Capitolo XII

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Spesso ci lamentiamo del fatto che certe situazioni accadano solo nei film, o nelle canzoni. La verità è che spesso i personaggi sono più coraggiosi delle persone. Ecco il motivo per cui le storie vanno a finire diversamente. Non abbiamo quel coraggio che ci fa rischiare un rifiuto, o quel coraggio che ci fa rischiare di perdere tutto, o di cambiare semplicemente vita.

Dovremmo più andare di cuore, che di testa, anche a costo di ferirci, di andare contro a quello ci eravamo promessi di non fare mai più, anche a costo di lottare, perché certe emozioni si sentono una volta sola, con una sola persona, ed io ero assolutamente sicura che quella persona fosse Andrea.

Il modo in cui mi toccava, baciava e accarezzava quella notte per me era un'ennesima conferma, era un ammettere di aver fatto per una volta la scelta giusta, era piacere, sentimento, passione, un mix di sensazioni mai sentite prima, e che volevo risentire.

Ricordo che appena entrammo nella lussuosa stanza dell'hotel, lui portò il mio corpo sulla porta, che aveva appena chiuso. Pigiò le sue labbra morbide contro le mie, tenendo le braccia sulla mia vita, mentre l'eccitazione prendeva il sopravvento su entrambi.

Ci tolsimo giacche, maglie, scarpe, finché non rimanemmo completamente nudi. E poi ci amammo, come solo l'uno per l'altro sapevamo fare, andando fuori da ogni schema, contro ogni ostacolo, fingendo che nelle nostre vite fosse tutto perfetto, ma non importava se non era realmente così, perché, quando stavamo insieme, niente importava davvero.

Pelle contro pelle, bocca contro bocca, anime che insieme raggiungevano il massimo del piacere, corpi che andavano a fuoco, insieme alle menti, e bruciavano come le parole, parole che completavano la verità, dando soddisfazioni.

| La mattina seguente |

Il leggero sole che proveniva dalla finestra mi svegliò, facendomi aprire lentamente gli occhi, interrompendo il bellissimo sogno che stavo facendo. Davanti a me si presentò Andrea, sdraiato sul letto come me, con delle lenzuola bianche avvolte sul corpo semi-nudo, mentre mi fissava compiaciuto.

“Buongiorno, principessa” sorrise, baciandoni la fronte.

“Che ore sono?” chiesi, appoggiando la schiena alla testiera dalla struttura imbottita. Andrea sospirò e prese il telefono, che aveva lasciato sul comodino, leggendo l'ora che segnava le nove e mezza.

“Strano! Wow, non me l'aspettavo. Te lo giuro. Sono una dormigliona, ieri sera abbiamo fatto le quattro credo” esclamai, contenta, perché avevo ancora del tempo da passare con lui.

“Devo partire e tornare a Roma o mia madre vedrà che c'è qualcosa sotto” sbadigliai, alzandomi dal letto per rivestirmi. Non ero nuda, indossavo gli slip neri di pizzo, che bastavano a non mettermi in imbarazzo, dato che mi stavo coprendo il seno con una mano.

“Che t'importa. Io non riesco a lasciarti andare, non ora, non dopo averti vista tornare” mi raggiunse, abbassando le mie mani. Tornò sulle mie labbra e inevitabilmente convolse anche a me, ritardando di qualche minuto il momento di rivestirsi.

“Eri pronto a dimenticarmi, eh?”

“Quello mai, ficcatelo in testa”

Sorrisi spontaneamente e mi feci aiutare a legare il reggiseno, sentendo il suo respiro caldo sul collo, che, mischiato con i sussurri che mi dedicava con voce roca, creava un'atmosfera degna di lode.

Rindossai il vestito e la giacca di pelle, insieme ai tacchi, sentendomi a disagio per il fatto che fra qualche minuto sarei dovuta uscire vestita in quel modo. “Non posso credere che ti sto lasciando uscire così, penso che mi odierò per tutto il viaggio” sbottò nervoso.

“Ma che c'entri, tanto resti qui” ribattei.

“Stai scherzando? Non ti lascio sola neanche per sbaglio, io vengo a Roma e mi fermo in un hotel fino a quando non ci sarà bisogno di me altrove” spiegò, illuminandomi gli occhi per la felicità.

“A fare che? Tu sei pazzo” sorrisi, incredula di cosa mi stava capitando nella vita, ero così fottutamente fortunata ad avere accanto uno come lui, e non avevo più un minimo di paura. Ero sicura che provavamo entrambi lo stesso sentimento, allo stesso modo.

“A stare con chi amo, anche a costo di entrare dalla finestra di casa tua con una scala tutte le sere” rispose dolcemente.

“Smettila Andre, sennò mi sciolgo” gli ordinai, vedendolo quasi ridere per ciò che avevo detto. Si cambiò, indossando dei blue jeans strappati ed una t-shirt nera.

“Comunque, quando saremo a Roma dovremo chiamarci almeno una volta al giorno. Se non hai credito ti ricarico il numero io, così mi chiami ogni volta che hai bisogno, okay? E avevo intenzione di uscire a cena con te quando potevi, ma prima di tornare a Verona” disse.

“Uhm.. bella idea! Stai esagerando, non capisco per cosa dovrei chiamarti. Non ho mai avuto bisogno di aiuto prima, perché dovrei averne ora” ironizzai, sistemandomi i capelli per non risultare troppo orribile.

“Giulia, comunque sia, tu chiamami sempre” aggiunse.

“Va bene mamma”

“Ehi, non chiamarmi mamma!”

“E come dovrei chiamarti? Fidanzato?”

“Oh, no. È ancora presto per quello” rispose sinceramente, diventando di punto in bianco serio.

“Beh.. non era troppo presto per fare sesso, però” ribattei dopo qualche secondo, essendoci rimasta piuttosto male. Non intendevo litigare, ma non sopportavo l'idea di venir mai usata o anche illusa, sopratutto se da chi amavo.

“L'abbiamo voluto entrambi, Giulia. Non ti ho obbligato, non eri ubriaca e non lo ero neanche io, niente del genere. Quindi non iniziare perché sai bene che non sono in astinenza di sesso, se amo una persona io riesco benissimo a trattenermi, non sono così coglione” puntualizzò.

“Non ho detto questo. È solo che mi sembra più adeguato farlo quando siamo fidanzati” parlai, sperando che non iniziasse un litigio o una specie di discussione.

“Il sesso si fa quando vuoi, l'amore si fa con chi ami, non con la persona con cui sei fidanzato” continuò, con un tono decisamente più arrabbiato.

“E se ami una persona dovresti fidanzartici, non credi?” alzai la voce, iniziando a mettere in discussione tutte le cose che mi aveva detto. “Sei tu quella che non vuole trasferirsi da me” mi ricordò, ammettendo che la cosa lo infastidiva parecchio.

“Io non sono pronta a passare ventiquattro ore su ventiquattro con te, a dirlo ai miei, ad abbandonare l'università, i miei fratelli, Roma. E se questo non ti sembra normale vuol dire che non mi capisci, e che sei solo egoista” gridai, sul punto di piangere.

“Eppure io ero pronto a rinunciare a tutto pur di stare con te” ammise, deluso dal fatto che non volevo rinunciare a nulla, non ancora.

“Non stiamo insieme, ricordi?”

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