Capitolo III

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Mi sono sempre ritenuta una ragazza normale, né bella, né brutta. Non ho mai avuto problemi fisici gravi con me stessa, ma quella mattina, lo giuro, avevo decisamente un aspetto orribile. Le occhiaie che delimitavano la parte sud del mio occhio erano pesanti e rovinavano la mia immagine acqua e sapone.

Quel giorno non andai a scuola, e neanche la mattina dopo, o quella dopo ancora. Stavo utilizzando la scusa dello shock, mi inventavo scuse dicendo che secondo il medico non dovevo tornare per le strade fino a quando non avevo completamente superato l'accaduto.

Avevo preso la decisione di far finta che quel numero non fosse mai giunto nelle tasche della mia giacca, sia per non complicare la mia vita che per non complicare la sua. Lui era ormai nella sua amata Verona, a mandare avanti la sua carriera, cercando di diventare qualcuno nel mondo dello spettacolo. Sicuramente io ero già finita nella parte ricordi della sua mente e presto sarei finita nel dimenticatoio, senz'essere mai più tirata fuori anche solo per cinque minuti.

| Lunedì mattina |

Mia madre mi obbligò ad uscire ed affrontare quell'esplosione, dimostrandomi più forte e sicura di quello che sembravo. Credevo che per me non fosse stato niente di che, ma quando il mio piede raggiunse l'esterno del portone di casa, sentii una forte paura dentro di me. Avevo la paura costante ogni volta che vedevo passare un furgone o qualsiasi veicolo in grado di trasportare merci autonomamente, ma da un'altra parte speravo che riaccadesse, solo per vedere se Andrea tornava, nonostante fosse già dall'altra parte d'Italia.

Arrivai alla mia Università, nonché la LUISS. Studiavo al secondo anno in corsi triennali di Design, Moda e Arti Visive. Fra tutte le proposte che mi regalavano sia quella università che le altre, fare Moda era la migliore e la più interessante. Mi sarebbe piaciuto realizzare una mia personale linea di abbigliamento, anche se, con tutte le ragazze piene di fantastiche idee, dubitavo di poter diventare qualcuno in quel campo.

Entrai, trovando i soliti poster di vario tipo sparsi per il corridoio. Accanto alla porta della mia classe ce n'era uno che, non so come, aveva automaticamente rapito la mia attenzione senza che fossi realmente interessata a quel tipo di annuncio.

A Roma, in una vicina discoteca dove andava spesso mio fratello Giuseppe, si sarebbero esibiti alcuni DJ non famosissimi, fra cui uno dalla sigla 'Damante'. Non sapevo il motivo, ma quel probabile cognome mi era rimasto impresso, nonostante non lo avessi mai sentito dire. Due ragazze, dalle chiome bionde, vennero verso di me, o meglio verso quel poster ed iniziarono a fare le cretine.

"Andrea, arriviamo!" gridò una delle due, mentre l'altra rideva. "Oh sì, finalmente lo vediamo dal vivo a quel figone!" continuò l'altra, che aveva la chioma leggermente più platino.

Andrea, non ci avevo pensato, ma era un nome veramente bellissimo. Gli donava parecchio, a lui, non a quell'Andrea che sicuramente non avevo mai visto e conosciuto. Non c'entrava nulla con me.

"Andrea Damante, cazzo! È lui!" sentii una forte scossa al cuore, come se si trattasse dell'Andrea che aveva preso parte di quasi tutti i miei pensieri degli ultimi giorni. Lasciai perdere ed entrai in classe, ma durante l'ora non feci altro che scrivere quel nome intero sul diario, senza neanche rendermene conto.

Così, quando tornai a casa, dissi a mia madre che non avevo fame e che non mi andava di pranzare. Presi il telefono e cercai 'Andrea Damante' su Chrome, trovando delle sue foto, i suoi profili social e le serate che stava facendo in giro per l'Italia.

Sorrisi, prendendo il foglietto dove c'era scritto il suo numero. Così stupido e inimmaginabile, fra tutti i ragazzi che potevano piacermi, proprio uno che chissà quante ragazze a settimana si portava a casa doveva capitarmi. Cominciai a salvarmi le sue immagini, e quella che trovavo la più carina la impostai come sfondo home.

Non avrei immaginato a distanza di così pochi giorni di ritrovarmi a salvare le foto di un ragazzo apparentemente sconosciuto, ma allo stesso tempo di rifiutare di scrivergli un messaggio o di chiamarlo. Se proprio dovevo innamorarmi, che andasse tutto in un modo più romantico.

"Oh, Gesù Cristo" affondai la mia faccia sul cuscino, piena di vergogna per quello che stavo facendo. Presi coraggio ed eliminai tutte le immagini che avevo appena scaricato, senza riuscire a rimuovere lo sfondo. Dovevo ammirarlo ogni volta che sbloccavo il telefono, e sapevo che da quel momento in poi l'avrei fatto più spesso.

Erano passati quattro giorni da quando l'avevo incontrato, eppure era come se fosse successo da poche ore, era magico. Ed ecco che cominciavo a dubitare che fosse giusto non credere in quelle cose, infondo.

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