quanto un macigno. Esco senza salutare nessuno e appena mi trovo abbastanza lontana da non farmi vedere, mi accendo una sigaretta.
Infilo le cuffie nelle orecchie e mi lascio trasportare dall’inimitabile e rilassante sensazione che le canzoni di Lana Del Rey provocano al mio corpo e alla mia testa. Quasi sto per chiudere le palpebre: se ne avessi la possibilità, dormirei anche qui, per terra, senza una coperta.
Mi tornano però in mente le strazianti sei ore giornaliere che mi aspettano, passate su un banco pulito ad ascoltare cose che non m’interessano minimamente. Lo faccio per i miei, loro volevano che io facessi l’università e l’ho fatto, anche se la scelta non è delle migliori.
Ho scelto di studiare moda, perché mi appasiona questo genere di materia e perché loro volevano che studiassi tutto benché questo. Quindi, è stata una specie di ripicca finita male, dato che ora sono costretta a studiare anche di notte solo per essere al pari con gli altri.
Così, mentre sono immersa nei miei soliti pensieri, un furgone bianco mi passa davanti e avanza verso la mia destra. Sento un rumore prima di vedere cosa è successo e per lo spavento urlo a squarciagola. In bocca sento un sapore metallico. Sto sanguinando? Mi sono staccata la lingua con un morso? La tocco e c’è ancora. Il cuore mi batte all’impazzata; sono tutta sudata, nel giro di un secondo. Mi volto e guardo cos’è successo: il furgone che mi è passato accanto ha sbattuto contro un camion della guardia costiera.
Cerco di fare respiri profondi, mentre guardo il fumo venire verso di me e rendere difficilmente visibile l’incidente, ma mi manca l’aria. In poco tempo sento il corpo vacillare e cadere a terra, poi solo buio, qualcuno che mi scuote, rumori, urla, suoni inarmonici che si sovrappongono tra di loro, e io mi sento troppo stanca per aprire gli occhi. Ho solo bisogno di riposare, infondo.
«Giulia... Giulia» sento sussurrare da una voce sconosciuta, delle mani mi toccano ripetutamente il braccio, poi la spalla, poi la faccia, poi scatto in piedi. «CiaoGiuliasonoAndrea» un ragazzo spara tutto d’un fiato, col cuore che sta per uscirgli dal petto come in una scena splatter di un horror di serie b.
Lo guardo interrogativa per un po’, e quel momento di confusione si prolunga quando mi accorgo di non essere né nella mia amata e semplice dimora, né alla 34A strada, ma nell’appartamento di uno sconosciuto, tra l’altro niente male, che a giudicare dal maglione nero è un depravato e peccaminoso milanese.
«Non dire niente. Non prima che io ti abbia spiegato tutto... diciamo che è successo un casino stamattina, c’è stato un incidente e tu eri presente...» mormora, sedendosi sul divano grigio dove ero sdraiata fino a poco fa.
«Che cazzo ci faccio qui?!» dò di matto, pensando all’esame che dovrò dare tra meno di due settimane, all’esagerata preuccupazione che mia madre ha anche soltanto quando sfioro il coprifuoco e al fatto che lui potrebbe benissimo essere pericoloso. «Tu chi sei?!» aggiungo, alzandomi presa dall’angoscia e mettendomi una mano sulla fronte. Forse stare in piedi non è una buona idea, visto che ho un malditesta lancinante.
«Andrea Damante, piacere» gli spunta un sorriso mentre mi porge la mano. Scommetto che è divertente vedere una sconosciuta che impazzisce per mille motivi diversi, sopratutto quando tu sei a posto, quando hai appena risolto i tuoi di problemi e sai che non ne avrai per un po’.
«E come fai a sapere che mi chiamo Giulia?» domando, al posto di arrabbiarmi per la faccia tosta che ha a farsi una risatina, intollerabile quanto il caffè freddo e lo champagne tiepido.
«Fammi spiegare dell’incidente, prima. Così capirai tutto dall’inizio alla fine» dice.
«Me lo ricordo! Lo so cos’è successo! Adesso vuoi, per favore, dirmi perché sono qui e perché sai il mio nome?»
«Vuoi un bicchiere d’acqua, o qualcos’altro? Sei pallida...»
«Voglio sapere perché sono qui, cazzo!»
«Ok, ok... calma. Ero dietro di te quando è successo e sono stato abbastanza intelligente da correre, prima che il fumo mi iniettasse le narici. Ti ho vista a terra e ti ho portato a qualche decina di metri di distanza da lì in attesa dei soccorsi, che hanno detto che avevi bisogno di riposo dopo lo shock. Ho sbirciato nel tuo telefono per chiamare qualcuno che ti venisse a prendere, dato che la polizia era troppo occupata ad aiutare persone che ne avevano più bisogno di noi» spiega, non lasciando trasparire gli attimi di paura e tensione, tutte cose che fortunatamente ho evitato di passare essendo... svenuta? Sono svenuta? «Ecco perché so che ti chiami Giulia, Giulia De Lellis. Comunque la stampa ha definito la nostra salute il miracolo della 34A strada, ora siamo famosi» sorride, e io sento la faccia andarmi in fiamme come dopo un’ustione solare o uno schiaffo ben assestato.
«Dio... grazie. E scusa per prima... è solo un periodo un po’ così. Me ne devo andare, subito ─ rindosso la giacca dalla stampa militare e prendo il telefono in mano ─ Grazie ancora!» urlo dall’altro capo della porta, avendola chiusa. Corro per le scale e intanto cerco il numero di mia mamma Sandra, con il cuore che mi fa le capriole nel petto solo immaginando cosa starà provando adesso.
«Giulia! Giulia, ciao!» sento gridare il mio nome ed alzo lo sguardo. Incredibile, Andrea mi saluta dalla finestra. È... pazzesco. Già, è pazzesco.

Il Miracolo Della 34A Strada. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora